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28 ottobre 2016

 

Reinventare l’Europa. Un appello

di Franco Berardi Bifo e Geert Lovink

 

Se non fermiamo la barbarie che si diffonde intorno a noi, giorno dopo giorno, le condizioni di una guerra civile razzista in tutta l’area euro-mediterranea si faranno presto più concrete. Dobbiamo reinventare l’Europa perché nessuno lo farà per noi. Ma chi può imporre un processo del genere? La Commissione il cui passato presidente è un agente di Goldmann Sachs? Il finto parlamento? L’intoccabile centro di potere finanziario della Banca Europea? Sono strutture paralizzate, non riformabili dall’interno. Solo un movimento dal basso, un movimento di cittadini/e e di città può rivitalizzare l’Unione agonizzante. Ma cos’è un “movimento” all’epoca dei social network? È sufficiente un think tank come quello che Democracy in Europe Movement 25 sta realizzando? Quel che occorre è un atto performativo sufficientemente largo da provocare la dissoluzione finale del cadavere della passata Unione Europea, e sufficientemente forte da avviare la costruzione di Europe 2.0, fondata su un reddito di cittadinanza universale, sul denaro negativo e una riduzione immediata del tempo di lavoro.

 

Il sistematico respingimento dei migranti alle frontiere d’Europa non è solo manifestazione di brutalità ma sintomo di una trasformazione dell’Unione in una fortezza razzista. Un’onda di nazionalismo e di odio monta fra la popolazione europea. L’arcipelago dell’infamia si diffonde intorno al mar mediterraneo: gli europei costruiscono campi di concentrazione sul loro territorio e pagano i loro Gauleiters di Turchia Libia Egitto perché facciano il lavoro sporco sulle sponde del mar mediterraneo dove l’acqua salata ha sostituito il ZyklonB. Se non fermiamo questa barbarie si preparano le condizioni di una guerra civile razzista in tutta l’area euro-mediterranea.

Non è difficile capire perché gli europei sono divenuti così inospitali.

La rapina finanziaria ha impoverito il continente e gli europei sono talmente ossessionati dalla paura che prendono pochi milioni di migranti come capro espiatorio del fallimento economico del capitalismo finanziario e della depressione che si diffonde tra la razza bianca declinante. Se qualcuno tenta di riattivare la democrazia, come nel luglio del 2015 accadde in Grecia, allora la dittatura finanziaria spinge la gente nell’umiliazione nell’impotenza. Giusto o sbagliato che sia molti vedono l’Unione come un potere oppressivo da cui si vogliono liberare. Il modello dell’Unione morto. Eppure non ha senso regredire allo stato nazione.

 

Dobbiamo reinventare l’Europa perché nessuno lo farà per noi.

Non vogliamo smettere di essere europei né accettiamo la minaccia di dissoluzione dell’orizzonte europeo: aprirebbe le porte a un inferno di fascismo. Ma le elite finanziarie e politiche hanno distrutto la possibilità di essere europei, hanno perso il controllo del populismo di destra e non hanno più gli strumenti economici per creare posti di lavoro, mentre l’economia, lontana dalla ripresa, va verso stagnazione permanente.

Prima della svolta neoliberista e del diktat finanziario l’Unione europea era un progetto di redistribuzione del denaro e del lavoro. Dopo Maastricht la stabilità finanziaria divenne il programma dei governi nazionali, e il fantasma della stabilità ci intrappola tutti.

Il pieno impiego è una cattiva utopia: non c’è lavoro per tutti e non ci sarà mai a meno di ridurre gli orari di lavoro. Secondo l’Istituto McKinsey metà degli impieghi scompariranno nei prossimi anni grazie alla tecnologia. Lavoro zero è la tendenza e dovremmo prepararci a questa prospettiva che non è poi tanto male se si accetta l’idea che lavoreremo meno e avremo più tempo per pensare alla vita all’arte e al piacere piuttosto che al profitto e alla crescita.

 

Siamo nel pieno di un crollo economico che secondo Lawrence Summers e molti altri economisti è destinato a prolungarsi senza fine. Infatti non si tratta di una crisi ma di un cambiamento di paradigma. La saggezza d’Europa dovrebbe adeguarsi a questa condizione e avviare un progetto di emancipazione dall’ossessione economica moderna. Non c’è altro modo di uscire dalla depressione.

La politica di stabilità finanziaria ha prodotto povertà e precarietà. Lungi dall’essere un fattore di stabilità la finanza è un peso per la vita sociale, una disgrazia. Ma il denaro potrebbe agire come un attivatore di domanda.

Per questo dobbiamo rivendicare Quantitative Easing per tutti i cittadini, non per le banche e per gli azionisti. È ora che gli elicotteri della Banca centrale europea lancino soldi dal cielo. Le banche centrali dovrebbero distribuire denaro digitale il cui valore diminuisce fino a cancellarsi entro pochi mesi se il ricevente non lo spende. Un software facile da programmare. Non ci importa che il QE venga distribuito in bitcoin o in euro. Deve portare inflazione, perché è ciò che occorre.

Ma chi può imporre un processo di questo genere? La Commissione il cui passato presidente è un agente di Goldmann Sachs? Il finto parlamento? L’intoccabile centro di potere finanziario della Banca Europea? Queste strutture sono paralizzate e non si possono riformare dall’interno. Solo un movimento dal basso, un movimento di cittadini/e e di città può rivitalizzare l’Unione agonizzante.

Ma cos’è un movimento nell’epoca dei social network? È sufficiente un think tank come quello che Democracy in Europe Movement 25 sta realizzando? Quel che occorre è un atto performativo sufficientemente largo da provocare la dissoluzione finale del cadavere della passata Unione europea, e sufficientemente forte da avviare la costruzione di Europe 2.0, fondata su un reddito di cittadinanza universale, sul denaro negativo e una riduzione immediata del tempo di lavoro.

 

Ricordiamo il 1989. Grossi muri possono crollare nottetempo. Siete preparati a questo?

Ci occorrono concetti, reti, software e modelli sostenibili fondati su reddito di cittadinanza. E ci occorre fiducia nelle nostre forze mentali, anche quando la storia si mette a girare verso direzioni inaspettate. E orrende.

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Utrecht, 20 ottobre 2016

 

POSTILLA ALL’APPELLO

se vi piace l’allitterazione

 

Qualche giorno fa insieme al mio amico Geert Lovink abbiamo scritto un messaggio che chiama alla mobilitazione, per dichiarare il fallimento del processo europeo iniziato quindici anni fa con l’istituzione dell’euro e per riaprire quel processo su basi diverse: redistribuzione della ricchezza sociale, riduzione del tempo di lavoro, reddito di cittadinanza, apertura delle frontiere ai migranti.

Abbiamo presentato il messaggio a Utrecht, sabato sera.

Il pubblico ha reagito con cortesia e interesse, ma soprattutto con scetticismo. Qualcuno, forse i più generosi o forse anche i più ingenui hanno risposto: io ci sono, dove, e quando? Dove e quando comincia un processo di fuoriuscita dall’Unione europea e di immediato avvio di un nuovo processo, fondato sull’interesse sociale e sulla potenza dei saperi autonomi? Il problema è che io non ho una risposta, né Geert ce l’ha per quanto ne so.

Non so dove né quando né soprattutto come.

Ma so che sta arrivando, per questo abbiamo scritto quel messaggio, quell’appello a drizzare le antenne. Sta arrivando un cataclisma di proporzioni inimmaginabili. I segni sono tutti visibili, ora: la guerra che dilaga a sud e a est del Mediterraneo, e si prepara al confine indo-pakistano e nel continente sud-americano. La disoccupazione che cresce dovunque, mascherata appena dalla precarietà. E la più grande crisi di sovrapproduzione di tutti i tempi: le navi sudcoreane bloccate nei porti di tutto il mondo con migliaia di container, il prezzo del petrolio e dell’acciaio che precipita, la deflazione e la stagnazione. E la guerra civile strisciante negli Stati Uniti d’America che promette di divampare il giorno dopo la vittoria o la sconfitta di Trump. E la guerra con la Russia che si farà quasi inevitabile se invece vince Hillary Clinton.

Possiamo fare qualcosa per fermare, evitare, o trasformare la tempesta che sconvolge gli equilibri della terra? Credo di no.

Quello che possiamo fare è semplicemente stare in ascolto e inventare soluzioni per il giorno in cui la tempesta sarà passata. Allora chi sarà sopravvissuto si guarderà intorno, misurerà l’ampiezza della devastazione prodotta dal neoliberismo e dal fascismo che il neoliberismo ha generato.

Adesso è tempo di pensare al dopo. Prima non ci possiamo più fare niente. Per questo abbiamo scritto un appello che invita a stare attenti, e a non mettersi in ansia.

L’Europa futura non nascerà dalle nazioni, ma dalle città, dalle reti di sapere e di solidarietà. Stiamo già cominciando a costruirla, e quando fra poco crolleranno tutti i muri, come la banda di Sergent Pepper un esercito disordinato verrà fuori da tutte le consolle del pianeta.

 

E ritenterà l’avventura difficile della felicità collettiva.

Tutto qui.

 

2 novembre 2016

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