http://vocidallestero.it/

17 ottobre 2016

 

Marine Le Pen: popolo sovrano, no al globalismo Ue-Nato

Foreign Affairs: la prossima rivoluzione francese?

di Stuart Reid

 

Da Foreign Affairs, una lunga intervista a Marine Le Pen, principale candidata alla presidenza francese nel 2017, nella quale la leader del Fronte Nazionale ribadisce la sua visione economica e sociale per la Francia, incentrata sul ritorno alla completa sovranità statale su moneta, frontiere, leggi e indirizzo economico e culturale, in totale antitesi alla traiettoria della globalizzazione e dell’Unione Europea.  (Bisogna dire che ci piacerebbe sentire queste parole  anche dalla sinistra, che invece è totalmente arresa al neoliberismo e ormai sulla via dell’estinzione)

 

In qualità di figlia più giovane di Jean-Marie Le Pen, il fondatore del partito francese di destra Fronte Nazionale, Marine Le Pen è cresciuta in mezzo alla politica, iniziando a fare campagna elettorale con suo padre a 13 anni. Formatasi come avvocato, è stata eletta per la prima volta nel 1998, come consigliere regionale, e nel 2011 è subentrata a suo padre come capo del partito. Ben presto ha preso le distanze dalle posizioni più estreme del padre, e alla fine, dopo che Jean-Marie ha ribadito la sua idea dell’Olocausto come “dettaglio” della storia, Marine lo ha espulso dal partito. In questi giorni, sulla scia della crisi europea dei migranti, degli attacchi terroristici a Parigi e a Nizza, e del voto per il Brexit, il messaggio nazionalista, anti-immigrati e euro-scettico della Le Pen sta vendendo bene. Recenti sondaggi la mostrano come principale candidata per la presidenza nel 2017, con gli intervistati che le attribuiscono un gradimento doppio rispetto a quello dell’attuale presidente, François Hollande. La Le Pen ha parlato con Stuart Reid, vice caporedattore di Foreign Affairs a Parigi, nel mese di settembre.

I partiti anti-establishment, tra cui il Fronte Nazionale, stanno guadagnando terreno in Europa. Come mai?

Credo che tutte le persone aspirino a essere libere. Per troppo tempo, i popoli dei paesi dell’Unione Europea, e forse anche gli americani, hanno avuto l’impressione che i leader politici non difendano i loro interessi, ma bensì degli interessi particolari. C’è una forma di rivolta del popolo contro un sistema che non lo serve più, ma che piuttosto serve sé stesso.

Ci sono fattori comuni dietro il successo di Donald Trump negli Stati Uniti e il suo, qui in Francia?

Sì. Vedo caratteristiche comuni particolari nell’ascesa di Donald Trump e di Bernie Sanders. Entrambi rifiutano un sistema che sembra essere molto egoista, persino egocentrico, e che ha messo da parte le aspirazioni del popolo. Traccio un parallelo tra i due, perché entrambi hanno storie di successo. Anche se Bernie Sanders non ha vinto, la sua comparsa sulla scena politica non era prevista. In molti paesi, vi è questa corrente di pensiero fedele alla nazione, che rifiuta la globalizzazione selvaggia, vista come una forma di totalitarismo. La globalizzazione è  stata imposta a tutti i costi, una guerra contro tutti per il beneficio di pochi.

Quando recentemente le è stato chiesto chi sosteneva nelle elezioni degli Stati Uniti, lei ha detto: “Chiunque tranne Hillary”. Quindi sostiene Trump?

Sono stata abbastanza chiara: a mio avviso, chiunque sarebbe meglio di Hillary Clinton. Io aspiro a diventare presidente della Repubblica francese, quindi mi preoccupo esclusivamente degli interessi della Francia. Non posso mettermi nei panni di un americano per decidere se le politiche nazionali proposte dall’uno o dall’altro candidato mi soddisfano. Quello che mi interessa sono le conseguenze delle scelte politiche fatte da Hillary Clinton o da Donald Trump sulla situazione della Francia,  economicamente e in termini di sicurezza.

Quindi vorrei sottolineare che la Clinton sostiene il TTIP [Transatlantic Trade and Investment Partnership]. Trump è contrario. Anch’io sono contraria. Vorrei anche notare che la Clinton è portatrice di guerra nel mondo, che si sta lasciando dietro Iraq, Libia e Siria, e che questo ha avuto conseguenze estremamente destabilizzanti per il mio paese in termini di crescita del fondamentalismo islamico e per le enormi ondate migratorie che ormai stanno travolgendo l’Unione Europea. Trump vuole che gli Stati Uniti ritornino all’interno della propria area naturale. La Clinton spinge per l’applicazione extraterritoriale della legge americana, che è un’arma inaccettabile per coloro che desiderano rimanere indipendenti. Tutto questo mi dice che tra Hillary Clinton e Donald Trump, in questo momento è la politica di Donald Trump ad essere più favorevole agli interessi della Francia.

Il tasso di disoccupazione in Francia attualmente è all’incirca al dieci per cento, il secondo più alto tra i membri del G7.  Quali sono le radici del malessere economico della Francia, e quali soluzioni proponete?

In questi giorni, tutti stanno proponendo le soluzioni del Fronte Nazionale. Abbiamo registrato una bella vittoria ideologica quando ho sentito [Arnaud] Montebourg [un ex ministro dell’economia nel governo socialista di Hollande] perorare la causa del “made in France”, che è uno dei principali pilastri del Fronte Nazionale.

Il tasso di disoccupazione è molto più alto di così, perché ci sono un sacco di giochetti statistici –  gli stage, il prepensionamento, il lavoro a tempo parziale – che impediscono che un buon numero di francesi venga conteggiato nelle statistiche della disoccupazione.

C’è una serie di motivi [per l’elevata disoccupazione]. Il primo è il commercio completamente liberalizzato, che espone alla concorrenza sleale di paesi che effettuano dumping sociale e ambientale, lasciandoci senza la possibilità di proteggere noi stessi e le nostre aziende strategiche, a differenza degli Stati Uniti. E in termini di dumping sociale, la direttiva sui lavoratori distaccati [una direttiva UE sulla libera circolazione dei lavoratori] sta permettendo di far entrare in Francia lavoratori a salari molto bassi.

Il secondo male di cui soffriamo è il dumping monetario. L’euro – il fatto che non abbiamo la nostra moneta – ci mette in una situazione economica estremamente difficile. Il FMI ha appena affermato che l’euro è sopravvalutato del sei per cento in Francia e sottovalutato del 15 per cento in Germania. Questo è un gap di 21 punti percentuali con il nostro principale concorrente in Europa.

Inoltre, c’è anche la scomparsa dello stato interventista. Il nostro stato, molto gollista, che in varie forme sosteneva le nostre imprese leader, è stato completamente abbandonato. La Francia è un paese di ingegneri. E’ un paese di ricercatori. Ma è pur vero che non è un paese di uomini d’affari. E così, molto spesso nella storia, le nostre grandi imprese del settore dell’industria sono state in grado di svilupparsi solo grazie alle strategie messe in atto dallo stato. Abbandonandolo, ci stiamo privando di una leva molto importante per lo sviluppo.

Parliamo dell’euro. In pratica, se ottenete il consenso, come pensate di gestirlo?

Quello che voglio è una trattativa. Quello a cui aspiro è un’uscita concertata dall’Unione Europea, in cui tutti i paesi si siedono intorno ad un tavolo e decidono di tornare al “serpente monetario” europeo [una politica degli anni ’70 progettata per limitare le variazioni dei tassi di cambio], che permette a ciascun paese di adattare la sua politica monetaria alla propria economia. È quello che voglio. Voglio che sia fatto gradualmente e in modo coordinato.

Molti paesi si stanno rendendo conto che non possono continuare a vivere con l’euro, perché la sua contropartita è la politica di austerità, che ha aggravato la recessione in diversi paesi. Vi rimando al libro che [l’economista Joseph] Stiglitz ha appena scritto, che rende molto chiaro come questa moneta sia completamente inadatta per le nostre economie e  sia uno dei motivi per cui c’è tanta disoccupazione nell’Unione Europea. Quindi, o ci arriviamo attraverso la negoziazione, o teniamo un referendum come la Gran Bretagna e decidiamo di riprendere il controllo della nostra moneta.

Pensa davvero che un referendum sul “Frexit” sia concepibile?

Io, in ogni caso, lo prendo in considerazione. Nel 2005 il popolo francese è stato tradito. I francesi hanno detto no alla Costituzione europea;  i politici di destra e di sinistra l’hanno imposta contro la volontà del popolo. Io sono democratica. Credo che non spetti a nessun altro che al popolo francese di decidere sul proprio futuro e su tutto ciò che riguarda la sua sovranità, libertà e indipendenza.

Quindi sì, vorrei organizzare un referendum su questo tema. E sulla base di ciò che accadrà nel corso dei negoziati che avrò intrapreso, dirò ai francesi:”Ascoltate, ho ottenuto quello che volevo, e penso che potremmo rimanere nell’Unione Europea”, oppure, “Non ho ottenuto quello che volevo, e credo che non ci sia altra soluzione che uscire dall’Unione Europea”.

Quali lezioni trae dal successo della campagna sul Brexit?

Due lezioni importanti. In primo luogo, quando la gente vuole qualcosa, nulla è impossibile. E in secondo luogo, ci hanno mentito. Ci hanno detto che il Brexit sarebbe stato una catastrofe, che i mercati azionari sarebbero precipitati, che l’economia avrebbe rallentato fino a fermarsi, che la disoccupazione sarebbe schizzata alle stelle. La realtà è che niente di tutto questo è successo. Oggi, le banche  pateticamente vengono a dirci: “Ah, ci siamo sbagliati”.  No, ci avete mentito.  Avete mentito per influenzare il voto.  Ma le persone stanno iniziando a comprendere i vostri metodi, che consistono nel terrorizzarle quando c’è una scelta da fare. Con questo voto il popolo britannico ha dato grande mostra di maturità.

E’ preoccupata dal fatto che la Francia si troverà economicamente isolata se lascia la zona euro?

Queste sono le stesse esatte critiche fatte al generale de Gaulle nel 1966, quando voleva ritirarsi dal comando integrato della NATO.  Libertà non è isolamento.  Indipendenza non è isolamento.  E quello che mi colpisce è che la Francia è sempre stata molto più potente quando è stata soltanto Francia invece che una provincia dell’Unione Europea. Voglio ritrovare quella forza.

Molti danno all’Unione Europea il merito di aver mantenuto la pace dai tempi della Seconda Guerra Mondiale. Perché si sbagliano?

Perché non è l’Unione Europea ad aver mantenuto la pace; è la pace che ha reso l’Unione Europea possibile. Questo argomento è stato discusso più volte, e non ha senso. Ma indipendentemente da questo, la pace non è stata perfetta nell’Unione Europea, con il Kosovo e l’Ucraina sulla soglia di casa. Non è così semplice.

In effetti, l’Unione Europea si è progressivamente trasformata in una sorta di Unione Sovietica Europea che decide tutto, che impone le sue opinioni, che spegne il processo democratico. Basta sentire [il presidente della Commissione europea Jean-Claude] Juncker, che ha detto: “Non ci può essere scelta democratica contro i trattati europei“. Questa formula dice tutto. Noi non abbiamo combattuto  per la libertà e l’indipendenza durante la Prima e la Seconda Guerra Mondiale  per dover accettare oggi di non essere più un popolo libero solo perché alcuni dei nostri governanti hanno preso questa decisione per noi.

Cosa ne pensa della leadership tedesca sull’Europa negli ultimi anni?

Era scritta nella creazione dell’euro. In realtà, l’euro è una moneta creata dalla Germania, per la Germania. Si tratta di un abito che si adatta solo alla Germania. A poco a poco, [la Cancelliera Angela] Merkel ha cominciato a sentire di essere il leader dell’Unione Europea. Ha imposto le sue opinioni. Le ha imposte in materia economica, ma le ha imposte anche accettando di accogliere un milione di immigrati in Germania, ben sapendo che la Germania poi li avrebbe smistati. Si sarebbe tenuta il meglio e avrebbe lasciato andare il resto negli altri paesi dell’Unione Europea. Non c’è più nessuna frontiera interna tra i nostri paesi, il che è assolutamente inaccettabile. Il modello imposto dalla Merkel sicuramente funziona per i tedeschi, ma sta uccidendo i vicini della Germania. Io sono l’anti-Merkel.

Cosa ne pensa dello stato delle relazioni tra Francia e Stati Uniti, e come dovrebbero essere?

Oggi, i leader francesi si sottomettono molto facilmente alle esigenze di Merkel e Obama. Di fronte alle richieste americane, la Francia ha dimenticato di difendere i propri interessi, compresi quelli commerciali e industriali.  Io sono per l’indipendenza. Sono per una Francia che rimanga equidistante tra le due grandi potenze, la Russia e gli Stati Uniti, né sottomessa, né ostile. Voglio che diventiamo ancora una volta un punto di riferimento per i paesi non allineati, come si diceva durante l’era De Gaulle. Abbiamo il diritto di difendere i nostri interessi, proprio come gli Stati Uniti hanno il diritto di difendere i propri interessi, come la Germania ha il diritto di difendere i propri interessi, e la Russia ha il diritto di difendere i propri interessi.

Perché pensa che la Francia dovrebbe avvicinarsi alla Russia del Presidente Vladimir Putin?

Prima di tutto, perché la Russia è un paese europeo. Francia e Russia hanno anche una storia comune e una forte affinità culturale. E strategicamente, non vi è alcun motivo per non approfondire le relazioni con la Russia. L’unica ragione per cui non lo facciamo è perché gli americani lo vietano. Questo confligge con il mio desiderio di indipendenza. Per di più, credo che gli Stati Uniti stiano facendo un errore a ricreare una sorta di guerra fredda con la Russia, perché stanno spingendo la Russia nelle braccia della Cina. E oggettivamente, un’associazione ultrapotente tra la Cina e la Russia non sarebbe vantaggiosa né per gli Stati Uniti, né per il mondo.

Negli ultimi sondaggi, si prevede che il Fronte Nazionale riuscirà ad arrivare al ballottaggio nelle elezioni presidenziali. In passato, in particolare nel 2002, gli altri partiti si sono coalizzati per bloccare il Fronte Nazionale al secondo turno. Sareste pronti a formare alleanze, e se sì, con chi?

Non spetta a me deciderlo. In questa elezione presidenziale si farà una grande scelta: difendiamo la nostra civiltà, o la abbandoniamo?  Quindi penso che ci sono persone provenienti da tutto lo spettro politico, da destra e da sinistra, che sono d’accordo con me e che potrebbero unirsi a noi.

Il Fronte Nazionale che lei dirige è cambiato molto rispetto al partito fondato da suo padre. A che punto della sua carriera ha capito che il Fronte Nazionale doveva prendere le distanze dalla sua immagine estremista se voleva confrontarsi con gli altri partiti?

In passato, il Fronte Nazionale è stato un partito di protesta. E’ stato un partito di opposizione. Naturalmente, la sua crescente influenza l’ha trasformato in un partito di governo, cioè, in un partito che si aspetta di raggiungere le più alte cariche per mettere in atto le sue idee. E’ anche vero che un movimento politico è sempre influenzato dalla personalità del suo leader. Non ho preso la stessa strada di mio padre. Non ho la sua età. Non ho lo stesso profilo. Lui è un uomo; io sono una donna. E questo significa che ho impresso al partito un’immagine che corrisponde più a ciò che io sono che a quello che lui era.

Come può la Francia proteggersi da attacchi terroristici come quello di luglio a Nizza?

Finora, non si è fatto assolutamente nulla. Si deve fermare l’arrivo dei migranti, che noi sappiamo essere infiltrati dai terroristi. Si deve porre fine alla cittadinanza per diritto del suolo,  l’acquisizione automatica della cittadinanza francese senza altri criteri, che ha creato francesi come [Amedy] Coulibaly e [Chérif e Saïd] Kouachi [i terroristi dietro gli attacchi di Parigi del gennaio 2015], che avevano lunghe storie di delinquenza ed erano ostili alla Francia. Non è così per tutti; non sto generalizzando. Ma è bene avere un meccanismo di sorveglianza. Bisogna revocare la cittadinanza francese ai cittadini con doppia cittadinanza che abbiano qualsiasi tipo di collegamento con organizzazioni terroristiche.

In particolare bisogna combattere lo sviluppo del fondamentalismo islamico sul nostro territorio. Per motivi elettorali, i politici francesi hanno steso il tappeto rosso al fondamentalismo islamico, che si è sviluppato nelle moschee e nei cosiddetti centri culturali finanziati non solo dalla Francia, ma anche dai paesi che sostengono il fondamentalismo islamico. Dobbiamo anche riconquistare la padronanza dei nostri confini, perché non riesco a vedere come possiamo combattere il terrorismo con le frontiere aperte.

Lei ha detto che a parte l’Islam, “nessun’altra religione provoca problemi”. Perché pensa questo?

Perché tutte le religioni in Francia sono soggette alle regole della laicità. Cerchiamo di essere chiari, questo vale anche per molti musulmani. Ma alcuni all’interno dell’Islam – e, naturalmente, sto pensando agli islamici fondamentalisti – non possono accettarlo, per un semplice motivo, e cioè che essi considerano la sharia superiore a tutte le altre leggi e norme, tra cui la stessa Costituzione francese. Questo è inaccettabile.

Per un secolo, da quando è stata approvata la legge sulla laicità, nessuno ha cercato di imporre una legge religiosa piegando le leggi del nostro paese. Questi gruppi fondamentalisti islamici stanno cercando di farlo. Questo va detto, perché non possiamo combattere un nemico se non lo nominiamo. Dobbiamo essere intransigenti quando si tratta di rispettare la nostra Costituzione e le nostre leggi. E onestamente, la classe politica francese ha invece agito nello spirito delle intese al modo canadese, piuttosto che nello spirito di una intransigenza che ci avrebbe permesso di proteggere le nostre libertà civili. Lo vediamo nelle enormi regressioni in materia di diritti delle donne in atto oggi sul suolo francese. In alcune aree, le donne non possono più vestirsi come vogliono.

Lei sostiene il divieto di burkini. Perché è un problema?

Il problema è che non è un costume da bagno. Si tratta di una divisa islamista. E’ uno dei tanti modi in cui il fondamentalismo islamico mostra i muscoli. Una volta che accettiamo che le donne sono soggette a questa divisa islamista, il passo successivo è che accettiamo la separazione dei sessi nelle piscine e in altri spazi pubblici. E poi dovremo accettare diritti diversi per uomini e donne. Se non lo si vede, allora non si capisce la battaglia che abbiamo di fronte contro il fondamentalismo islamico.

Ma questo provvedimento aiuta davvero l’integrazione dei musulmani in Francia?

Che cosa è l’integrazione? E’ vivere fianco a fianco, ognuno con il proprio stile di vita, il proprio codice, i propri costumi, la propria lingua. Il modello francese è l’assimilazione. La libertà individuale non permette di rimettere in discussione le grandi scelte di civiltà che la Francia ha fatto.

In Francia, non crediamo al concetto di vittima consenziente. Il diritto penale francese, per esempio, non permette alle persone di far del male a sé stesse per il fatto che hanno il diritto di farlo, perché agiscono per conto proprio. Non lo accettiamo, perché mina le scelte più importanti che abbiamo fatto come civiltà per quanto riguarda l’uguaglianza delle donne e il rifiuto del comunitarismo, cioè comunità organizzate che vivono secondo regole proprie. Questo è il modello anglosassone. Non è il nostro. Gli anglosassoni hanno il diritto di difendere il loro modello, ma noi abbiamo il diritto di difendere il nostro.

Pensa che il modello americano di integrazione sia più efficace di quello francese?

Non devo giudicarlo. Questo è un problema degli americani. Personalmente, non voglio quel modello. Quel modello è una conseguenza della storia americana. Comunità originarie di diversi paesi verso una terra vergine per creare una nazione fatta di persone provenienti da tutto il mondo. Non è questo il caso della Francia. La Francia è una creazione umana e legale molto antica. Nulla è lì per caso. La laicità è il modo in cui abbiamo gestito i conflitti religiosi che hanno fatto precipitare il nostro paese in un bagno di sangue.

Io non cerco di imporre il mio modello agli altri, ma non voglio che siano gli altri a decidere che il mio modello non è quello giusto. Sono spesso offesa quando paesi stranieri condannano il modello francese. Io non condanno il modello americano. Ma non voglio che il mio sia condannato. Credo che il comunitarismo sparga i semi del conflitto tra le comunità, e non voglio che il mio paese debba affrontare conflitti tra comunità. Riconosco solo gli individui. Sono gli individui che hanno diritti. Sono gli individui che hanno libero arbitrio. Sono gli individui che si assimilano. In nessun caso si tratta di comunità.

top