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11 maggio 2016

 

Da euromaidan allo spettro del fallimento arancione

di Oleksiy Bondarenko

 

L’Ucraina ha un nuovo governo. Volodymyr Groysman ha incassato qualche giorni fa il voto di fiducia della Verkhovna Rada, formando la nuova squadra di ministri. L’apparente fine della crisi istituzionale che durava ormai da svariati mesi sembra però essere l’unica nota positiva a Kiev. Il nuovo governo si pone in chiara continuità con quello di Yatseniuk, poggerà su una maggioranza estremamente risicata e dovrà fare i conti con il crescente malcontento della popolazione.

 

Sulla orme di Viktor Yushenko

Ad uscire apparentemente rafforzato dal rimpasto di governo sembra il presidente, Petro Poroshenko. Volodymyr Groysman, infatti, è uno dei suoi uomini. Formatosi politicamente nella oblast’ di Vinnycja, all’età di 28 anni era diventato il più giovane governatore regionale, ma il vero exploit nella sua carriera politica è arrivato dopo la rivoluzione di Maidan, con la carica di speaker della Rada prima e quella di Primo ministro ora.

Questa vittoria di Poroshenko, però, potrebbe rivelarsi ben presto una vittoria di Pirro. Le grandi promesse fatte durante i mesi di protesta di due anni fa si sono dimostrate ampiamente disattese e il vento del cambiamento tanto atteso si è rivelato una placida bonaccia. La nuova classe politica che ha sostituito la “famiglia” dell’ex presidente Viktor Yanukovich ai vertici dello stato si è dimostrata, infatti, incapace o peggio ancora non disposta a trasformare radicalmente i vecchi schemi che hanno guidato l’approccio della classe dirigente ucraina dai tempi dell’indipendenza del paese. Pur cambiando gli attori, le vecchie regole del gioco sono rimaste immutate e a definire la composizione del governo sono, come di consueto, le relazioni tra la politica e il grande business. L’influenza dei gruppi di potere oligarchico sui processi politici è rimasto determinante e la nuova classe dirigente continua a mantenere un piede in due scarpe, con un occhio agli interessi degli “amici” e l’altro ai propri affari di bottega. Poroshenko, che durante la campagna elettorale aveva promesso di dismettere il proprio impero economico per dedicarsi esclusivamente agli affari dello stato, è rimasto di recente coinvolto nello scandalo dei Panama Papers e, non a caso, è stato uno dei pochi oligarchi ad aver aumentato il proprio patrimonio personale nel 2015. Assicurarsi la fedeltà del premier e spartirsi i ministeri con il Fronte Popolare di Yatseniuk potrà servire come una mossa tattica di breve periodo, ma il futuro del presidente sembra assomigliare maggiormente a quello del leader della Rivoluzione arancione, Viktor Yushenko, la cui credibilità politica è andata ad infrangersi contro i ripetuti fallimenti della sua presidenza.

 

All’insegna della continuità

Ancora più preoccupante, però, appare l’incapacità del nuovo governo di proporre riforme significative in materia economica e politica. Le estenuanti trattative tra i due maggiori partiti (Blocco di Petro Poroshenko e Fronte Popolare) per spartirsi i ministeri, hanno seppellito definitivamente le prospettive della formazione di un governo guidato dai cosiddetti “riformatori”, che negli ultimi due anni si sono trovati la strada sbarrata dai continui “inciuci di palazzo”. Esemplificativo è stato il caso del Ministro dello sviluppo economico Aivaras Abromavi?ius o quello di Natalie Jaresko, una delle figure con maggiore credibilità all’interno delle strutture governative, arrivata per trasformare radicalmente il paese e rimasta fuori dal nuovo governo. La loro parabola politica rappresenta perfettamente lo specchio della vecchia Ucraina, dove le conoscenze e i rapporti con “uomini influenti” contano ben più delle capacità e dei meriti politici. Anche se una nuova serie di esperti è entrata a far parte dell’ampio ventaglio di consiglieri del governo, come l’ex vice premier slovacco Ivan Mikloš o quello polacco Leszek Balcerowicz, il chiaro accentramento di potere da parte di Poroshenko appare difficilmente associabile all’idea di cambiamento.

E’ pur vero che non si può dimenticare che il nuovo regime abbia dovuto affrontare innumerevoli difficoltà come la perdita dell’integrità territoriale, la guerra ibrida nel Donbass e la battaglia delle sanzioni con la Russia. Ma è altrettanto vero che Poroshenko, più di altri, ha goduto di un ampio credito da parte della comunità internazionale e, soprattutto, della società civile proprio a causa di queste difficoltà.

Tale credito appare non illimitato. Il crescente malcontento a causa della crisi economica e dell’assenza di qualsivoglia segnale di progresso nella lotta alla corruzione e all’influenza degli oligarchi sulla vita politico-sociale del paese, ha già fatto precipitare la reputazione di Yatseniuk, con evidenti ripercussioni anche sulla figura di Poroshenko. Il fronte populista, composto da Yulia Tymoshenko e Mikhail Saakashvili, sembra più forte che mai, ma anche esso non rappresenta il cambiamento, ma solo un’alternativa all’interno dello stesso sistema.

L’Ucraina di oggi appare inesorabilmente destinata a galleggiare tra le turbolenze politiche interne, una società civile sempre più disillusa e un vago sostegno occidentale. Dopo due rivoluzioni negli ultimi dieci anni il paese rimane indissolubilmente legato al proprio perverso gattopardismo.

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