Fonte: Il Messaggero

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04/12/2016

 

Duemila veterani corrono in aiuto degli indiani sioux per bloccare la costruzione di un oleodotto

di Anna Guaita

 

Una volta, gli indiani avevano paura dei soldati americani. Le lunghe sanguinose lotte fra le varie tribù e il governo federale segnarono una frattura rimasta poi nel dna delle nazioni indigene. Ma oggi sono proprio i soldati a correre in aiuto delle tribù, per difenderle invece dalla polizia e dalle sue tattiche “militari”. Un esercito di 2000 veterani, completamente disarmati, sta arrivando nelle fredde lande del Dakota del nord, alla Standing Rock Reservation, dove la confederazione delle sette tribù Sioux cerca di bloccare la costruzione di un oleodotto che dovrebbe passare sotto il lago Oahe, da cui la riserva trae l’acqua potabile.

 

La protesta dei sioux va avanti da mesi e già due volte i proprietari dell’oleodotto, i texani “Energy Transfer Partners”, hanno fermato i lavori. Ma col passare del tempo, la protesta invece che diminuire è andata crescendo. Oramai l’accampamento dei dimostranti è arrivato a contare 7 mila partecipanti, in rappresentanza di 200 diverse tribù dell’America del nord. Si sono soprannominati “i difensori dell’acqua”, e hanno ricevuto il supporto di Greenpeace, di numerosi attori, e varie organizzazioni dei diritti civili. Per loro non si tratta più solo di fermare un oleodotto che può inquinare l’acqua e stravolgere terreni sacri dove sono sepolti i loro avi, si tratta di una lotta molto più vasta, anche in vista dell’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca.

 

La resistenza contro l’oleodotto che dovrebbe portare il greggio dal North Dakota fino all’Illinois è diventata il simbolo della lotta per i diritti delle nazioni indiane. Dave Archambault, presidente dei Sioux di Standing Rock ha ricordato come i cow boy bianchi suprematisti che un anno fa avevano occupato il parco nazionale di Malheur nell’Oregon sono stati tutti assolti in tribunale, mentre - protesta - “noi siamo stati accusati di ribellione, pur mentre manifestavamo pacificamente. Siamo stati assaliti dalla polizia con le armi, i cani, i carri armati e gli elicotteri, i nostri anziani sono stati trascinati via mentre pregavano, le nostre nonne buttate per terra, le nostre donne perquisite. Quattrocento di noi sono stati arrestati. C’è un sistema di giustizia per i bianchi e un’altra per gli indiani”.

 

La situazione è in bilico. Barack Obama ha dato ordine che i lavori venissero temporaneamente interrotti e che l’azienda dell’oleodotto negoziasse con la tribù, per vedere se non sia possibile tracciare un percorso alternativo. La società texana in verità ha varie volte, nella costruzione dei quasi 2 mila chilomettri di struttura, alterato il tragitto in altri luoghi, proprio per proteggere le falde acquifere da ipotetici perdite. Ma intanto il governatore del North Dakota ha dato ordine agli indiani di disperdersi entro lunedì 5 dicembre, sostenendo che l’arrivo del grande freddo rappresenta un rischio per i manifestanti. Gli indiani hanno risposto ironicamente: “Il governatore non vive qui da tanto tempo, se crede che noi che ci viviamo da millenni possiamo temere il freddo”.

 

In questa situazione estremamente tesa, due giovani veterani, Wes Clark Junior e  Michael Wood, hanno deciso di mobilitarsi e chiamare a raccolta altri giovani ex militari per correre in difesa degli indiani. Hanno fondato un’associazione, “Veteran Stand for Standing Rock” e lanciato un appello, che ha avuto un’immediata eco nella comunità. Circa duemila veterani sono attesi nel fine settimana nelle riserva, dove si propongono di fare da scudo umano ai sioux e alle altre tribù: “Quando ci siamo arruolati abbiamo giurato di proteggere i cittadini del nostro Paese – spiega Clark, un ex ufficiale dell’esercito, figlio del famoso generale che è stato a capo della Nato -. Metteremo i nostri corpi in difesa di una causa giusta, per mostrare a tutto il Paese dove si sta compiendo il male”.

 

Clark e Wood, che è un ex ufficiale dei Marines, hanno lanciato una raccolta nel sito GoFundMe, superando i due milionii di dollari. I soldi serviranno a organizzare un intervento militare “completamente non violento”. Dopo la prima ondata di questo week-end, i veterani intendono mantenere un turno di protezione, in modo che gli indiani non restino mai senza l’assistenza di “professionisti” che sappiano “resistere agli attacchi del nemico”. L’intera operazione, spiega Wood, è organizzata sulla falsariga di una missione dei Marines, con un’unica differenza: i volontari sono disarmati.

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