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14 Settembre 2016

 

Hillary Clinton, la malattia può renderla umana

di Andrea Prada Bianchi

 

La Clinton si è creata un'aura di fredda calcolatrice. E di politica senza scrupoli. Ora la malattia può generare empatia. Ma deve gestirla in maniera trasparente.

 

Dopo mesi di comizi, battaglie, polemiche e scontri in giro per gli Stati Uniti, Hillary Clinton si è dovuta arrendere ai suoi quasi 69 anni.

E lo ha fatto nel momento peggiore, a due mesi dalle elezioni, con l’avversario Donald Trump in rimonta nei sondaggi e sempre più lanciato verso il primo dibattito televisivo, il 26 settembre: difficile ipotizzare in questa fase in quali condizioni la candidata democratica arriverà all'appuntamento.

A poco valgono le rassicurazioni del suo staff, che dopo l'episodio di Ground Zero è stato accusato di voler confondere i fatti, avendo impiegato un'ora e mezza per dare una spiegazione su quanto accaduto. Mentre si è dovuta aspettare la sera di domenica per venire a conoscenza della polmonite dalla quale Hillary è stata colpita.

 

LA MALATTIA MINIMIZZATA.

«Non pensavo sarebbe stato un grosso problema», ha dichiarato lei alla Cnn, giustificandosi per non aver rivelato prima la malattia. Una difesa tardiva, ma soprattutto l’ammissione di un errore cui la candidata democratica ci ha ormai abituato: la mancanza di trasparenza.

La promessa ora è di riparare diffondendo in settimana altri dettagli sullo stato di salute.

«In questo momento la vera battaglia che deve affrontare non è contro la polmonite», spiega a Lettera43.it David C. Unger, docente della Johns Hopkins University e per più di 30 anni giornalista al New York Times, «ma è contro l’accusa di disonestà, diventata ormai il principale argomento di Trump e dei suoi avversari contro di lei».

 

OCCASIONE PER TRUMP.

Un'occasione insperata per il tycoon: era stato proprio il 'fronte Trump' a sollevare i primi sospetti sullo stato di salute di Hillary, aveva notato la tosse, la voce rauca e ne aveva chiesto conto. Il magnate ora sta giocando più sul sottile: da una parte si fregia di fair play quando augura alla 'nemica' una pronta guarigione («spero che ritorni in pista e che la vedremo al prossimo dibattito»), dall'altra la colpisce dove fa più male, a ripetizione.

E intanto promette di fornire tutte le informazioni relative alla sua di salute.

«Chiaramente questa situazione avvantaggia Trump», commenta Erik Jones, membro dello staff di Barack Obama nella campagna presidenziale del 2008 e anch’egli docente alla Johns Hopkins, «e l’accusa dei Repubblicani che Clinton manchi di resistenza fisica. Un’imputazione ridicola per chi la conosce, ma che rischia di essere un fattore di mobilitazione in più per i supporter del miliardario».

 

Usare la debolezza per generare empatia

Sebbene il momento sia ora chiaramente favorevole a Trump (anche solo dover star lontana dalle scene per una settimana in questo momento è un danno per Hillary), esiste un aspetto di questo incidente che potrebbe paradossalmente rafforzare proprio l’ex segretario di Stato.

Da anni nelle stanze del potere, Clinton si è costruita un’aura di fredda calcolatrice, una macchina politica sempre vincente, ma con poca anima.

 

SERVE TRASPARENZA.

«Quasi “disumana” nella destrezza con cui ha salito gli scalini della politica negli anni», sostiene Unger, «l’ex segretario di Stato ispira diffidenza anche in molti dei suoi stessi elettori. Ora ha la possibilità di lasciar passare l’immagine di una donna normale, e non del “robot” al quale ci ha abituato. Chiunque ha avuto a che fare con la malattia nella sua vita, e vedere che anche lei in fondo ha delle debolezze può farla sentire più vicina».

Ma, prosegue, «quello che deve fare subito è presentare pubblicamente tutto quello che c’è da sapere sul suo stato di salute. Può essere favorita da questa vicenda solo se la gente la vede come una persona normale, ma se gli elettori non avranno il 100% della sicurezza sulle sue effettive condizioni potrebbero iniziare a chiedersi se è davvero il caso di votare una persona la cui resistenza fisica non è chiara».

 

LA SVOLTA DI REAGAN.

D’altronde, non è certo la prima volta che lo spettro della malattia aleggia sulla Casa Bianca. Che a 39 anni Franklin Delano Roosevelt fosse rimasto paralizzato dalla poliomielite era un fatto conosciuto prima della sua vittoria nel 1933, anche se il presidente del New Deal, una volta eletto, cercò sempre di censurare immagini che lo ritraevano in sedia a rotelle.

Un approccio opposto a quello di Ronald Reagan il cui cancro al colon nel 1985 fu sviscerato in tutti i suoi aspetti dalla stampa. Il più anziano finora ad entrare alla Casa Bianca, Reagan mostrò i primi sintomi del morbo di Alzheimer ancora nell'Oval Office anche se l'annuncio ufficiale avvenne anni dopo la fine del suo secondo mandato.

Si potrebbe pensare che negli Usa le dimostrazioni di debolezza siano ostacolo invalicabile per accedere alla politica, «ma da Reagan in poi è stato dimostrato che non è sempre così. Comunicando in maniera giusta, sempre che riesca a ristabilirsi in tempi ragionevoli, Hillary potrebbe anche ottenere benefici da questa vicenda», spiega Unger.

 

Jones: «Meglio Hillary debole di una riserva»

Per adesso, non è chiaro né quanto sia grave la polmonite dell’ex segretario di Stato, né quando potrebbe essere in grado di tornare al 100%.

Nel frattempo, tra i Democratici ci si prepara al peggio.

Nel caso fosse costretta a rinunciare alle elezioni, tornerebbero gioco forza in pista altri nomi: dal vice presidente Joe Biden, che meditò a lungo se candidarsi per poi escluderlo dopo la morte del primogenito Beaux per un tumore al cervello, al segretario di Stato John Kerry, che nel 2012 raccolse il testimone di Hillary dopo le dimissioni dal Dipartimento di Stato, anche in quel caso per motivi di salute.

 

L'OPZIONE SANDERS.

Mentre l'attuale numero due Tim Kaine non ha necessariamente precedenza nella scelta del Comitato, si è parlato di nuovo del senatore Bernie Sanders, che all'ex First Lady nelle primarie ha dato tanto filo da torcere.

Il Dnc (Democratic national committee) potrebbe a un certo punto trovarsi davanti a questa scelta: una Hillary Clinton debole o un sostituto dell'ultimo momento?

Chiunque sia il possibile sostituto, Jones non ha dubbi: «Penso che qualsiasi candidato democratico dovrebbe essere in grado di battere Trump. Anche se ritengo che una sostituzione in corsa sia l'ultima delle risorse: i Dem hanno comunque più chance con Hillary».

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