"La nonviolenza e' in cammino" (anno XVII)

Numero 22 del 5 ottobre 2016

 

Il vero quesito: approvate il superamento della democrazia parlamentare?

di Raniero La Valle

 

Il testo dell'intervento di Raniero La Valle al meeting "Loppiano-Lab" del Movimento dei Focolari a Loppiano (Firenze) il 30 settembre 2016 dal titolo "Secondo discorso sulla verita' del referendum. Il vero quesito: approvate il superamento della democrazia parlamentare?".

 

Cari amici,

poiche' parlo a una grande riunione di persone la cui motivazione piu' profonda e' che "l'uomo non vive di solo pane", sento prima di tutto il bisogno di dirvi la ragione per la quale a 85 anni corro l'Italia per sostenere il No al referendum, quando i giovani di oggi sono disperati per tanti altri motivi.

La ragione principale e' una ragione di verita'. Nell'appello con cui i "Cattolici del No" hanno spiegato ai cittadini perche' si oppongono a questa riforma, hanno detto di farlo per una questione di giustizia e una questione di verita'. In effetti l'Italia ha oggi un grosso problema, di sapere la verita' del referendum, non perche' qualcuno dica la "sua" verita' sul referendum, ma per capire che cosa il referendum dice di se', che cosa rivela del dramma politico che oggi stiamo vivendo in questo Paese e nel mondo.

La verita' e' il criterio supremo su cui viene giudicato il potere: sulla verita' il potere sta o cade. Lo dice Gesu' a Pilato, che voleva sapere se egli fosse un re e Gesu' risponde "sono re", e subito lo nega perche', dice, sono venuto al mondo per "rendere testimonianza alla verita'". Infatti non e' un re, nel senso di Pilato, ma un suddito crocefisso. E' la piu' radicale delegittimazione del potere senza verita'. Ebbene e' proprio la verita' che spesso manca al potere e per saperlo basta guardare alla storia dei re e dei potenti, che fanno le guerre per una bugia - come e' avvenuto in Vietnam, in Iraq e ora in Siria - e comprano il povero, o il voto del povero, al prezzo di un paio di sandali.

Dunque c'e' una questione di verita' col potere e c'e' una questione di verita' col referendum. Ognuno ne parla a suo modo e tutti lo fanno come se parlassero di oggetti diversi; per gli uni e' la fine di Renzi, per altri ne e' il principio; per gli uni abolisce il Senato, per altri abolisce i senatori; per gli uni favorisce le autonomie, per altri le nega; ed essendo un oggetto misterioso, non si sa nemmeno perche' si vota il 4 dicembre con la neve e non si vota invece il 4 ottobre con la brezza autunnale.

In questa mancanza di verita' si e' accesa una polemica sul quesito su cui si deve votare, che non e' l'enunciazione del contenuto della legge ma lo slogan che il governo le ha messo in Parlamento come titolo. Per cui la domanda e' se la riforma realizza davvero cio' che promette, oppure se mira a risultati del tutto diversi e tenuti nascosti.

E poiche' il titolo promette cinque cose e non c'e' il tempo di esaminarle tutte, mi fermero' alla prima per vedere se il titolo e' vero.

La prima cosa promessa e' il superamento del bicameralismo paritario o, come si dice piu' comunemente, del bicameralismo perfetto.

Allo stato attuale delle cose il bicameralismo perfetto consiste in due Camere che hanno gli stessi poteri: danno la fiducia, controllano l'esecutivo e fanno le leggi. Avendo entrambe la stessa dignita' e la stessa centralita' nel sistema, non c'e' una Camera alta e una Camera bassa, tutte e due sono Camere alte.

La diversa misura delle due Camere era invece la caratteristica del Regno d'Italia. Secondo lo Statuto Albertino c'era una Camera alta, che era il Senato del Regno, ed era chiamata alta perche' i senatori erano nominati dal Re. La Camera dei deputati, i quali invece erano eletti dal popolo, era detta Camera bassa. Era evidente in quella concezione che il Re era l'alto, e il popolo era il basso. Il Senato, nella varieta' delle vicende politiche, doveva garantire la continuita' del Regno. Questa e' la ragione per cui nel "Gattopardo" un messaggero del Re va a chiedere al principe di Salina di fare il senatore: perche' anche con l'unita' d'Italia i signori continuino a regnare come prima e tutto cambi perche' tutto resti com'era. La stessa continuita' il Senato del Regno doveva assicurare nel passaggio dallo Stato liberale allo Stato fascista, ma Mussolini preferi' fare la Camera dei Fasci e delle Corporazioni, sicche' fu poi la Costituente che sciolse il Senato; e i costituenti, trovando il terreno vergine, senza Camera ne' alta ne' bassa, decisero di fare due Camere, ambedue elette dal popolo e percio' aventi la stessa statura.

Adesso con la riforma proposta, c'e' un rovesciamento perche' la Camera dei Deputati diventa lei la Camera alta. In essa siederanno infatti dei deputati di nomina regia, che cioe' saranno nominati dall'alto, ovvero dal governo e dai capi dei partiti, e sara' la Camera che dovra' assicurare la continuita' del potere e del regime, e dicendo che "tutto cambia", si fara' garante che tutto resti com'e'. Invece il Senato diverra' la Camera bassa; e tanto bassa, che non sara' fatta nemmeno da senatori eletti dal popolo, ma da sindaci e onorevoli locali designati dai Consigli regionali.

E a questo punto la questione e' questa: pur declassati, questi senatori potranno fare davvero i senatori? Secondo Renzi, dovendo essi venire a Roma a sbrigare delle pratiche, come gia' fanno i sindaci, ne potranno approfittare per passare anche dal Senato e tra una cosa e l'altra fare i senatori. Pero' secondo l'art. 55 della nuova Costituzione il Senato dovrebbe vegliare su pressoche' tutte le politiche pubbliche, valutarle e verificarle, come se fosse una sorta di "commissario politico" della Repubblica. Secondo poi l'art. 70, che ridistribuisce le competenze tra Camera e Senato, i senatori avranno ingentissime altre incombenze e per adempierle dovranno osservare una tempistica massacrante; infatti, mentre  da un lato per moltissime leggi fondamentali, che restano nelle competenze del bicameralismo paritario, i senatori dovranno passare in Senato tanto tempo quanto i deputati alla Camera, d'altro lato per richiamare al proprio esame ogni altra legge e per intervenire, deliberare, proporre modifiche, fare ricorso alla Corte costituzionale, dare il loro parere quando il governo voglia sostituirsi ai poteri delle Regioni e delle citta' metropolitane, i senatori avranno termini tassativi ora di 5 giorni, ora di 10 giorni, ora di 15 o 30 giorni che si accavalleranno tra loro. Questo ancora nessuno l'ha detto; ma e' chiaro che nel ping pong tra una legge e l'altra, tra un richiamo di una legge e un altro, tra una proposta di modifica e l'altra, i senatori per non saltare i termini dovrebbero stare a Roma molto piu' a lungo dei deputati, che invece possono andare a casa quando vogliono senza che a loro scada termine alcuno.  E qui c'e' il paradosso: una riforma che doveva addirittura istituire un Senato delle autonomie, rischia di risolversi in un una sorta di sabotaggio delle autonomie da parte del Senato.

Percio' e' impossibile che sindaci di grandi citta' e consiglieri regionali di rilievo possano abbandonare i loro doveri d'ufficio nel territorio per installarsi a Roma correndo dietro alle leggi e alle delibere con uno scadenzario in mano. Il che vuol dire che a Roma non ci staranno affatto e percio' ci sara' un Senato ma non ci saranno i senatori, e l'attivita' legislativa sara' bloccata.

Allora la domanda e': non era meglio piuttosto abolire il Senato? Non lo hanno fatto. Forse i riformatori che volevano "cambiare verso" all'Italia erano troppo conservatori, forse Renzi era troppo organico alla vecchia classe politica per arrivare a sopprimere il Senato della Repubblica, e perfino per osare di cambiarne il nome, che doveva essere "Senato delle autonomie". Quello che invece hanno fatto e' stato di depotenziarlo per renderlo innocuo, per levare l'incomodo che esso arrecava ai governi. E cosi' hanno tolto al Senato l'unico potere che veramente contava e che dava fastidio, il potere di dare e togliere la fiducia. E questo lo hanno statuito senza ambiguita' e senza esitazione alcuna: con questa riforma infatti il governo esce totalmente dal controllo del Senato. Cosi' almeno una Camera e' messa fuori gioco. E perche' la spoliazione fosse ben chiara, hanno tolto al Senato anche quel potere che purtroppo nella nostra cultura massimamente e' rappresentativo della sovranita': il potere di deliberare lo stato di guerra che l'art. 87 della nuova Costituzione toglie al Senato e riserva alla sola Camera dei deputati.

In questo consiste dunque l'uscita dal bicameralismo perfetto, che e' il titolo e la gloria della legge di revisione che dobbiamo votare.

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L'uscita e' dalla democrazia parlamentare

Ma quanto, dopo questa uscita, il bicameralismo diventa imperfetto? Diventa tanto imperfetto che neanche la Camera dei deputati funzionera' piu' come un organo della democrazia parlamentare. La democrazia parlamentare consiste infatti nel rapporto di fiducia per cui il governo nasce e dipende dalla fiducia espressa dalla maggioranza del Parlamento. Ma nel nuovo sistema, la fiducia verrebbe data da una Camera nella quale la maggioranza assoluta dei seggi sarebbe occupata per legge dai nominati di un solo partito. Ora ci dicono che questa legge, l'Italicum, la cambieranno, quando ormai a Renzi, che puo' perdere, non conviene piu'. Pero' finora essa ha fatto parte integrante del cambiamento istituzionale, e' stata imposta al Parlamento col voto di fiducia come premessa della stessa riforma, e la Corte Costituzionale, rinviando la decisione sulla sua incostituzionalita' a dopo il referendum, l'ha formalmente consegnata al giudizio del popolo italiano. Percio' inevitabilmente il 4 dicembre voteremo insieme sia sulla riforma di uscita dal bicameralismo che sulla legge elettorale che l'accompagna, voteremo cioe' sul "combinato disposto". Dunque voteremo per un sistema in cui al governo la fiducia sara' data da una Camera di sua fiducia, con una maggioranza di deputati nominati dallo stesso governo, corrispondenti pero' a una minoranza degli elettori. In tal modo la fiducia al governo non sara' piu' un atto libero di Camere elette e rappresentative di tutto il popolo, ma diverra' un atto interno di partito, diverra' un atto dovuto per disciplina di partito, non importa se riunito al Nazareno o a Montecitorio.

Dunque il punto non e' che dal bicameralismo perfetto si passa a un bicameralismo dimezzato. La verita' e' che il bicameralismo resta, ma e' la democrazia parlamentare che se ne va. Il superamento e' questo, e questo dovrebbe essere percio' il titolo non menzognero della legge. Ci sara' una democrazia e ci sara' un Parlamento, ma non ci sara' piu' una democrazia parlamentare. Per questo i riformatori si gloriano del fatto che ci sara' un solo governo per tutti i cinque anni di legislatura, e magari per piu' legislature, e non ci saranno piu' come prima 63 governi in 63 anni, come dicono Renzi e l'ambasciatore americano. Ma se dalle urne viene fuori non dico un tiranno, ma un invasato, un uomo del destino, un pazzo, uno Stranamore, un apprendista stregone, o anche semplicemente un idiota, non c'e' niente da fare, la sua signoria e' assicurata per molti anni; e cosi' le elezioni politiche si trasformano ogni volta per il Paese in una roulette russa, in un rischio di suicidio.

Questa e' una delle verita' del referendum. Ma c'e' anche, come dicevamo, una verita' che sta dietro al referendum, e che esso rivela. Essa viene alla luce quando si dice che la legge Renzi-Boschi attua finalmente riforme attese e avviate da tempo.

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Un processo di restaurazione

E' verissimo che queste riforme vengono da lontano. Ma da chi sono attese? Sono attese dai mercati, dagli investitori, dalle grandi agenzie e societa' del commercio globalizzato. E sono state avviate dalle Banche, dalle Borse, dalla Trilaterale, dalla scuola di Chicago, dai Premi Nobel dati agli apostoli della dottrina neoliberista, come von Hayek e Friedman, dal Consenso di Washington del 1989, dal Fondo Monetario Internazionale e dalle sue ricette di riforme strutturali. La Costituzione renziana e' in effetti il punto di arrivo di un processo di restaurazione condotto da classi dirigenti pentite di quella democrazia che avevamo ritrovato e reinventato dopo la tragedia dei fascismi sconfitti, e che avevamo messo nelle Costituzioni del dopoguerra.

Il fulcro di questa restaurazione consiste nel trasferire la sovranita' dal popolo ai mercati.

E' una restaurazione che ha bisogno di poteri spicci e sbrigativi, tanto meglio se loquaci, che mettano la politica al passo coi dogmi economici, magari pregati di essere piu' flessibili.

Cio' comporta un blocco del pluralismo politico e richiede una societa' impietosa divisa in due tra vincenti e perdenti, accolti ed esclusi, necessari ed esuberi, salvati e sommersi. Per i poveri, che non hanno altra ricchezza che il diritto, e' un disastro. Ed e' una societa' che non puo' piu' ripudiare la guerra, perche' la guerra e' il giudice di ultima istanza nella lotta per gli interessi esterni del sistema, per le risorse e per la supremazia.

Da noi il decennio di svolta e' stato tra il 1981 e il 1991, a partire dal divorzio tra governo e Banca d'Italia, fino alle picconate alla Costituzione di Cossiga, fino a Maastricht, e al Nuovo Modello di Difesa con cui l'Italia ha ripudiato la pace, ha cambiato natura e missione delle Forze Armate e dopo la scomparsa del nemico sovietico ha accettato la scelta atlantica insensata di sostituirlo con l'Islam come nemico. Da allora viviamo nella nuova conflittualita' che si e' aperta col Sud del mondo, e col terrorismo come nuovo nome e nuova condizione permanente della guerra.

Questo processo di restaurazione peraltro non si e' concluso. Il referendum ne e' una tappa intermedia. Gia' ci dicono che se vince il Si' la riforma verra' riformata e si aprira' una stagione di ulteriori revisioni. Certo non basta un No per fermare questo processo, ma il No e' condizione perche' esso possa essere interrotto e rovesciato.

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