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07 aprile 2016

 

Regeni, "Volevano far sparire Giulio nel deserto". Oggi il vertice tra pm

di Carlo Bonini

 

Shock per le rivelazioni dell'anonimo. Renzi: non accetteremo tentativi di svicolare

 

ROMA. Ci siamo dunque. La delegazione inquirente egiziana è sbarcata a Roma. In un contesto di tensione mai così alto. Ieri, al Cairo, per alcune ore è stata disattivata la funzione vocale dell'applicazione per smartphone "Signal", quella utilizzata da ogni egiziano che voglia essere certo di non essere intercettato. E, nelle stesse ore, uno dei siti egiziani che aveva rilanciato quanto pubblicato da Repubblica è stato reso irraggiungibile. Questa mattina alle 10, in una sala dell'Istituto superiore di Polizia in via Guido Reni, comincerà dunque quello scambio di informazioni che somiglia più a un'ordalia che a un vertice investigativo. Con il viatico di Renzi che, ieri, ha voluto ricordare che "non sarà accettato nessun tentativo che provi a svicolare dalla verità", due magistrati e quattro dirigenti di Polizia e Servizi egiziani siederanno di fronte al procuratore Giuseppe Pignatone, al suo sostituto Sergio Colaiocco, agli investigatori di Ros e Sco per verificare se in due giorni riusciranno a uscire con qualcosa che anche soltanto somigli a un passo in avanti verso la verità.

 

Accreditati dalla stampa egiziana di un dossier di tremila pagine (erano duemila fino a due giorni fa) con "oltre 200 verbali di testimonianza", i sei del Cairo hanno cambiato la loro composizione un'ultima volta prima di salire sull'aereo. Con il procuratore generale aggiunto Mostafa Soliman e Mohamed Hamdy, suo segretario, sono infatti arrivati il generale Adel Gaffar della Sicurezza Nazionale, il "comandante" Mostafa Meabed, l'ufficiale Ahmed Aziz e - dettaglio non irrilevante - al posto del brigadiere generale Alal Abdel Megid dei servizi centrali della polizia egiziana, il generale Alaa Azmi, indicato come "vice-direttore delle indagini criminali di Giza". Vale a dire, il vice di Khaled Shalaby, indicato dall'Anonimo a "Repubblica" come l'uomo che dispose la sorveglianza di Giulio prima del suo sequestro, ne "ordinò" e "supervisionò" la tortura in una caserma di Giza e quindi lavorò al depistaggio.

 

Vedremo cosa ne uscirà. Vedremo, soprattutto, se nello scartafaccio in lingua araba arrivato dal Cairo ci saranno finalmente quei tabulati e quello sviluppo delle celle telefoniche delle zone di Dokki (il quartiere dove Giulio viveva e dove è stato sequestrato) e del "6 Ottobre" (dove il corpo di Giulio è stato ritrovato) che la Procura generale del Cairo si era impegnata a consegnare il 14 marzo. Vedremo anche se - come anticipato ancora dalla stampa egiziana - davvero nel "dossier" sono le "registrazioni di telefonate di Giulio Regeni" nei giorni precedenti la sua scomparsa. Perché se questo fosse vero, sarebbe la conferma che Polizia e Servizi ne avevano fatto un obiettivo e dunque che non sarebbe poi così lontano dal vero l'Anonimo che da giorni corrisponde con Repubblica nell'indicare proprio nel generale Khaled Shalaby l'uomo nero incipit di questa storia.

 

Anonimo il cui racconto non è entrato né tantomeno sembra destinato ad entrare nel fascicolo dei pubblici ministeri, scettici per le "inesattezze" di cui sarebbe segnata la ricostruzione, e che, nondimeno, sembra avere una risposta anche a una delle ricorrenti domande di questa storia. Per quale ragione al mondo gli apparati di sicurezza egiziani, se fossero stati gli autori dell'omicidio, avrebbero dovuto far ritrovare il cadavere di Giulio?

 

Ha scritto a Repubblica l'Anonimo: "La notte in cui Giulio morì e il Presidente Al Sisi convocò una riunione con il suo gabinetto, i capi dei due Servizi, il ministro dell'Interno e la sua consigliera per la sicurezza nazionale, si decise, su suggerimento di quest'ultima, Fayza Abo Al Naga, che Giulio Regeni sarebbe dovuto finire in una buca nel deserto. Lo si doveva rendere irriconoscibile e quindi seppellirlo in un luogo dove sarebbe stato difficile trovarlo. Sapendo, che se mai questo fosse accaduto, si sarebbe potuto archiviare il ritrovamento come quello di un "ignoto"". Poi, però, qualcosa accade. Nei giorni successivi al 25 gennaio, un quotidiano del Cairo, "Veto", riferisce in un trafiletto di cronaca del "fermo di un occidentale". Si scoprirà, successivamente, che si tratta di un cittadino americano. Ma questo basta - a dire dell'Anonimo - "a decidere per un piano alternativo, anche perché il ministro italiano Guidi, arrivata al Cairo, aveva cominciato a chiedere pubblicamente della scomparsa di Regeni". Il piano alternativo è, appunto, far ritrovare il cadavere sulla Alessandria-Cairo e simulare l'incidente.

 

Sull'identità dell'Anonimo, intanto, si è esercitato il Corriere della Sera, ipotizzando possa essere l'ex generale dissidente Omar Afifi, riparato negli Usa e autore di un post su Facebook, il 6 febbraio scorso, la cui sostanza proponeva alcuni dei dettagli riferiti dall'Anonimo a Repubblica. "Non sono io l'Anonimo - ha detto ieri il generale - anche se chi ha scritto quelle mail è vicino alla verità". "Piuttosto - ha aggiunto in un nuovo post su Facebook - invito chiunque abbia informazioni su Regeni a contattarmi".

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