Originale: The Independent

http://znetitaly.altervista.org/

27 giugno 2016

 

I sostenitori della Brexit hanno molto in comune con i dimostranti della  Primavera Araba

di Patrick Cockburn

Traduzione di Maria Chiara Starace

 

 “Nel breve momento che ci rimane tra la crisi e la catastrofe, possiamo benissimo    bere un bicchiere di champagne,” ha detto Paul Claudel, il poeta, drammaturgo francese, ambasciatore negli Stati Uniti,  subito dopo  qualche disastroso  episodio negli anni ’30. Mentre i britannici votano per uscire dall’Unione Europea, sembra di avere raggiunto proprio un tale “breve momento”, dato che capita in una situazione che era già  tremenda  e che probabilmente diventerà molto peggiore.

Un referendum per sua natura crea divisioni e viene giustificato spiegando che produrrà una decisione democratica che tutti possono accettare. Ma è proprio nella natura di una campagna referendaria che i problemi vengano  ultra-semplificati e presentati come problemi bianchi o neri dagli oppositori che si demonizzano reciprocamente. Il voto diventa un veicolo di demagogia e di programmi che hanno poco a che fare con il rapporto della  Gran Bretagna  con l’Europa.

Questo referendum ha non soltanto ampliato divisioni politiche e sociali già esistenti all’interno della società britannica, ma ha assicurato che tali differenze diventassero più divisive e velenose.  Succede sempre così con i referendum su problemi importanti: provocano decisioni irreversibili e le provocano con  un alto costo politico, escludendo un compromesso tra le parti contendenti con opinioni cui sono profondamente attaccate e che non abbandoneranno il giorno dopo il voto, indipendentemente da chi vinca o perda.

Il primo referendum al quale ho assistito  di persona,  è stato quello a Belfast nel 1973 quando si votò per decidere se l’Irlanda del Nord dovesse restare parte del Regno Unito.  Come era prevedibile, questo sondaggio da tempo dimenticato, non fece altro che esacerbare l’odio e convincere coloro che appartenevano alla parte perdente che non avevano nessuna alternativa tranne la violenza. Più di 30 anni dopo, nel 2005, ero a Baghdad per fare i servizi giornalistici sul referendum per la nuova costituzione irachena che, per quanto finora non abbia avuto assolutamente alcun effetto,  è risultata essere un altro  trampolino verso la guerra civile.

Le analogie tra Irlanda del Nord e Iraq possono sembrare fuori luogo perché entrambe le nazioni hanno una tradizione di violenza politica che la Gran Bretagna non ha. Ma l’uccisione della deputata Jo Cox fa pensare alla possibilità di come questo possa cambiare rapidamente, anche se all’inizio questi incidenti non verranno presi in considerazione in quanto atipici e scollegati dal subbuglio politico. I demagoghi e i loro pacati compagni di viaggio invariabilmente alzano le mani    negando rabbiosamente che la loro retorica  potrebbe aver avuto conseguenze violente. Ian Paisley (https://it.wikipedia.org/wiki/Ian_Paisley ha ripetutamente aumentato la temperatura politica nell’Irlanda del Nord fino al  punto di ebollizione    per 40 anni, allo stesso tempo  negando furiosamente qualsiasi responsabilità per i cadaveri nelle strade.

Gli inglesi tendono a sottovalutare la fragilità politica del loro paese perché è stato generalmente stabile fin dalla fine del 17° secolo. È stato straordinario l’anno scorso il modo in cui i Conservatori hanno esultato per la sconfitta del Partito Laburista in Scozia per opera del Partito Nazionalista Scozzese (SNP), senza esprimere molta preoccupazione sull’unità complessiva del Regno Unito. La fazione del ‘Rimanere’ ha pensato di poter vincere il referendum sottolineando incessantemente i rischi economici di uscire dall’UE, sebbene il vero danno sia politico piuttosto che economico dato che una destra populista ha il potere ma ha  poche  idee su che cosa dovrebbe fare con tale potere.

Lo stato d’animo trionfante tra coloro che desiderano che la Gran Bretagna esca dall’UE, è sinistramente simile a quello dei dimostranti nelle capitali arabe al culmine della Primavera Araba del 2011. Ancora una volta, l’analogia può sembrare esagerata perché un senso britannico innato e spesso inconscio di superiorità si smorza    a paragone con altre nazioni. Uno dei difetti di coloro che protestavano al Cairo e a Damasco è stato che attribuivano fin troppi dei guai del loro paese al regime che cercavano di rovesciare. La demonizzazione dei loro rivali aveva un senso in termini di propaganda e li liberava   dal tracciare propri piani realistici. Analogamente, coloro che sono determinati che la Gran Bretagna dovrebbe uscire dall’UE, hanno fatto ugualmente affidamento sul fatto di criticare severamente  Bruxelles come fonte di tutti i mali senza spiegare che cosa farebbero per porvi fine.

Ci sono altri parallelismi tra il sentimento di “un nuovo mondo coraggioso” di quei dimostranti della Primavera Araba di 5 anni fa, e i propagandisti della campagna per Leave. Quasi casualmente,  Leave ha iniziato un cambiamento rivoluzionario, ma la debolezza delle rivoluzioni è che per breve tempo mettono insieme coloro che hanno poco in comune tranne un’antipatia per lo status quo. Non è un’alleanza che normalmente dura molto a lungo da nessuna parte, e in Gran Bretagna è difficile vedere che cosa i deputati Conservatori impegnati nel libero mercato, abbiano in comune con gli elettori della classe operaia del nord dell’Inghilterra che soffrono per i tagli nei servizi sociali,

Il dibattito durante il referendum si è incentrato sui problemi economici comuni  e sull’immigrazione, senza discutere molto dello scopo politico dell’UE stessa. Fin dall’inizio l’obiettivo è stato sempre quello di trovare un modo di includere la Germania come lo stato più potente e ricco dell’Europa Occidentale all’interno di un’istituzione in cui questa e potenze europee minori potessero coesistere pacificamente a beneficio di tutti. Questo progetto ha in gran parte funzionato, anche se molto tempo prima del voto per la Brexit, l’UE era chiaramente disfunzionale nel far fronte a una miriade di problemi politici ed economici. Questo fallimento aveva già prodotto una serie di vittorie elettorali per i partiti nazionalisti,  populisti e reazionari in Ungheria, Polonia e Austria. Nel resto d’Europa, i partiti di centro-sinistra e di centro-destra hanno perseguito più o meno le stesse politiche economiche fin dal 1990, senza fornire alcuna alternativa a coloro che erano contrari allo status quo, a prescindere  dagli estremi, che di solito significava estrema destra.

La possibilità  che la Brexit produca conseguenze  tossiche per tutti, è maggiore di quanto sembri, perché è un’altra fonte di instabilità in una regione che subisce già grandi pressioni. Questo si verifica nel modo peggiore in Medio Oriente e in Nord Africa, dove stanno infuriando  almeno otto guerre e tre gravi insurrezioni. Cinque anni fa, i leader europei come David Cameron e Nicolas Sarkozy ebbero un atteggiamento distaccato per caduta  di stati come la Siria e il Libano in uno stato di guerra perpetua. Soltanto con l’ascesa dell’Isis nel 2014, seguita dalla crisi dell’immigrazione e dagli attacchi terroristici del 2015, i leader europei cominciarono  ad accettare che i conflitti in Medio Oriente avevano la capacità di decidere l’agenda politica in Europa.

Sviluppi enfatizzati come il voto per la Brexit spesso suscitano una reazione iniziale esagerata, ma lo status quo risulta in modo confortante,  avere maggiore capacità di resistenza di quanto si immaginava all’inizio. Nel caso attuale, tuttavia, è giustificato un tono apocalittico, perché l’accordo dopo la Seconda Guerra Mondiale era già a rischio, e l’Europa era mal preparata a resistere a un ulteriore colpo come un’uscita della Gran Bretagna.

 


Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/brexiteers-have-much-in-common-with-arab-spring-protesters/

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