Ansa - 10 aprile 2016 - Il premier ucraino Arseni Iatseniuk si è dimesso. Lo riferisce la Tass. "Ho deciso di dimettermi. Lo riferirò alla Rada (il Parlamento, ndr) martedì", ha detto in tv. La mossa di Iatseniuk apre la strada alla formazione di un nuovo governo mettendo fine alla crisi politica che stava vivendo il Paese. Iatseniuk aveva infatti superato un voto di sfiducia a febbraio, ma due partiti avevano lasciato per protesta la coalizione di governo, privandola così della maggioranza in Parlamento.


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9 aprile 2016

 

Scenario jugoslavo per l’Ucraina della junta golpista?

di Fabrizio Poggi

 

A suo tempo, il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon aveva detto che “l’Ucraina non è uno stato, bensì un circondario amministrativo dell’Urss”. La dichiarazione, a suo modo strabiliante, si spiegava col fatto che l’Ucraina, dalla fine dell’Urss, non aveva ancora proceduto a registrare formalmente all’ONU la demarcazione dei propri confini come stato. Giuridicamente, essendo la Russia riconosciuta quale “erede” dell’Urss, il territorio ucraino farebbe parte della Federazione Russa! Di conseguenza, era anche impossibile denunciare qualcuno di violazione delle frontiere ucraine o qualcun altro di separatismo: tutte accuse che, come è noto, la Kiev golpista rivolge tutt’oggi al suo grande vicino orientale e alle milizie popolari del Donbass. Ma questo accadeva nel 2014.

Concretamente, quali sono oggi le frontiere ucraine e da chi – legittimamente o meno, non è questa la sede per stabilirlo – sono minacciate, non solo a est? Paradossalmente, si potrebbe dire che è un bene per la stessa Ucraina che al referendum olandese abbia prevalso il “no” al trattato di associazione alla UE; un trattato che, tra le altre cose, prevede la restituzione agli originari proprietari dei beni posseduti prima della espropriazione. Se le varie pretese territoriali su differenti spezzoni di territorio ucraino dovessero venir riconosciute (ma, dovrebbe essere un Tribunale internazionale a farlo, su istanza di entrambe le entità statali), quanto rimarrebbe di quello che è oggi il più esteso stato europeo, coi suoi 604mila kmq? A partire dai territori settentrionali della Rzeczpospolita polacca, della Galizia – regioni di L’vov, Ivano-Frank, Ternopol – e della Volinja – Lutsk e Rovno – o della Slobožanš?ina russa, a quelli meridionali del Khanato di Crimea e dell’odierno Donbass e poi quelli orientali dell’Oltrecapazia ungherese.

Cerchiamo di dare un po’ di ordine alla cosa. Come scrive Boris Julin su Nakanune.ru, ad esempio, i Paesi baltici hanno già iniziato a restituire le terre ai legittimi eredi dei vecchi proprietari. Se di cancellazione del passato sovietico si tratta – e chi meglio dei golpisti ucraini può dire qualcosa in tal senso! – allora tutto ciò che l’Ucraina ha ricevuto, per dire, a conclusione della Seconda guerra mondiale, come allargamento dei confini dell’Urss, deve essere restituito. Ma si va anche oltre: il media “Wprost”, cercando forse di dare fondamento alle pretese polacche, menziona come “processo naturale di restituzione” il ritorno della Crimea nella Russia, in base allo status della penisola al 28 giugno 1914. In verità, le pretese polacche potrebbero riguardare anche parte della Bielorussia occidentale; ma per il momento la questione appare più urgente riguardo all’Ucraina, nei confronti della quale non si può non porre l’interrogativo: Kiev pretende che il passato sovietico debba essere cancellato e criminalizzato, oppure pensa che le norme previste per l’associazione alla UE valgano per tutti paesi, meno che per essa? Se si aderisce alla UE, è naturale che se ne accettino le norme e, tra queste, l’art.1 della Convenzione del Consiglio d’Europa del 1950 sulla “Difesa della proprietà delle persone fisiche e giuridiche”! In sostanza, si tratterebbe della restituzione della proprietà sulle terre, ma non, verosimilmente, della cessione di territori; ma, una volta avviato il processo, potrebbe esser difficile fermarlo. Appena pochi mesi fa, il direttore dell’Istituto ucraino di analisi politica, Ruslan Bortnik, ricordava come la destra reazionaria al potere in Polonia guardi all’Ucraina occidentale come alla “propria terra primordiale” e se noi, scriveva Bortnik, “considereremo la liberazione dell’Ucraina nel 1944 come un cambio di occupazione, da tedesca a sovietica, allora i polacchi avranno in mano uno strumento politico assolutamente legittimo per pretendere la restituzione delle loro proprietà nell’Ucraina occidentale”.

L’organizzazione polacca “Restitucija kresov” sta già esaminando oltre mille richieste di restituzione da parte di altrettanti cittadini polacchi, le cui proprietà sono finite in territorio ucraino alla fine della guerra. “L’ingresso in UE significa restituzione”, afferma Igor Pykhalov, così che se a Kiev “negano ogni eredità sovietica, ne consegue che l’ucraina detiene illegalmente i propri territori occidentali”. Ma, la Polonia, non intenterà causa a Kiev per qualche edificio appartenuto agli ebrei o emigrati russi: lo farà piuttosto, scrive Elena Ry?kova su Nakanune.ru, “per Galizia, Volinja e Polesie, vale a dire le attuali regioni di L’vov, Ternopol, Ivano-Frank, Rovno” in cui, a detta delle autorità di Varsavia, i polacchi continuano ancor oggi a esser bistrattati da Kiev. Da tempo, il presidente Andrzej Duda sta chiamando i polacchi a tenersi pronti alla battaglia per le restituzioni, anche se, scrive Pykhalov, molti polacchi avrebbero da ridire nel trovarsi in casa gli eredi delle SS ucraine responsabili del “macello della Volinja” e, comunque, sembrano non rinnegare la vecchia visione degli ucraini quali “schiavi delle campagne”. Sensazionale, scrive ancora Ry?kova, la posizione della Camera di commercio austriaca, secondo cui “l’Ucraina, in quanto stato, dovrebbe autoestinguersi a favore della Russia, a esclusione dell’antica regione della Galizia, che 100 anni fa faceva parte dell’Austria-Ungheria”; posizione che fa imbestialire Varsavia, che ne rivendica la proprietà da tempo più antico.

Più a sud invece, il leader del Medžlis dei tatari di Crimea, Mustafa Džemiliev, si dichiara erede dell’ultimo Khan Šakhin Geraj e pretende da Mosca la restituzione della residenza di Bakh?isaraj, quale condizione per il suo riconoscimento della Crimea russa.

Quindi, più a ovest, la questione verte sulle regioni dell’Oltrecarpazia e della Bucovina: la prima, con la città di Užgorod, appartenuta a suo tempo sia all’Ungheria che alla Slovacchia e che conta ancora forti minoranze ungherese e slovacca – caratteristico l’aneddoto, per cui gli abitanti dell’Oltrcarpazia, sentendosi a tal punto ungheresi, usano l’espressione “andare in Ucraina”. Per quanto riguarda la Bucovina, con la regione di ?ernovitsi, questa è appartenuta alla Romania fino alal fine della guerra e Bucarest ha più volte dichiarato la volontà di “proteggere” le minoranze rumene sia in Bucovina, sia in Bessarabia settentrionale (Moldavia) che meridionale, la cosiddetta “Bessarabia storica” o Budžak, in cui rientra parte della regione di Odessa.

Tirando qualche somma, all’Ucraina sono appartenute storicamente circa 8 regioni della parte centrale del paese e i territori occidentali, inclusa l’Oltrecarpazia, difficilmente potrebbero pretendere a tale titolo. “Ucraina meridionale, Donbass e Crimea”, afferma Vasilij Stojakin su dnepr.ru “appartenuti all’impero russo, furono donati all’Ucraina socialista dall’Urss. Dunque, chi parla di “occupazione russa o sovietica” dovrebbe essere anche pronto alla revisione delle frontiere ucraine a favore delle altre “vittime” di tali occupazioni”.

E Kiev è stata messa in allarme proprio in questi giorni da un’ennesima ondata di separatismo dell’Oltrecarpazia, i cui rappresentanti regionali, sulla base del disegno di legge sulla decentralizzazione – prevista per il Donbass dagli accordi di Minsk – chiedono la concessione dell’autonomia. Ma, si sa che dal progetto, prima ancora di divenire legge, era già scomparso ogni accenno allo “status speciale” o all’autonomia per il Donbass e, per quanto riguarda l’Oltrecarpazia, il governatore Gennadij Moskal (che nel Donbass occupato da Kiev manteneva l’ordine alla maniera di Stepan Bandera) spedito qui dopo le sparatorie dell’estate scorsa tra Pravyj Sektor ed esponenti delle oligarchie mafiose locali a Muka?evo – l’ungherese Munkácz – è pronto a ricorrere all’intervento dei militari per reprimere ogni velleità autonomista. Ma sembra che debba andare coi piedi di piombo, in una regione che riveste caratteristiche specifiche e che, ad esempio, per vicinanze di clan familiari, si differenzia totalmente dalla pur vicinissima Galizia. Già nel dicembre scorso, un centinaio di cittadine e villaggi dell’Oltrecarpazia avevano annunciato l’intenzione di dar vita a un “rione ungherese separato”, con capoluogo la cittadina di Beregovo, pochi chilometri a sudovest di Muka?evo e vicinissima ai confini ungherese e rumeno. L’iniziativa sarebbe stata appoggiata dalla “Unione degli organi frontalieri autonomi”.

In ogni caso, Kiev non è assolutamente intenzionata a venire incontro alle richieste di autonomia, che vengano dall’est o dall’ovest del paese. Nell’ottobre scorso la Bessarabia meridionale, compresa tra l’estuario del Dnestr e il delta del Danubio, minacciava di mettersi sulla strada del Donbass e della divisione da Kiev. I Gagauzi della Moldavia meridionale e i Bessarabi della regione di Odessa avevano proclamato l’intenzione di dar vita a una Repubblica autonoma di Budžak, la Bessarabia Vecchia, la cui capitale dovrebbe essere Belgorod-Dnestrovsk, l’antica fortezza ottomana di Akkerman. Il “presidente” temporaneo della nuova entità, il colonnello cosacco Aleksej Litvinenko, aveva dichiarato di voler riunire nella “Bessarabia meridionale ucraini, bulgari, gagauzi, moldavi, tsigani, ebrei”, dando vita “a organi provvisori di potere” con elezioni presidenziali, sistema finanziario autonomo e proprie forze armate. Il rappresentante bulgaro al parlamento Europeo aveva dichiarato di appoggiare il diritto del Budžak all’autodeterminazione democratica; i maggiori media rumeni, invece, erano tornati ad agitare il tema del recupero dei territori “storicamente rumeni, ingiustamente persi nei secoli XIX e XX a vantaggio dell’Ucraina occidentale” e avevano ammonito il governo a prepararsi per un probabile intervento in Ucraina per “difendere i territori rumeni di Bucovina settentrionale e Bessarabia meridionale”. L’Ucraina, scrivevano i media rumeni, “è uno stato artificiale, non omogeneo, apparso sulle rovine dell’Urss. Forse che, in caso di molto probabili sconvolgimenti interni, lo stato rumeno non dovrebbe intromettersi, a difesa dei rumeni residenti in Bucovina settentrionale, provincia di Herca, Bessarabia settentrionale e meridionale e, perché no, Transnistria?”.

La Bessarabia – gran parte della quale costituisce il territorio dell’odierna Moldavia e la cui parte meridionale fa parte della regione di Odessa – è rimasta sotto il giogo ottomano dalla metà del XVI secolo ed entrò a far parte dell’impero russo nel 1812, a conclusione della guerra russo-turca.

E proprio alla Turchia sembra invece che Kiev si appresti a “donare” parte del proprio territorio, secondo il progetto per la creazione di un centro autonomo dei tatari di Crimea nella regione di Kherson, in cui si insedieranno circa 200mila turchi-meskhetini, con la svendita ad Ankara, di fatto, di una cospicua porzione di territorio ucraino.

Insomma, tra territori in lotta per l’autonomia, regioni aggredite e massacrate per non aver riconosciuto il golpe banderista del 2014, province rivendicate o pretese da stati esteri, e circondari che la junta putschista non esiterebbe a donare ai propri “correligionari” in camicia bruna, Kiev rischia di ritrovarsi veramente a mendicare la carità della UE, avendo come sfondo uno scenario jugoslavo che non dispiacerebbe forse a USA e Nato.

 

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