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08 Febbraio 2016

 

Giulio Regeni, dove volano gli avvoltoi

Fulvio Grimaldi

 

Un eroe? Calma e gesso

Sulla persona di Giulio Regeni, trovato morto con segni di tortura al Cairo, probabilmente fatto trovare morto con segni di tortura, non ho elementi e quindi diritto di pronunciarmi. Prendo atto della sua formazione accademica anglosassone, della sua vicinanza giornalistica al più discutibile e filoccidentale informatore sul Medioriente (Giuseppe Acconcia, “il manifesto”), del suo impegno per i "sindacati indipendenti". Leggo anche della notizia riferita dal “Giornale” secondo cui Regeni avrebbe lavorato per il servizio segreto AISE. Prendo quest’ultima notizia con le pinze, come con pinze lunghe cento metri prendo l’uragano di interpretazioni uniformi e apodittiche, nella solita chiave razzista eurocentrica, scatenate, sul solito pubblico basito e disarmato, in perfetta unanimità dai due giornali opposti di opposizione (“manifesto” e “Fatto Quotidiano”) e dalla gran maggioranza dei mainstream media di stampa e radiotelevisivi. In ogni caso, compiango la sua morte e il dolore dei suoi.

Non ho certezze, ma come per tutti gli avvenimenti che rivestono una portata strategica ed esercitano una fortissima pressione sull’opinione pubblica,  potenziata dal concorso dei media citati, mi permetto di rilevare indizi e raggiungere un’ipotesi che, alla luce di quanto c’è di concreto e inoppugnabile, ha la stessa dignità e validità di quelle conclamate con sospetta sicumera da tutti gli altri che, a minuti dalla scoperta del cadavere, sanno già perfettamente su chi puntare il dito.

Regeni scriveva per il “manifesto” sotto pseudonimo. Per timore di rappresaglie, come dice la direttrice del suo giornale, dotata di certezze incrollabili fin dalle prime ore della notizia del ritrovamento, o perché sotto copertura?

E tutti gli altri, che dal Cairo sparano a zero sul governo Al Sisi, in prima linea il pasionario dei Fratelli Musulmani, Acconcia, e  poi i corrispondenti del New York Times, del Guardian, di Al Jazeera e tanti altri, in maggioranza non avari di critiche anche sanguinose al “dittatore”, come mai firmano con nome e cognome rischiando ogni giorno di finire tagliuzzati in un fosso di periferia?

 

Un criminale? Per chi?

Non mi pronuncio nemmeno sulla natura del governo del presidente, ex.generale, Al Sisi. Mi mancano gli elementi e, alla luce di esperienze solide come il marmo, non mi fido minimamente, anzi diffido con tutte le mie forze, delle fonti portate, con scarsa avvedutezza giornalistica (ma forse con comunanza di interessi e motivazioni) in palmo di mano e consacrate come indefettibili dal “manifesto”, dal “Fatto”, dal “TG3”, dal “Corriere”, e chi più ne ha più ne metta. Con numeri abbacinanti di detenuti, scomparsi, seviziati, stuprati, forse veri, ma che sono il solito copia e incolla dalle campagne contro altri leader di paesi da radere al suolo.Trattasi, per le fonti, della famigerata genìa di Ong che governi più avveduti di quello egiziano hanno messo al bando da tempo e che, quando domestiche, come la “Commissione Egiziana per i Diritti e la Libertà” sono fautori di mercati e democrazie occidentali, ripetono le vulgate sui diritti umani, ma mai riferite a Usa, o Regno Unito, o Francia, o Bahrein, e fanno riferimento ad agenzie sionimperialiste come HRW e Amnesty International, spesso, come queste ultime, a guida della nota lobby e di veterani delle istituzioni di Washington. Sul “Fatto” si è impegnato Leonardo Coen (interprete puntuale delle posizioni di Israele), che aveva appena finito di intingere la sua penna nel sangue delle vittime False Flag di Parigi e nella polvere da sparo delle katiuscia Nato anti-Putin.

E diffido di chi, per anatemizzare Al Sisi, si schiera vigorosamente dalla parte dei Fratelli Musulmani, storica Quinta Colonna del colonialismo occidentale e oppositori, politici e terroristici, di ogni Stato arabo laico e antimperalista. Diffido di chi sorvola, in tutti i commenti e reportage, sul catastrofico – per la democrazia e per le condizioni sociali – periodo nel 2013 in cui, grazie a pochissimi voti, perlopiù  frutto di clientele, ricatti e brogli alla Achille Lauro, si era impadronito del potere il Fratello Musulmano Mohamed Morsi. E con lui ci si è disinvoltamente scordati  dell’imposizione forzata di un integralismo islamico paragonabile a quello wahabita dell’Isis (che, del resto, è una delle varie filiazioni della Fratellanza), con tanto di Sharìa e relative punizioni corporali, della soppressione del diritto di sciopero e dei sindacati non islamisti, delle sparizioni di oppositori, dell’ulteriore crollo dell’economia e delle condizioni sociali, delle sparatorie sugli operai manifestanti ad Alessandria.

 

Il fascista religioso buono

Si reitera all’infinito il rosario delle nefandezze del golpista Al Sisi. Golpista e dittatore, non più di quanto non sia stato Morsi, ma forse meno in quanto esente da strangolamenti religiosi di una società strutturalmente laica. Si trascura il fatto che, dopo pochi mesi di regime integralista e autocratico, Morsi fu spazzato via, prima ancora che dai militari, da una rivolta di venti milioni di egiziani, dei quali alcuni milioni in piazza Tahrir, dichiaratisi contro il “fascista religioso”.  Al Sisi fu messo in sella da questi moti di massa e poi confermato in elezioni che non erano meno democratiche di quelle della vittoria di Morsi, anche a rischio di scegliere il cosiddetto male minore del “fascista laico”. Lo scontro divenne  cruento quando, il 13 agosto 2013, i Fratelli arroccati in Piazza Rabi’a presero a fucilate le forze dell’ordine, che risposero in maniera dissennata, con l’esito di alcune centinaia di vittime.

Non sono più stato nell’Egitto di Al Sisi e non posso esprimere giudizi che non soffrano di interpretazioni strumentali. 

Ma se è vero che ci sono tanti arresti, condanne a morte di massa (poi quasi mai eseguite), se la sorveglianza sull’opposizione, essenzialmente quella più organizzata da sempre dei FM, è asfissiante, se la repressione è intollerabile, buona parte di tutto questo si può accreditare al micidiale terrorismo lanciato dalla Fratellanza sotto varie sigle in Sinai e nelle metropoli, da Assuan a Suez, costato nei mesi dall’assunzione della presidenza del generale, migliaia di morti tra militari, poliziotti, civili inermi, turisti. Una campagna di stragi e di boicottaggi della sicurezza e dell’economia a cui ha fornito un contributo decisivo l’abbattimento sul Sinai, il 31 ottobre 2015, del Metrojet russo con 224 passeggeri, contributo di matrice anti-russa e anti-egiziana e, dunque, chiarissima. Abdel Fatah Al Sisi sarà quel che sarà, ma per arrivare ad attribuirgli la proliferazione del terrorismo jihadista, come risposta al suo regime repressivo, fino al delirio di descriverlo responsabile degli attentati di Parigi, bisogna essere, o ottenebrati dall’amore per il mostro islamista, generato dai soliti noti, o esserne al servizio. O essere Acconcia che queste cose è arrivato a scriverle.

Norma Rangeri, da sempre in buona compagnia dei corifei di tutte le False Flag, parla di “avvoltoi” sul corpo del povero ragazzo così malamente scomparso. Ci sono, come no, gli avvoltoi. Ma per riconoscerli bene la direttrice di un giornale in cui si avvicendano, accanto ai Fratelli Musulmani, i corifei della civilizzazione dell’Afghanistan e i compagni dei “rivoluzionari democratici di Bengasi”, dovrebbe guardarsi attorno da vicino. Mi ricorda molto il volteggiare di avvoltoi su carcasse da predare, l’uso geopolitico che si va facendo di Giulio Regeni.

Dipaniamo i fatti. Mohamed Al Sisi liquida la Fratellanza che è, con tutti i suoi derivati tossici, Isis, Al Nusra e altri, lo strumento principe dietro al quale mascherare la guerra agli Stati arabi liberi, laici e non proni. Sostiene in Libia, anche militarmente, il governo laico e parzialmente gheddafiano di Tobruk  e il suo comandante militare Khalifa Haftar (bau bau di Acconcia), l’unico che contro  l’Isis, rintanato a Derna e Sirte (ora anche con i suoi capi fuggiti da Siria e Iraq), prova a fare qualcosa di concreto. Rappresenta, per la soluzione del groviglio libico una soluzione alternativa a quella colonialista bramata dalla Nato, parzialmente già in atto con forze speciali-squadroni della morte.

 

Dopo Iraq, Libia, Siria, l’Egitto?

Ma questo è niente. Con il raddoppio del Canale di Suez, realizzato prodigiosamente in solo un anno, e con la scoperta, orgasmatica per il partner ENI, del più vasto giacimento di gas del Mediterraneo, l’Egitto diventa la prima potenza energetica che si affacci su questo mare, libera da condizionamenti esterni, riferimento politico ed economico per gli Stati e, più ancora, per i popoli della regione. Con enorme dispetto di Israele e dei suoi stretti alleati sauditi, turchi e del Golfo. Accentuato dal crescente rapporto politico, economico, militare con quei russi che ai suddetti hanno davvero rotto le uova nel paniere, scompaginandone i piani di annientamento di Siria e Iraq. Obama fa buon viso a cattivo gioco, rinnovando forniture militari, temporaneamente sospese. Ma qui si tratta di non lasciare campo completamente libero a Mosca. A esprimere il risentimento e la collera degli Usa e di Israele ci pensano le citate Ong sionimperialiste, quelle che il “manifesto” e compari atlantici definiscono “indipendenti”, le stesse che hanno liberato le vie del cielo ai bombardieri su Belgrado e Tripoli (ricordate il “dittatore sanguinario” Milosevic, o il “dittatore pazzo” di Libia che bombardava la sua gente e foderava di viagra i suoi supratori in uniforme?).

E’ tanto paradossale, quanto deontologicamente perverso, il fatto che tutti questi commentatori e cronisti si parino il culo ammonendo contro le conclusioni avventate e precipitose su quanto accaduto al Cairo, per poi immediatamente giungere alle più spericolate aporie per le quali il responsabile, diretto o indiretto, è uno e soltanto,lui, Mohamed al Sisi. E diventa un segno della sua colpa il fatto che due sospetti siano stati arrestati “così presto”. Figuriamoci, cosa avrebbero detto se gli arresti fossero arrivati con “sospetto ritardo”. Nessun sospetto invece, per carità, sul fatto che un regime che vuole eliminare un fastidio, sia talmente sprovveduto da farlo ritrovare. Perlopiù pieno di bruciature, tagli e con la testa rotta. Cose che una vulgata diffusissima attribuisce alle abitudini consolidate degli sgherri di regime.

 

Un giovane italiano. Perché?

Diventando seri, qui si è voluto infliggere un’altra mazzata all’Egitto straricco di gas e incline ai giri di valzer. Non si sarà riusciti a portagli via il gas, come sé’ fatto con il petrolio dei libici, iracheni, siriani. Ma intanto gli si è tolto il turismo, oggi ancora la prima voce delle sue entrate. Ma perché hanno messo di mezzo un giovane e a tutti simpatico italiano? Tale da prestarsi subito ai gazzettieri e avvoltoi (non quelli a cui spara la strabica Rangeri) per la necessaria vittimizzazione-eroificazione e concomitante diabolizzazione del presunto colpevole? Anzi, del colpevole, senza presunto.

L’Italia è dell’Egitto il primo partner commerciale europeo. Con Renzi al Cairo, 6° aziende al suo seguito e l’Eni su un mare di gas davanti alle coste, si sono recentemente conclusi accordi commerciali e industriali per parecchi miliardi. Questi scambi e la bonanza in arrivo dal mare, il raddoppiato introito dai diritti sul Canale raddoppiato e con sei nuovi porti, potrebbero contribuire a dare un ruolo di grande rilievo all’Egitto a livello regionale e internazionale. Darebbero peso alla sua indipendenza e alla indipendenza dei suoi partner da fonti energetiche controllae dagli Usa L’Italia, ovviamente per i tornaconti suoi, anzi della cricca economico-politica che puntella il regimetto Renzi, è controparte non irrilevante di questi sviluppi. Tutto questo va contro i piani, in primis, di Israele e della sua strategia di frantumazione delle grandi realtà nazionali arabe, condivisa dai principati arabi, dal sultanato di Ankara, dai colonialisti europei e dai predator Usa. Per mettere i bastoni tra le ruote del carro egiziano, a guida buona o cattiva non interessa una cippa, gli strumenti sono quelli collaudati in tanti regime change e in tante rivoluzioni colorate. In questo caso lo strumento per colpire l’Egitto, mirando al suo leader, e punire l’Italia, potrebbe essere stato un giovane italiano. Giovane e inerme, ma capace di far volare gli avvoltoi sul cadavere dell'Egitto.

 


Due cose sono infinite. L’universo e la stupidità umana. E non sono sicuro dell’universo”. (Albert Einstein).

 

“Le azioni sono ritenute buone o cattive, non per il loro merito, ma secondo chi le fa. Non c’è quasi genere di nequizia– tortura, carcere senza processo, assassinio, bombardamento di civili – che non cambi il suo colore morale se commessa dalla ‘nostra’ parte. Lo sciovinista non solo non disapprova atrocità commesse dalla sua parte. Ha anche una notevole capacità di non accorgersene”. (George Orwell)

 

 

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