http://www.nigrizia.it/

Lunedì 02 maggio 2016

 

La saga infinita del business armato

di Gianni Ballarini

 

Oltre i 4 miliardi di euro il valore delle operazioni segnalate dagli istituti di credito. Al vertice ancora la Deutsche bank, seguita da Crédit agricole e dal Gruppo Unicredit. Sorprendente il dato del Banco popolare, che in un anno è cresciuto del 3.000%. I paesi del Medioriente i principali pagatori.

 

Una “banca armata” – il Banco Popolare – cresciuta del 3.000% in un anno. Oltre 4 miliardi di euro (un incremento del 57,2% rispetto al 2014) il valore delle transazioni accreditate sui conti correnti delle banche con sede in Italia.  Unicredit e Intesa-San Paolo, sempre più munifiche, riconquistano i vertici di questa, un tempo poco ambita, classifica. Emirati arabi uniti e Algeria contendono a Germania e Regno Unito il primato di paesi pagatori. Il Medioriente si conferma l’area principale di destinazione delle armi italiane.

Sono queste, in estrema sintesi, le curiosità principali ricavate dal rapporto del ministero dell’economia e delle finanze (Mef), allegato alla Relazione al parlamento sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento, 2015.

 

Documento che certifica come il mondo bancario italiano, scansando ogni freno etico (se mai l’ha avuto), torni a offrire con generosità i suoi servizi e conti correnti ai clienti che vendono armamenti all’estero. Un business rifiorito che va di pari passo con la vendita esplosiva di prodotti bellici italiani (aerei, navi da guerra, missili, bombe…) in giro per il mondo.

 

Il valore complessivo delle operazioni bancarie legate all’esportazione definitiva (somma degli importi segnalati con gli importi accessori segnalati) è stato di 4,06 miliardi di euro nel 2015, contro i 2,6 del 2014 e i 2,9 del 2013. Un aumento su cui ha inciso, in particolare, il valore degli importi accessori segnalati (quelli che comprendono, soprattutto, i compensi di mediazione), passati da 263,3 milioni del 2014 a 1,4 miliardi di euro nel 2015.

Rispetto a un tempo, quando era obbligatorio per le banche chiedere al Mef l’autorizzazione per ogni transazione, dal 2013 è sufficiente una semplice comunicazione via web delle operazioni effettuate. Una sburocratizzazione dell’iter che ha accontentato le esigenze delle banche. Meno quelle della società civile, che preferiva un controllo preventivo pubblico su queste attività tramite lo strumento delle autorizzazioni.

E anche nelle pagine della relazione del Mef si sottolinea come «questo nuovo applicativo» riscontri il gradimento degli istituti bancari. Lo testimonia, a suo dire, l’aumento del numero delle segnalazioni, passate da 8.473 del 2014 alle 12.456 dell’anno scorso.

 

Al vertice della classifica, incontrastata da anni, troviamo la tedesca Deutsche bank, con oltre un miliardo di euro fatti transitare sui propri conti. Un incremento, rispetto al dato del 2014, del 37,5%. Una percentuale di crescita tra le più modeste se confrontata con quella di altre banche che la seguono nella lista. Ad esempio, al secondo posto si piazza il Crédit agricole corporate and investment bank con quasi 591 milioni di euro (e si trascurano i dati delle banche italiane appartenenti al gruppo Crédit: Carispezia, Cariparma e Friuladria). Il balzo in avanti rispetto al 2014 è stato del 781,5%. Al terzo e quinto posto due istituti italiani: il Gruppo Unicredit (Unicredit spa e Unicredit Bank Ag) con poco più di 474 milioni (il 101% in più rispetto all’anno precedente) e Intesa-San Paolo con 301,3 milioni (+498% rispetto al 2014, quando l’ammontare depositato si era fermato a 50,4 milioni di euro). Hanno una buona classifica anche Bnp Paribas (il 6,22% sul totale), Bnl (il 4,03%) e la Banca popolare dell’Emilia Romagna (il 2,45%, con poco meno di 100 milioni di euro).

 

I primi 3 istituti in classifica rappresentano, da soli, oltre il 54% della torta complessiva.  

Una reazione di stupore suscita il dato del Banco Polare: in un anno è passato dal gestire transazioni armate per 147mila euro (nel 2014) a 44,2 milioni (nel 2015). Una crescita del 3.000%. Da anni la banca, che ha la propria sede a Verona, si era vantata di non essersi mai sporcata le mani con questo tipo di attività. Evidentemente ha cambiato policy.

Ma quali sono i paesi pagatori che hanno utilizzato i servizi messi a disposizione degli istituti italiani? Al vertice c’è la Gran Bretagna, con 271 milioni di euro, seguita dagli Emirati arabi uniti (260 milioni), dalla Germania (220 milioni) e dall’Algeria (216,3). In alto in classifica troviamo anche Israele (165,3 milioni) e Turchia (122 milioni). Sorprende il dato del Perù: 150 milioni di euro.  

 

I paesi mediorientali, in genere, sono ottimi clienti per le aziende italiane. Hanno fatto transitare sui conti bancari del Belpaese quasi un miliardo e mezzo di euro. Con il Nordafrica rappresentano oltre il 41% del mercato.

http://www.nigrizia.it/
Venerdì 29 aprile 2016

Triplica la vendita di armi italiane
di Gianni Ballarini

Supera gli 8 miliardi di euro il valore delle esportazioni: il 186% in più rispetto al 2014. Le aziende del Belpaese hanno venduto molto, anche nei paesi del sud del mondo. I dati in anteprima della Relazione della presidenza del Consiglio.

L’esportazione di armi italiane nel mondo segna un incremento del 186% rispetto al 2014. Dato clamoroso – che Nigrizia rivela in anteprima – che mostra come sia di cartapesta la retorica smerciata da chi si lamenta che l’Italia delle armi è in declino.
L’anno scorso, infatti, il valore globale delle licenze di esportazione definitiva ha raggiunto gli 8.247.087.068 euro rispetto ai 2.884.007.752 del 2014. Un boom senza precedenti, che il ministero degli esteri e della cooperazione (Maeci) ha cercato di camuffare con un commento eufemistico: «Si è pertanto consolidata la ripresa del settore Difesa a livello internazionale, già iniziata nel 2014 e in linea con l’andamento crescente globale del settore difesa nel 2015». I dati sono contenuti nella Relazione sulle operazioni autorizzate di controllo materiale di armamento 2015, consegnata il 18 aprile scorso dal sottosegretario di stato alla presidenza del consiglio dei ministri alle cinque commissioni permanenti di Camera e Senato (affari costituzionali; affari esteri, emigrazione; difesa; finanze e tesoro; industria, commercio, turismo).

Crescita esplosiva
Numeri che confermano come la crescita del settore sia imponente ed “esplosiva”. Le sole licenze di esportazione definitiva (esclusi quindi i gettiti da intermediazione e dalle licenze globali di programma) hanno raggiunto i 7.882.567.504 di euro, rispetto ai 2.650.898.056 (+197,4%) del 2014. L’anno scorso, le autorizzazioni definitive all’export sono state 2.775 contro le 1.879 del 2014 (+ 47,7%). Percentuali che non lasciano spazio a dubbi. A beneficiarne le aziende del settore, con Alenia Aermacchi, Agusta Westland, Ge Avio, Selex ES, Elettronica, Oto Melara, Intermarine, Piaggio Aero Industries ai primi posti della classifica come valore contrattuale delle operazioni autorizzate. La maggior parte di queste aziende, come sempre, è di proprietà o è partecipata dal gruppo ex Finmeccanica, oggi Leonardo.

I paesi acquirenti
E a chi spediamo questo massa enorme di armi? I flussi di esportazione si sono orientati, più che in passato, verso i paesi Ue/Nato: in percentuale si è passati dal 55,7% del 2014 al 62,6% dell’anno scorso. Poi l’Asia (dal 7,3% al 18,3%). Nordafrica e Medio Oriente (sempre accorpati in queste statistiche) hanno raggiunto l’11,8%. E se in percentuale il dato segnala un calo (28% nel 2014), in valori assoluti quest’area del mondo è cresciuta dai 741 milioni del 2014 ai 931,2 del 2015. In cima alla lista dei paesi destinatari troviamo la Gran Bretagna, passata da 306 milioni a 1,3 miliardi di euro. Due i paesi dai dati sconcertanti: Singapore (al 6° posto) passato dall’ aver acquistato armi, nel 2014, per un valore poco superiore al milione di euro, ai 381 milioni del 2015. L’altro paese dalla crescita stupefacente è Taiwan, che da 1,4 milioni è salito a 258. Tra i primi dieci paesi troviamo, come nel 2014, gli Emirati arabi uniti (che hanno ricevuto materiale bellico per 304 milioni di euro, in linea con l’anno precedente) e l’Arabia Saudita (dai 163 milioni a 258). Due paesi alla guida della coalizione arabo-africana in conflitto nel vicino Yemen. A dimostrazione che i divieti imposti dalla legge 185 del 1990 (non vendere armi a paesi in guerra) sono carta straccia nella realtà. Anche la Turchia ha più che raddoppiato gli investimenti in armi italiane: 128,7 milioni a fronte dei 52,4 del 2014.

E l’Africa?
Il dato che spicca maggiormente è che per la prima volta la regione subsahariana supera il Nordafrica nello shopping armiero da aziende italiane: 152,9 milioni contro gli 87,5 del 2014. Da considerare che due anni fa il dato dei paesi al sud del Sahara era di poco inferiore ai 2 milioni. Il valore complessivo dell’export nel continente supera nel 2015 i 240 milioni di euro, contro i 96 del 2014. Il paese che ha fatto il balzo in avanti più evidente è lo Zambia che da 0 è passato a 98,3 milioni. Se si considerano solo i paesi extra Ue/Nato, Lusaka si colloca all’11° posto, con un 3,34% complessivo della torta.
Da evidenziare anche gli acquisti kenyani: da 472mila euro a oltre 25 milioni. Nel Nordafrica, cala l’Algeria (da 61,6 milioni di euro a 29,7 del 2015), ma aumenta consistentemente il Marocco (da 518mila a 19,7 milioni di euro). I buoni rapporti tra Italia ed Egitto si manifestano anche nel commercio di armi. Resta rilevante, infatti, la vendita a il Cairo: 37,6 milioni, quando erano 31,7 nel 2014. Alla faccia del regime e delle violenze praticate nel paese.

top