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lunedì 28 novembre 2016

 

Elezioni USA: ipotesi riconteggio

di Fabio Della Pergola

 

«Proprio sicuri che abbia vinto Trump? Cresce ora dopo ora la pressione per spingere Hillary Clinton a chiedere ufficialmente il "Recount", il riconteggio dei voti elettronici che ne hanno decretato una più che sorprendente sconfitta di stretta misura in tre Stati chiave: Michigan, Pennsylvania e Wisconsin»...

 

Così ha scritto Paolo Brera su Repubblica qualche giorno fa ed è giusto che l’ipotesi prenda corpo quando ci sono pochi voti di differenza e il sistema elettronico di voto appare tutt’altro che “blindato”.

Lascio ad altri le dietrologie sull’eventuale intervento di hacker (che siano russi o altro, poi, è al di là di qualsiasi possibile verifica da parte mia) o sulle “falle” del voto. O anche - perché no? - critiche (legittime) e controcritiche (idem) a quella che appare come un'incapacità dei democratici di rassegnarsi alla sconfitta.

Mi limito ad osservare che i tre Stati finiti nell’occhio del ciclone valgono rispettivamente 16, 20 e 10 voti elettorali. Per un totale di 46 voti elettorali.

Trump, a cui sono stati attribuiti 306 voti elettorali, in caso di riconteggio a lui sfavorevole si troverebbe ridotto a quota 260, vale a dire sotto la fatidica asticella di 270 che costituisce la soglia raggiunta la quale si viene dichiarati vincitore delle presidenziali.

Corrispondentemente Clinton, che ha chiuso a 232, si troverebbe a 278 e sarebbe la prima Presidente donna della storia americana.

La cosa quindi non è affatto irrilevante, anche se tutti e tre gli Stati chiave dovrebbero cambiare colore insieme perché il risultato finale fosse diverso da quello di oggi. Se solo due su tre fossero attribuiti alla candidata democratica, con il riconteggio, non cambierebbe il risultato odierno.

Cosa dunque molto improbabile; ma vediamo comunque nel dettaglio.

In Michigan Trump si è aggiudicato la partita con 2.279.543 voti popolari, contro i 2.268.839 di Hillary Clinton. La differenza di 10.704 voti è davvero risicata. Non così minima la differenza in Pennsylvania dove a lui sono andati 2.938.420 contro i 2.869.606 della sfidante democratica. La differenza qui è stata di 68.814 voti. In Wisconsin il risultato è stato di 1.407.028 voti per Trump e 1.382.947 per Clinton. Di nuovo una piccola differenza di 24.081 voti.

È davvero credibile che i “falsi voti” siano andati così sul filo del rasoio da determinare l’esito a favore del candidato repubblicano, seguendo un preciso piano di alterare la volontà popolare?

In realtà, più che manipolazioni volontarie, non si può escludere l’errore umano o delle macchine per il voto elettronico (ogni Stato ha il suo sistema) e, quindi, buona comunque l’idea del recount. Ma senza alzare troppi polveroni sull’entourage di Trump (o sui suoi interessati sostenitori esterni).

Maggiori controlli andrebbero fatti in particolare in Pennsylvania, dove la differenza è stata un po’ più abbondante, perché è lo Stato che ha un sistema elettorale più debole e meno verificabile (esiste solo il voto elettronico senza le schede cartacee di supporto).

Di sfuggita è interessante notare che il voto andato alla lista ecologista radicale di Jill Stein ha segnato un buon risultato di 31.016 preferenze in Wisconsin e 51.463 in Michigan. Voti ininfluenti per la difesa dell’ambiente e anche per dare credito all’ipotesi di un terzo partito lanciata dalla Stein, ma decisivi per la vittoria di Trump in entrambi questi due Stati chiave, anche se non è affatto detto che i sostenitori di Stein avrebbero davvero votato Clinton nel caso di ritiro dalla competizione del partito verde.

Diverso il caso della Pennsylvania dove la differenza di 68.814 voti non sarebbe stata colmata dai 49.223 raccolti da Jill Stein. Ce ne sarebbero voluti altri 19.591 per dare la vittoria a Hillary Clinton nel caso, del tutto cervellotico, che Stein avesse dichiarato di appoggiarla come ha fatto Bernie Sanders alla fine della corsa per le primarie.

Questa è la differenza “politica” che è costata la Casa Bianca alla candidata democratica; oltre che sull’astensionismo di parte della sinistra “sandersista” - il che rimanda sulla validità di scegliere proprio Hillary Clinton come candidato democratico - in questa manciata di 20mila voti scarsi sui 134 milioni abbondanti di preferenze espresse.

Se sommassimo i voti complessivi della lista Stein a quelli raccolti da Hillary Clinton, il vantaggio complessivo dell’area di "sinistra" su Trump sarebbe, a oggi (il conteggio dei voti popolari non è ancora finito), di 3,6 milioni di voti.

Restano quindi tutti i dubbi sulla differenza “numerica” di una tornata che ha dato la vittoria a Donald Trump con tanto scarto (in meno) rispetto alla sfidante diretta. E, scrive Repubblica, «un presidente eletto con 1,5% di voti in meno dello sfidante non si vedeva dal 1876».

Buon ritorno al passato.

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