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22 dicembre 2016

 

Inquinamento atmosferico, pneumologi: contro 90mila morti in Italia «interventi grotteschi»

 

Dal Negro (Cesfar): «Da noi il “controllo delle emissioni” di fatto, non interessa concretamente i decisori, o non conviene»

 

Si contano circa 90mila morti premature, in tutta Italia, correlate all’inquinamento atmosferico: sono questi i dati pubblicati dall’Ispra all’interno dell’ultimo rapporto sulla Qualità dell’ambiente urbano, dove si stima che l’esposizione a lungo termine al PM2,5, all’NO2 e all’O3 sia direttamente legata nel nostro Paese 91.050 a decessi in un solo anno. Una costante emergenza che è stata risollevata oggi dal Cesfar – il Centro nazionale studi di farmacoeconomia e farmacoepidemiologia respiratoria con sede a Verona – in vista del XX Congresso Asma bronchiale e Bpco: nuovi obiettivi, nuovi rimedi, nuove strategie, il congresso specialistico di pneumologia con la più lunga tradizione in Italia.

«La cosa drammatica – sottolinea Roberto W. Dal Negro, pneumologo e responsabile Cesfar – è che nel nostro Paese, per quanto attiene per esempio alle PM10, anche rispettare il limite previsto dalla legislazione vigente (non più di 35 superamenti in un anno) è tuttora un traguardo irraggiungibile su tutto il territorio nazionale. È ormai perfino troppo evidente che da noi il “controllo delle emissioni” di fatto, non interessa concretamente i decisori, o non conviene: nella migliore delle ipotesi, infatti, le misure si limitano anche per quest’anno a provvedimenti emergenziali ed estemporanei, di rilevanza tale che spesso sfiorano il grottesco a livello locale».

Come documenta l’Ispra, ancora una volta le città della Valle Padana l’hanno fatta  da padrona in termini di giorni di superamento dei limiti consentiti per le emissioni di PM10 ed altri inquinanti, anche se questa volta – evidenziano dal Cesfar – risultano accompagnate da numerosi altri capoluoghi di provincia, fra i quali Napoli, Terni, Frosinone e molti altri.

«In pratica, nessun provvedimento strutturale e strategico – conclude Dal Negro – è stato mai programmato su ampia scala negli ultimi decenni, e tantomeno in maniera sinergica fra le varie istituzioni coinvolte. E ciò, nonostante sia arcinoto che il principale determinante è rappresentato  dal consumo di energia, in particolare quella che proviene da fonti fossili (petrolio, gas naturale, carbone). In altri termini, trasporti, usi domestici, industria: tutti argomenti che richiederebbero un interessamento fattivo e capillare delle istituzioni preposte. È sotto gli occhi di tutti la realtà del trasporto merci, di fatto quasi  esclusivamente su gomma e con direttrici stradali e autostradali iperaffollate ed ingolfate; la situazione del traffico veicolare privato, caotico ed in continua crescita, a fronte di trasporti pubblici carenti (se non carenti) e male organizzati in molte città italiane, anche metropolitane; del riscaldamento domestico, dove la verifica di conformità degli impianti e delle emissioni è tuttora episodica e “a macchia di leopardo”, pur esistendo sulla carta numerosi provvedimenti specifici, troppo spesso trasformati nella vita reale in inutili “grida manzoniane”, facilmente eludubili».

 

 

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