Fonte: Fabio Falchi

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10/09/2016

 

La mossa del cavallo

di Fabio Falchi

 

L'intervento militare russo in terra siriana, insanguinata da oltre cinque anni di guerra, proprio quando la Russia sembrava "messa in un angolo" dall'espansione della Nato in Europa orientale e dal golpe in Ucraina, sta dando i suoi frutti sul piano diplomatico e geopolitico.

Da un lato, non solo ha creato le condizioni perché l'esercito di Damasco potesse lanciare una controffensiva contro le bande islamiste, riguadagnando buona parte dei territori perduti, ma ha ridimensionato le ambizioni di Erdogan, facendo venire allo scoperto i rapporti tra Ankara e l'Isis e destabilizzando la stessa Turchia (che si vede in qualche modo obbligata a ridefinire il proprio ruolo nell'ambito della Nato e con il mondo occidentale in generale, in specie dopo il fallito golpe del luglio scorso). Dall'altro, ha messo nudo l'ambiguità di quella strategia del caos che contraddistingue la politica dell'amministrazione Obama dopo il fallimento politico-militare degli Usa in Iraq.

E' evidente allora che la " mossa del cavallo" da parte di Mosca mira a costringere gli Usa ad accettare una sorta di patta nella regione. Mosca difatti si comporta da grande potenza in Medio Oriente, ove la geopolitica del caos ha rimescolato le carte al punto che perfino i rapporti tra Tel Aviv e Washington non sono certo dei migliori, anche per l'accordo sul nucleare iraniano - un accordo che, in base alla "dottrina Brzezinski" doveva essere nelle intenzioni di Washington la carta vincente per ridefinire gli equilibri geopolitici della regione in funzione degli interessi globali degli Usa anziché di quelli meramente regionali di Israele.

Del resto, la Russia non può certo trascurare quanto accade in Europa orientale, tanto più adesso che si profila all'orizzonte la minaccia di un "superfalco" come la Clinton alla Casa Bianca.

Da qui a necessità di allentare la tensione con Washington, e la ricerca di alleati sia ad Est che ad Ovest. Questo però non significa che Mosca non sia consapevole che oggi la Russia è "oggettivamente" il principale centro antiegemonico (la Cina è ancora in fase di crescita sotto questo aspetto e comunque non ha la stessa forza di attrazione nei confronti dell'Europa che può avere la Russia) e di conseguenza sia vista da Washington sempre come il nemico (principale potenziale o meno).

Anzi, è proprio questa consapevolezza che si deve tener presente per giudicare le mosse di Mosca a lume di geopolitica (e perfino di metapolitica) anziché di ideologia, ossia senza perdere di vista quali sono i reali rapporti di forza tra i diversi "centri di potenza" in un contesto internazionale che tende ad evolversi, sia pure caoticamente e lentamente, verso un autentico multipolarismo, ma al tempo stesso caratterizzato dal tentativo di Washington di difendere un multipolarismo asimmetrico che consente agli Usa di essere ancora la potenza egemone, nonostante la crescita della Cina il ritorno da protagonista sulla scacchiera globale ripresa della Russia sotto Putin.

Comunque sia, la situazione internazionale è talmente fluida che è davvero difficile fare previsioni, benché ci si debba aspettare colpi di scena e voltafaccia repentini, da una parte e dall'altra, mentre pare logico ritenere che i diversi attori geopolitici, globali e regionali, cercheranno di consolidare le proprie posizioni in attesa di sapere chi sarà il prossimo inquilino della Casa Bianca.

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