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Giovedì 16 Giugno 2016

 

Intervento di Alberto Capannini di Operazione Colomba alla 32esima Sessione Diritti Umani, Onu Ginevra

 

Abbiamo avuto l’onore di vivere questi ultimi tre anni in un campo profughi di siriani scappati in Libano dalla distruzione della città di Homs, Siria.

Abbiamo vissuto insieme, volontari di Operazione Colomba della Comunità Papa Giovanni XXIII e siriani in fuga dalla scelta tra uccidere o morire, nelle stesse tende di legno e plastica, nel freddo dell’inverno, nel calore dell’estate, cercando di non lasciare sole queste persone e di trovare un futuro, sempre più difficile e lontano.

Abbiamo assistito in questi anni al tramonto della speranza di vivere in Libano, all’impossibilità per i bambini di andare a scuola, alla complessità per gli adulti di trovare un lavoro pagato, alla difficoltà per ogni siriano di accedere a cure mediche, agli arresti dovuti alla mancanza di documenti al rifiuto dell’Europa degli Stati di accogliere chi fugge dalla morte.

 

Vorremmo portare qui alle Nazioni Unite di Ginevra la voce e le richieste di queste persone, che non vengono mai ascoltate, che non hanno la forza delle armi dell’odio e del denaro, solo quella di appartenere al genere umano.

A che cosa servono le Istituzioni Internazionali se non ascoltano la voce dei dannati della terra e non modificano radicalmente i comportamenti ed i sistemi che portano a guerre e povertà?

 

La prima richiesta è che la guerra, in Siria, sia fermata e che gli Stati ripudino la guerra come strumento per le risoluzioni dei conflitti. Nessuno, nemmeno il Presidente della Nazione più ricca del mondo, ha il diritto di fare la guerra.

Ricordiamo che, ad esempio, il nostro Paese ha triplicato quest’anno la vendita, maledetta, l’espressione è di Papa Francesco, di armi. Non c’è una urgenza maggiore per la politica estera.

 

La seconda richiesta è che vengano create delle Zone Umanitarie sicure, per favorire il ritorno delle persone nei propri Paesi, un processo che è già cominciato in Paesi in guerra come la Colombia e che è ben compreso e sostenuto dalla società civile internazionale, non dagli Stati che al momento sono il problema e non la soluzione.

 

La terza richiesta è che vengano aperti Canali Umanitari, ad esempio sul modello di quello attuato in Libano dalla collaborazione di Associazioni private, S. Egidio, la Federazione delle Chiese Evangeliche, a cui abbiamo collaborato. Rappresentano una voce diversa dell’Europa, una alternativa alla morte nei viaggi per mare, una possibilità di gestire il processo di integrazione e una dimostrazione che si può rispondere con generosità ed umanità alla richiesta di salvezza di chi rischia di morire in guerra.

 

Di seguito le parole di Abu Abdallah, nostro vicino di tenda, scappato da Aleppo, siriano, profugo senza futuro e speranza in Libano, proviamo ad ascoltarlo come se la sua vita valesse quanto la nostra.

 

Dico queste parole con il cuore che mi fa male: la comunità internazionale, esattamente, che cosa vuole dal popolo siriano? Davvero, che cosa volete?

La Siria è come una casa in fiamme circondata da tante persone e nessuno di loro fa niente per spegnere questo incendio.

Tutto nella mia terra e nella mia città è stato distrutto: più di 250.000 morti e altrettanti sotto le macerie delle case distrutte ancora non stati trovati; 5 milioni di profughi fuori dai confini della Siria, più di 7 milioni di sfollati interni in Siria; centinaia di migliaia vivono in città assediate senza cibo e medicine.

I siriani muoiono dentro ogni giorno di più. Le armi e gli aerei che vengono usati per bombardarci li avete forniti voi (come comunità internazionale) e voi avete permesso a Bashar di massacrarci.

So che queste non sono notizie nuove per voi, ma parlo ai Paesi che si dichiarano liberi come la Russia, gli Stati Uniti e l'Europa tutta: davvero questo è il vostro modo di intendere la libertà?

Tutti gli esseri umani in questo momento hanno due patrie, una è quella a cui appartengono e la seconda patria è la Siria.

Se siamo parte di un'unica comunità perché permettete che alcuni suoi membri vengano depredati ed uccisi?

Le mie parole vanno aldilà della nazionalità e della religione, il primo potere di cui abbiamo paura noi siriani è il nostro stesso governo.

Noi rifugiati siriani siamo di religione musulmana, ma siamo sempre stati abituati al valore delle differenze, siamo cresciuti accanto ai cristiani e agli ebrei, per noi non è un problema confrontarci con altre religioni e culture.

Nel nome di valori che sono soltanto umani, vi chiediamo di aiutarci a spegnere questo incendio.

Se non moriamo uccisi da un colpo di pistola moriamo comunque dentro; quelli che non muoiono internamente muoiono di fame e quelli che non muoiono di fame muoiono per mancanza di futuro e di speranza.

Le persone che vivono nei campi profughi sono sempre sul gradino più basso della società, a prendere il gelo dell'inverno o il caldo soffocante dell'estate.

Nel nome della libertà e della dignità umana vi chiediamo, se siete veramente dei popoli liberi, di aiutarci e sostenerci per ritornare in Siria.

E ringraziamo tutte le organizzazioni che ci aiuteranno a portare la nostra voce al di fuori dei confini libanesi e siriani.

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