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29/11/2016

 

Scontri nello Stato Rakhine: profughi Rohingya fermati al confine con il Bangladesh

 

Gli agenti di Dhaka rispediscono indietro barconi pieni di donne e bambini musulmani che fuggono dalle violenze dell’esercito birmano. Il bilancio nello Stato Rakhine parla di 90 morti e 30mila sfollati. Si accende lo scontro Myanmar-Onu.

 

Si aggrava sempre di più la situazione della minoranza musulmana Rohingya residente in Myanmar, da due mesi sotto attacco da parte dell’esercito governativo e respinta alla frontiera con il Bangladesh, dove a migliaia cercano rifugio. Funzionari di Dhaka affermano che nell’ultima settimana le guardie di confine hanno impedito a circa mille persone di entrare in Bangladesh via mare. I barconi, piedi di uomini, donne e bambini, sono stati respinti e fatti tornare in acque territoriali birmane.

Nelle ultime settimane sono aumentati gli scontri fra il Tatmadaw (esercito governativo) e quello che i soldati definiscono “un gruppo militante di musulmani Rohingya” nello Stato Rakhine (sud-ovest del Myanmar). I Rohingya sono una minoranza musulmana (poco più di un milione di persone) originaria del Bangladesh, alla quale il Myanmar non riconosce la cittadinanza e i cui membri abitano in campi profughi in più parti del Paese.

Dall’inizio di ottobre, il bilancio parla di almeno 90 persone uccise e circa 30mila sfollati. Il Tatmadaw continua a passare di villaggio in villaggio ripulendo il territorio dagli elementi ribelli. A nulla sono valsi finora gli appelli alla pace fatti dal card. Charles Bo, arcivescovo di Yangon.

Khaleda Zia, leader del maggior partito all’opposizione in Bangladesh, si è unita al coro di politici e gruppi musulmani che chiedono al governo di dare rifugio ai Rohingya. Alcuni sfollati sono riusciti a raggiungere un campo profughi non ufficiale in Bangladesh. Samira Akhter, donna Rohingya, afferma: “I militari hanno ucciso mio marito e dato fuoco alla mia casa. Sono fuggita sulle colline con i miei tre figli e i miei vicini. Ci siamo nascosti là per una settimana”. La tendopoli ospita 1338 sfollati.

Nel frattempo si accende la polemica fra il governo birmano e le Nazioni Unite, dopo che lo scorso 24 novembre John McKissick, capo dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) al confine bangladeshi, ha accusato Naypyidaw di condurre un genocidio contro la minoranza musulmana Rohingya. McKissick ha affermato che i soldati del Tatmadaw uccidono e stuprano gli abitanti dei villaggi, bruciando le loro case senza motivo. L’attivista ha continuato dicendo che “è molto difficile per il governo del Bangladesh dire che i suoi confini sono aperti, perché questo incoraggerebbe ancor di più il governo del Myanmar a continuare le atrocità fino a raggiungere l’obiettivo della pulizia etnica dei musulmani”.

Htin Linn, rappresentante permanente del Myanmar a Ginevra, ha presentato una protesta contro McKissik. Una dichiarazione pubblicata sul profilo Facebook dell’ufficio del Consiglio di Stato birmano (gestito da Aung San Suu Kyi) recita: “Il Myanmar si oppone alle ingiuste accuse fatte senza evidenze sostanziali contro il governo”. La Signora, leader de facto del Myanmar, ha dovuto ritardare di tre giorni una visita in Indonesia a causa delle proteste in atto nel Paese a maggioranza musulmana contro la repressione dei Rohingya.

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