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25 Gennaio 2016

 

La lunga agonia di Schengen

di Antonietta Demurtas

 

Archiviare il trattato o cercare di salvarlo? L'Unione europea si spacca in due. Grecia nel mirino. Mentre spunta l'ipotesi di controlli temporanei ai confini. 

 

Controlli dei guardacoste ai confini dell'Unione europea.

Schengen è morto, viva Schengen. Potrebbe essere la trama di un'opera teatrale di Eugène Ionesco, ma è solo la cronaca di un'altra giornata europea passata a rincorrere annunci e smentite sulla fine del trattato di libera circolazione europea.

«Schengen è salva per ora. Abbiamo poche settimane per evitare che si dissolva tra gli egoismi nazionali», dice il ministro dell'Interno Angelino Alfano al termine della riunione Ue.

«Schengen sta per saltare», commenta invece il ministro dell'Interno austriaco Johanna Mickl-Leitner.

 

DICHIARAZIONI CONTRASTANTI.

Due dichiarazioni che danno l'idea delle diverse posizioni poste sul tavolo comunitario ad Amsterdam il 25 gennaio: doveva essere un Consiglio dei ministri dell'Interno Ue informale, ovvero una riunione nella quale non si sarebbe dovuta prendere nessuna decisione, solo cercare un accordo su come scongiurare la messa in crisi definitiva del Trattato.

Invece, secondo la presidenza di turno olandese, alla fine della riunione gli Stati Ue hanno invitato la Commissione a preparare l'attivazione dell'articolo 26, che permetterà di estendere i controlli alle frontiere interne attualmente in vigore in Germania, Austria, Svezia, Danimarca, Francia e Slovenia.

 

ANCHE L'ITALIA NEL MIRINO.

Più che uno scambio di idee, ad Amsterdam c'è stato soprattutto uno scambio di recriminazioni tra i vari Paesi, tutti concentrati a puntare il dito contro chi non fa i 'compiti a casa'. Quando in realtà, come ha ricordato il  commissario Ue all'Immigrazione Dimitris Avramopoulos, nessuno in questi mesi li ha fatti veramente.

Per questo ha avvertito alla fine della riunione: «Quando gli hotspot saranno tutti operativi, nessuno avrà più scuse per non implementare la relocation (redistribuzione dei profughi, ndr), perchè il progetto non funziona se non viene rispettato nella sua interezza», ha detto riferendosi alla diatriba principale, che ha visto soprattutto Grecia e Italia messe sotto accusa per non aver aperto tutti i centri di identificazione e registrazione dei richiedenti asilo.

 

LA GRECIA È SOLA: «NON ABBIAMO GLI STRUMENTI NECESSARI»

Mancanza che avrebbe spinto gli altri Paesi a chiudere le proprie frontiere interne. E a ventilare persino una esclusione della Grecia dal Trattato.

«Non c'è alcuna ragione per farlo», ha detto il ministro ellenico Yannis Mouzalas, che dopo aver stigmatizzato le minacce di una esclusione, ha ricordato come nonostante il clima invernale, «sino a 4 mila persone continuano ad arrivare ogni giorno sulle isole greche provenienti dalla Turchia».

Quasi 37 mila persone sono arrivate in Italia e in Grecia dall'inizio dell'anno, 10 volte in più rispetto allo stesso periodo del 2014. Di questi, 36 mila sono arrivati sulle sole isole greche.

Persone che gli Stati Ue chiedono da tempo vengano registrate. Ma è proprio sull'apertura degli hotspot che sono nate le prime contraddizioni: la Grecia ha chiesto i soldi per comprare 100 macchine Eurodac e svolgere questa attività, ma ha ottenuto i fondi solo la scorsa settimana, ha ricordato il ministro.

 

AUSTRIA CONTRO ATENE.

Senza contare che, nonostante le critiche fatte alla Grecia, non un dito è stato alzato per tenere fede al compromesso sulla redistribuzione dei richiedenti asilo. «Solo 13 Stati membri hanno dato la loro disponibilità e sebbene 930 persone siano pronte per essere spostate dalla Grecia, meno di 200 sono state effettivamente trasferite», ha detto il ministro greco.

Inoltre, sono stati chiesti 1.800 agenti di Frontex, «ma ne abbiamo avuti 800», ha ricordato Mouzalas; erano necessari 28 guardacoste, «ma ce ne sono stati mandati solo sei».

Eppure, nonostante le inadempienze non solo elleniche, si continua a parlare di una Grexit da Schengen. Ipotesi sostenuta dal governo austriaco, e implicitamente suggerita da quello svedese: «Se un Paese non riesce a tener fede ai suoi obblighi, dobbiamo limitare i suoi legami con l'area di Schengen», ha commentato il ministro dell'Interno di Stoccolma, Anders Ygeman.

 

BERTAUD ESCLUDE UNA GREXIT DA SCHENGEN.

Uno scenario escluso dalla portavoce della Commissione responsabile degli Affari interni, Natasha Bertaud: «Non esiste un piano per escludere la Grecia, non esiste nemmeno tale possibilità secondo le regole sulle frontiere esistenti», ha detto.

Restano però le dure critiche all'operato del governo Tsipras: «Noi eserciteremo pressione sulla Grecia affinché faccia i suoi compiti», ha ripetuto il ministro dell'Interno tedesco Thomas de Maiziere. Che ad Amsterdam ha dettato la linea, ovvero quella di non «aspettare maggio» per capire come continuare a condurre i controlli alle frontiere interne, ma iniziare a discutere «se il meccanismo dell'articolo 26 debba essere attivato».

 

LA COMMISSIONE VALUTA LA RICHIESTA DI PROLUNGARE IL BLOCCO DI SCHENGEN

Una richiesta già presa in considerazione dalla Commissione prima ancora che il Consiglio Ue terminasse.

«Stiamo discutendo», ha infatti precisato la portavoce dell'esecutivo Ue la mattina del 25 gennaio, «la possibilità di applicare gli articoli 19 e 26 del Codice Schengen», che riguardano appunto le introduzioni temporanee, fino a un massimo di due anni, dei controlli alle frontiere interne.

Una possibilità prevista nel caso in cui vi siano persistenti problemi che «mettono a rischio l'ordine pubblico e la sicurezza all'interno dell'area», ha precisato. Per la sua attivazione è prevista l'approvazione da parte della Commisssione, che poi sottopone la richiesta al Consiglio Ue.

 

CONTROLLI IN SETTE PAESI.

Negli ultimi mesi sette Paesi - Germania, Francia, Austria, Svezia, Danimarca, Slovenia e Norvegia - hanno introdotto controlli temporanei alle frontiere, di fatto sospendendo gli accordi di Schengen, per limitare il massiccio afflusso di rifugiati da Medio Oriente e Africa.

Dopo i primi sei mesi di sospensione, che ognuno può attivare senza alcuna autorizzazione comunitaria, però, se i rischi persistono, il Paese deve chiedere alla Commissione di valutare una estensione di altri sei mesi del blocco, richiesta che può essere accettata e ripetuta per altri sei mesi e poi per altri sei, sino a un totale di due anni. Ed è questo che gli Stati membri hanno deciso di fare il 25 gennaio.

 

LA PIÙ GRANDE CONQUISTA DELL'UE

Tenere quindi in coma farmacologico il Trattato prima di decretarne la morte o tentare la sua rianimazione. Anche perché per ora, al di là della consapevolezza sulle perdite economiche che un ulteriore blocco causerà all'Ue, è più forte la paura di gestire il flusso migratorio. «Non abbiamo bisogno di arrivare a questo estremo se si mettono in opera rapidamente le misure di rinforzo delle frontiere esterne e si condividono le informazioni per la lotta al terrorismo», ha ricordato il ministro francese Bernard Cazeneuve e ribadito Alfano.

«Dobbiamo fare del nostro meglio per mantenere e salvaguardare la più grande conquista dell'integrazione europea», non si stanca di ripetere Avramopoulos. Ma al momento è più la momentanea disintegrazione ad avere la meglio.

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