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Lunedì 11 aprile 2016

 

Libia, armarsi online

di Marco Cochi

 

Uno studio di Small Arms Survey registra una costante crescita della commercializzazione illegale di armi sui social media. Pistole, fucili e fucili mitragliatori gli articoli più richiesti.

 

Nel maggio del 2015, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite denunciò i rischi derivanti dal traffico illecito di armi leggere alimentato dalla Libia, spiegando come l’ingente concentrazione di queste armi provenienti dagli arsenali del vecchio regime di Gheddafi stava minando la sicurezza dell’intera regione.

A undici mesi di distanza dalla denuncia del Palazzo di vetro, uno studio di Small Arms Survey rileva come dopo la caduta del rais (2011), queste armi si siano riversate sul mercato locale, per essere poi commercializzate anche sui social media, in particolare su Facebook, dove i venditori pubblicano le foto su siti di gruppi “segreti”, come ‘Il mercato libico delle armi da fuoco’ (oggi chiuso).

La relazione è stata condotta dal centro di ricerca svizzero nell’arco di diciotto mesi e pubblicata la settimana scorsa sulla base dei dati elaborati dalla Armament Research Services (Ares). I riscontri forniti dalla società australiana di consulenza tecnica specialistica riguardano 97 operazioni di vendita online di armi leggere effettuate in Libia, ma Small Arms Survey ha già annunciato che alla fine del 2016 pubblicherà un altro report maggiormente approfondito, nel quale verranno esaminati i dati di oltre mille vendite di armi online eseguite nel paese.

Dallo studio emerge che il traffico illegale di armi, iniziato nel 2013, sarebbe in costante crescita. Il centro studi, che fa capo all’Università di Ginevra, ha ricordato pure che Gheddafi aveva accumulato un arsenale del valore di circa trenta miliardi di dollari, ma durante il suo regime il commercio di armi era strettamente regolato e il paese aveva ancora un accesso molto limitato a internet.

Tuttavia, quanto emerge dallo studio non è una sorpresa per gli addetti ai lavori, unanimemente d’accordo nel ritenere che il contrabbando di armi vada avanti da tempo, non solo in Libia, ma anche in Siria, Yemen e Iraq.

Quello che sorprende è la varietà di armamenti che si possono trovare sulle reti dei social media, dove le armi più richieste sono pistole e fucili, ma è possibile anche acquistare un kalashnikov al prezzo medio di 1.800 dinari libici (1.300 dollari), mentre per 8.125 dinari (5.900 dollari) è possibile comprare anche mitragliatrici pesanti e per 85.000 dinari (62.000 dollari) è un sistema anti-aereo e anti-missile.

Tra i prodotti in vendita su Facebook si trovano anche sofisticate apparecchiature ricercate dalle milizie o dai terroristi per portare a termine le loro operazioni. Queste vanno da munizioni traccianti a cannocchiali da puntamento, dalle bombe a mano fino alle radio bidirezionali a cancellazione di rumore auricolare con microfono per armi speciali e tattiche.

La ricerca dimostra come negli ultimi quattro anni, i progressi nel ridurre questo traffico illecito sono stati molto limitati. I primi dati sul commercio online, che costituisce solo una frazione dell’intero volume del commercio illegale di armi libico, danno un’idea di quanto sia allarmante la situazione nel paese nordafricano.

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