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4 aprile 2016

 

“Referendum, caffeina civile contro l’anestesia delle coscienze”

Giacomo Russo Spena intervista Erri De Luca

 

“Possiamo far valere la nostra voce concentrando gli sforzi sul massacro di Regeni, lui era un cittadino europeo oltre che un italiano”. Scrittore impegnato, Erri De Luca è in prima fila – in questi giorni – sia per la vicenda di Giulio Regeni, il ricercatore brutalmente ucciso in Egitto, che per il referendum del 17 aprile contro le trivellazioni. Due battaglie che considera prioritarie. Lo scorso 25 febbraio era anche davanti all’ambasciata egiziana per chiedere verità sul caso Regeni e per impedire che l’efferato assassinio finisse nell’oblio. Inequivocabile il messaggio per il governo: “Prima viene la dignità politica, poi vengono gli affari. Bisogna coinvolgere l’Unione Europea”.

 

Erri De Luca, che idea si è fatto sulla morte di Regeni?

 

Ci troviamo di fronte ad un delitto di Stato. Il ragazzo è stato sequestrato in pieno giorno per strada, detenuto illegalmente a lungo e torturato a morte senza fretta, poi buttato via come in un rifiuto in una discarica: solo chi ha garanzia di impunità di Stato agisce con questa disinvoltura feroce in un regime di dittatura. Regeni è stato sottoposto a trattamento speciale da parte di organi di polizia.

 

Il portavoce di Amnesty International Riccardo Noury ha denunciato che il caso Regeni non è isolato: “Nel 2015 ci sono stati 466 casi di sparizione forzata in Egitto, i casi documentati di tortura sono stati 1.056. Nel 2016 i casi documentati di tortura sono stati 88”. Anche il Corriere della Sera ha dimostrato come gli spariti in Egitto siano più di 500. Che cosa pensi del governo di Al Sisi?

 

Assistiamo ai desaparecidos del Mediterraneo. Il governo dei militari si è sovrapposto al precedente e questo ha implicato una repressione che colpisce direttamente il rispetto dei diritti umani di quel popolo.

 

E che n’è stato delle Primavere arabe?

 

Sono stagioni di passaggio e io non definisco con questo nome gentile le tempeste politiche che hanno rovesciato tirannie decennali. Non chiamo “autunno slavo”, la Rivoluzione Russa. Come succede anche nell'Europa non più sovietica, si trapassa da un’oligarchia a un’altra. La via della democrazia è fatta a sassi.

 

Domani, 5 aprile, ci sarà un incontro tra la polizia egiziana e quella italiana, il ministro Gentiloni ha già anticipato che se non ci dovesse essere collaborazione da parte di Al Sisi, il governo utilizzerà le maniere forti. Arriveremo allo scontro o siamo al solito bluff e alla fine prevarranno gli interessi economici tra Egitto e Italia?

 

Il governo è stato finora troppo reticente perché questo caso disturba il business italiano in Egitto. Quindi le pressioni del nostro esecutivo sulle autorità egiziane sono state fin qui insufficienti per ottenere la verità sulla sua scomparsa e tortura. Ora non abbiamo maniere forti da opporre ed è puerile minacciarle. Noi però abbiamo ragione e l’unica arma possibile è che il ministero degli Esteri agisca verso l'Europa per raccogliere la sua voce unanime e il peso necessario da mettere sul piatto di bilancia dell'incontro con il governo di Al Sisi.

 

Lei si appella all’Europa. Ma questa Europa, quella dei muri, delle disuguaglianze e delle politiche di austerity, veramente ha la forza di intervenire su tale caso?

 

Su vicende che riguardano i singoli l'Europa sa e può intervenire. Abbiamo un tribunale all'Aja per crimini contro i civili.

 

Nel concreto l’Europa come potrebbe intervenire per sanzionare le autorità egiziane?

 

Occorre premere con ogni mezzo diplomatico per ottenere piena giustizia e, intanto, piena collaborazione.

 

Il governo italiano, intanto, è alle prese con le dimissioni di Guidi, coinvolta in un chiaro conflitto d’interessi per una concessione ad una società petrolifera prossima al proprio compagno, ora indagato. Una ragione in più per battersi per il referendum contro le trivelle del prossimo 17 aprile?

 

Il malaffare Guidi non è un episodio isolato, ma la prassi: interessi privati in pubblico servizio con l'aggravante del danno alla salute e all'economia di una comunità. Il personale politico al potere è regolarmente corrotto e se ne infischia delle conseguenze. Le dimissioni preparano a nuovi incarichi e non all'esilio. Il 17 aprile si va a riscattare la nostra cittadinanza contro la riduzione a sudditi del satrapo di turno. Si va a riempire le urne di Sì per affermare la nostra sovranità sul mare, sui fondali, sulle coste e sull'economia della bellezza, nostra irripetibile fonte di reddito e di credito.

 

Per il giurista Stefano Rodotà: "Con l'attacco frontale ai referendum Renzi prosegue sulla strada della passivizzazione dei cittadini". Lei è d’accordo? Viviamo un’era di democrazie incompiute?

 

Al governo serve un’astensione totale dei cittadini, una rinuncia a partecipare e interessarsi, complice una informazione che procede a reti unificate con la censura del referendum. Istigano alla diserzione dalle urne. Al governo serve l'anestesia delle coscienze per proseguire con la svendita e lo stupro del territorio, come fosse cosa sua privata. Siamo alla democrazia drogata da anestetico. Perciò il 17 aprile lo chiamerei giorno di caffeina civile, giorno di adrenalina e di pronto soccorso al nostro suolo. Non è un voto contro il governo, è il voto di chi vuole bene al suo Paese.

 

In Italia è in atto una torsione autoritaria o siamo a semplici boutade giornalistiche?

 

Questo governo, anch'esso non uscito da urne, gode di una congiuntura favorevole: ha maggioranze parlamentari variabili dovute al fine corsa di Forza Italia che vuole sfruttare tutta la durata della legislatura. Da questa posizione irripetibile di vantaggio il governo spadroneggia. Il guasto del nostro Paese è la corruzione. Questa è la tirannia penetrata nelle fibre della società, che produce inerzia. Attribuisco al 17 aprile un' importanza superiore al quesito del referendum: assume il senso di un risveglio di cittadinanza oppure, l’alternativa, la sottomissione all’emiro nostrano. Chi sta con le trivelle in mare vede l'Italia come un suo emirato.

 

Per il comitato del NO con il blocco futuro delle concessioni l’Italia avrebbe bisogno di sopperire al gas e al petrolio “perso” rifornendosi altrove, il che si tradurrebbe nell’arrivo di un maggior numero di petroliere che aumenterebbero i rischi di inquinamento da idrocarburi nei nostri mari. Inoltre le trivellazioni porterebbero ad un risparmio di quasi 5 miliardi l’anno sulla bolletta energetica. Come replica?

 

Sono balle desolate. Le concessioni, come dice la parola, concedono ai petrolieri di vendere l'estratto a chi vogliono loro. Quel gas, quel petrolio non è nostro, per concessione è loro. Da noi intanto con tenacia cresce l'energia rinnovabile che investe sulla dipendenza dal sole e dal vento, per liberarsi dalla dipendenza dei trivellatori, degli sfruttatori e dei loro concessionari politici.

 

Altra questione. Il settore chimico della Cgil si è schierata per il No al referendum per il rischio della perdita dei posti di lavoro. In effetti non sarebbe un disastro occupazionale la vittoria dei Sì?

 

Non è così. Quei posti di lavoro sono altamente specializzati e trovano collocazione ovunque. È puro corporativismo analfabeta, da parte di un sindacato, pronunciarsi contro questo referendum voluto da sette Regioni e per legittima difesa.

 

 

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