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4 Aprile 2016

 

L’escalation nel Nagorno-Karabakh infiamma il Caucaso

di Giovanni Giacalone 

 

Dopo anni di relativa tranquillità si riaccende lo scontro tra Armenia e Azerbaijan. Un'escalation che rischia di trascinare nel caos l'intera regione in cui Russia e Turchia giocano un ruolo di primo piano.

 

Un altro fronte rischia di aprirsi appena fuori dai confini della Federazione Russa, quello tra Armenia e Azerbaijan. Nella giornata di sabato infatti sono stati segnalati scontri a fuoco tra gli eserciti dei due paesi per il controllo del Nagorno Karabakh, dopo 22 anni di relativa calma. Il Ministro della Difesa di Baku ha accusato gli armeni di aver ucciso 12 militari e distrutto un elicottero e un carro armato mentre il governo di Yerevan accusa gli azeri di aver causato al morte di 18 soldati armeni e il ferimento di 35. Il timore è che non ci troviamo davanti a scaramucce locali ma a un vero e proprio “incendio” appiccato con l’intento di destabilizzare per l’ennesima volta le aree prossime al confine con la Russia e in particolare con il Caucaso settentrionale. Del resto i precedenti ci sono: la destabilizzazione dell’Ucraina e l’infiltrazione islamista filo-turca all’interno delle comunità tartare di Crimea; una Polonia isterica che chiede a gran voce un ammasso di truppe NATO al confine con la Russia, tirando in ballo una minaccia inesistente; un’isteria forse legata a vecchi traumi pre-1991. Dopotutto sono gli stessi vertici della NATO e gli USA a sostenere che la Russia continua ad essere una grossa minaccia, eppure i rischi per l’Europa giungono da tutt’altra direzione, come dimostrano gli attacchi di Brussels; giungono da un ISIS che è stato dilaniato in pochi mesi di bombardamenti aerei proprio da quella Russia che Washington e NATO tanto osteggiano. Sono in molti a chiedersi le motivazioni di ciò, così come ci si chiede come sia possibile che Mosca, con una campagna aerea di soli 5 mesi, sia riuscita a devastare l’ISIS, permettendo al governo siriano di riprendere il controllo di buona parte del territorio, quando un anno di bombardamenti NATO avevano praticamente lasciato intatte le infrastrutture dell’ISIS.

Non solo, ma secondo diverse fonti, è proprio un paese membro della NATO, la Turchia, ad aver fornito appoggio logistico e armamenti ai jihadisti dell’ISIS e ai qaedisti di Jabhat al-Nusra (questi ultimi recentemente ribattezzati come “moderati”), la medesima Turchia che, guidata dal partito filo Fratelli Musulmani, l’AKP, prosegue con una persecuzione sistematica di giornalisti e oppositori che ha costretto Washington a definirla “problematica”. La medesima Turchia che si è immediatamente schierata a favore dei fratelli turchi di Azerbaijan contro la cristiana Armenia. Erdogan ha infatti dichiarato che “il popolo turco sarà sempre dalla parte dell’Azerbaijan”. 1 Del resto l’Azerbaijan svolge da sempre un ruolo chiave per l’infiltrazione in Daghestan di jihadisti dell’Emirato del Caucaso, quegli stessi jihadisti che hanno trovato ospitalità in territorio turco. Washington dal canto suo sembra la grande assente in questa fase, con Obama che era impegnato ad imparare il tango a Buenos Aires mentre Brussels bruciava e che poco dopo veniva esibito come trofeo da Raul Castro a Cuba.

Forse tutto sommato non poteva che essere così, del resto l’amministrazione Obama si avvia verso la fine della propria storia con una serie di fallimenti che hanno fatto impallidire persino la lontana amministrazione Carter. Putin con una breve campagna aerea ha inflitto un colpo durissimo a Washington e ai suoi “ribelli moderati”, ha scoperto gli altarini di Erdogan e ha messo in seria difficoltà le lobby wahhabite. La cosiddetta “Primavera Araba” si è rivelata un vero disastro, con un tentativo fallimentare da parte dell’amministrazione Obama, plausibilmente infiltrata da elementi legati ai Fratelli Musulmani, di portare al governo in Egitto, Libia, Siria e Tunisia l’organizzazione islamista. I risultati si sono visti. Intanto l’Europa paga anche decenni di pseudo-interventismo NATO che non hanno fatto altro che creare veri e proprio focolai islamisti in Libia e nei Balcani. Il resto deve ancora arrivare e le premesse non sono delle migliori.

 

 

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