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09 Ottobre 2016

 

Deriva autoritaria nella riforma. Non è necessario che venga esplicitata

di Stefano Alì

 

Il refrain degli ultimi giorni: Dove sta scritto nella riforma che c’è il rischio di deriva autoritaria?

 

Renzi a Zagrebelsky: «Dove sta scritto nella riforma che c’è un rischio di deriva autoritaria?»... 

Ma è davvero necessario che sia scritto in modo esplicito?

 

A partire dalla sera dell’incontro televisivo Renzi – Zagrebelsky, ogni qual volta parlo di “deriva autoritaria nella riforma” o dico “la riforma cambia la forma di Stato in Premierato” la risposta è: “dove sta scritto”?

Già perché l’esimio costituzionalista Matteo Renzi ha posto questa domanda al Professore.

Probabilmente se avessero ascoltato anche la risposta di Zagrebelsky, i propagandisti #bastaunsi non porrebbero la domanda. O forse non è stato capito il senso della risposta.

L’estratto della conversazione:

RENZI: “Professore, mi dice dove sta scritto nella riforma che c’è un rischio di deriva autoritaria?”

ZAGREBELSKY: “Mi dice chi scriverà lo statuto delle opposizioni?”

RENZI: “Il parlamento”

ZAGREBELSKY: “Eletto con?”

RENZI: “L’Italicum”

ZAGREBELSKY: “Quindi sta dicendo che le regole delle opposizioni verranno scritte da chi governa?”

Ovviamente questo è solo uno degli esempi: “Tout se tient”.

La mia domanda in risposta, è:

«In quale articolo si legge che la Repubblica Italiana è una Repubblica Parlamentare?»

Da nessuna parte!

È l’impianto costituzionale, nella sua conseguenza logica che costruisce un modello piuttosto che un altro.

Come si è già visto in «Governabilità e stabilità. E la “separazione dei poteri”?» è stata sufficiente una legge elettorale incostituzionale per spostare l’asse legislativo dal Parlamento al Governo. Otto leggi su dieci sono di iniziativa governativa. Le leggi di iniziativa governativa impiegano 1/3 del tempo per essere approvate rispetto a quelle di iniziativa parlamentare.

Senza neppure bisogno di modificare la Costituzione, una legge elettorale incostituzionale ha trasformato la Repubblica Parlamentare in «Premierato all’Italia».

E la riforma darebbe ora una spallata anche al concetto di Parlamento quale espressione della sovranità popolare e al diritto di voto.

Secondo l’impianto costituzionale attuale, infatti, non può sussistere assemblea legislativa che non sia frutto della elezione diretta del Popolo che proprio con il voto manifesta la sua sovranità.

Un Senato che non sia eletto direttamente e che non rappresenti il Popolo (nella riforma rappresenterebbe le autonomie locali) non dovrebbe potere legiferare.

Eppure con la riforma mantiene i poteri di modifica della stessa Costituzione in regime di bicameralismo perfetto. Quindi non sarebbe più scontato che la Sovranità appartiene al Popolo, a dispetto dell’articolo 1 della Costituzione.

La Costituzione è il più classico degli esempi in cui TUTTO È CONCATENATO: “tout se tient“.

 

Verso la deriva autoritaria: Alcuni elementi

Dalla centralità del Parlamento alla centralità del Governo

 

Abbiamo appena visto che con una legge elettorale incostituzionale l’asse legislativo è stato spostato dal Parlamento al Governo.

È evidente che con una Legge elettorale rispettosa dei Princìpi costituzionali questo potrebbe non accadere più.

Occorreva, allora, rendere stabile il fatto che l’iniziativa legislativa appartiene al Governo e non ai rappresentanti della Sovranità popolare.

Ecco allora, nascosto fra le 158 parole del nuovo articolo 72 comma 7:

il Governo può chiedere alla Camera dei deputati di deliberare, entro cinque giorni dalla richiesta, che un disegno di legge indicato come essenziale per l’attuazione del programma di governo sia iscritto con priorità all’ordine del giorno e sottoposto alla pronuncia in via definitiva della Camera dei deputati entro il termine di settanta giorni dalla deliberazione.

Il Governo si riserva la possibilità di “ingolfare” le Camere solo indicando un disegno di legge quale “essenziale per l’attuazione del programma”.

Ovviamente la definizione è talmente fumosa da poter includere qualsiasi disegno di legge di iniziativa governativa e in tale caso tutti i tempi di esame delle Camere si dimezzano:

In tali casi, i termini di cui all’art. 70, terzo comma, sono ridotti della metà.

Ma non finisce qui.

In barba a qualsiasi principio di sussidiarietà, il Governo può avocare qualsiasi competenza delle Regioni.

Si tratta della cosiddetta “clausola vampiro”, il comma 4 dell’articolo 117:

Su proposta del Governo, la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale.

Chi stabilisce se ricorrano o meno le condizioni per “risucchiare” le competenze regionali in capo al Governo?

In sintesi, il Governo avrà la potestà di “occupare” l’attività del Parlamento con le sue proposte di legge e di “vampirizzare” le competenze delle Regioni.

 

“Tout se tient”

È necessario che in Costituzione sia scritto in modo esplicito che la forma di Stato subisce una brusca virata verso il premierato?

E se aggiungiamo che la Legge elettorale attuale (Italicum) introduce una surrettizia elezione diretta del Presidente del Consiglio? I simboli dei partiti, infatti, dovranno indicare il nome del Presidente del Consiglio, come con l’attuale incostituzionale Porcellum.

Non ho pregiudizi precostituiti contro il premierato. Lo stesso Calamandrei propose il premierato. Purché i “contrappesi” fossero adeguati.

Calamandrei per contenere lo strapotere di un Presidente del Consiglio prefigurava:

Presidente della Repubblica eletto direttamente

Corte Costituzionale totalmente indipendente

Magistratura totalmente indipendente

Stato federale

Si chiama “legge della continenza”.

Ciascun potere “contiene” (nel senso che “limita”) gli altri. Senza la Legge della Continenza si entra in deriva autoritaria o peggio.

È stata citata da Zagrebelsky nell’incontro con Renzi che lo ha guardato con “l’occhio della mucca che vede passare il treno“. Come parlasse in aramaico antico!

L’ultimo punto (Stato federale) lo vediamo già bello e superato dalla “clausola vampiro”.

Andiamo avanti.

 

I diritti delle opposizioni

A inizio post, dalla conversazione fra Renzi e Zagrebelsky abbiamo già individuato un altro degli elementi.

Se la maggioranza, tra l’altro eletta con un premio fortemente sbilanciante, scriverà le regole per l’opposizione è ovvio che non verrà favorito il leale rapporto.

Prendiamo l’attuale articolo 75 della Costituzione:

Ogni disegno di legge, presentato ad una Camera è, secondo le norme del suo regolamento, esaminato da una Commissione e poi dalla Camera stessa, che l’approva articolo per articolo e con votazione finale. Il regolamento stabilisce procedimenti abbreviati per i disegni di legge dei quali è dichiarata l’urgenza.

[…]

La procedura normale di esame e di approvazione diretta da parte della Camera è sempre adottata per i disegni di legge in materia costituzionale ed elettorale e per quelli di delegazione legislativa, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali, di approvazione di bilanci e consuntivi.

Siamo certi che i Costituenti abbiano previsto canguri, supercanguri, ghigliottine e via discorrendo?

E comunque dovrebbero poter essere utilizzati solo “per i disegni di legge dei quali è dichiarata l’urgenza“. Non certo per le leggi di riforma costituzionale. Chi ha deciso se non la maggioranza di strozzare il dibattito con le opposizioni?

I regolamenti delle Camere hanno fatto pezze dei diritti costituzionali delle opposizioni.

E i rispettivi presidenti hanno completato l’opera mutuando ciascuno istituti restrittivi previsti nel regolamento dell’altra Camera e aggiungendoli “per prassi” al proprio.

Qualcuno si chiederà «Dove sta scritto che le opposizioni hanno diritti?»

Da nessuna parte e ovunque. A partire dall’articolo 1:

L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro.

È implicito che non può sussistere democrazia senza il riconoscimento dei diritti delle opposizioni. Se non ci fossero diritti riconosciuti per le opposizioni saremmo in piena deriva autoritaria e oltre.

 

La “gestione” delle assenze

Non mi stanco di riproporre questa immagine

 

 

293 presenti eppure il numero legale rimane verificato nonostante la Camera dei Deputati conti 630 unità. Il minimo dei presenti dovrebbe essere 316. Come può essere valida la votazione?

Semplice. Con un artificio.

Art 108 comma 2 del Regolamento del Senato

I Senatori che sono assenti per incarico avuto dal Senato o in ragione della loro carica di Ministro non sono computati per fissare il numero legale. La stessa disposizione si applica ai Senatori che sono in congedo a norma dell’articolo 62, nel limite massimo di un decimo del totale dei componenti dell’Assemblea.

Art 46 comma 2 del Regolamento della Camera

I deputati che sono impegnati per incarico avuto dalla Camera, fuori della sua sede, o, se membri del Governo, per ragioni del loro ufficio sono computati come presenti per fissare il numero legale.

Quindi i parlamentari assenti possono non entrare nel computo del numero legale, ma non risultano fra i presenti né, tanto meno, fra i votanti.

Come funziona nella prassi?

Semplicissimo. Basta auto-dichiararsi in “missione” con un fax al servizio assemblea con su scritto

Egregio Presidente per impegni connessi al mio ufficio le sarei grato considerarmi in missione per le sedute antimeridiane, pomeridiane ed eventuali notturne dal ….al…

 

Uno stratagemma inventato da Frick per Hitler

Senza correre il rischio di apparire complottista affermo che questa pratica è assolutamente anti democratica.

Un documento depositato presso la Camera dei Deputati affianca la pratica di non computare nel numero legale i parlamentari assenti a una necessità di Hitler (qui altro link per scaricarlo)

Il problema per il partito nazionalsocialista era come ottenere la necessaria maggioranza dei due terzi per l’approvazione di una legge sui pieni poteri con cui consolidare il governo di Hitler. Per assicurarsi in Parlamento tale maggioranza, fu modificato il regolamento del Reichstag secondo il suggerimento di Frick: sostituire al concetto di presenza fissato dalla Costituzione una finzione, quella della presenza degli assenti ingiustificati, lasciando al Presidente (nazionalsocialista) dell’assemblea il giudizio se l’assenza fosse giustificata o no. Così in pratica i deputati non presenti tout court erano considerati presenti. In questo modo fu «risolto» il problema che l’assenza dei parlamentari dell’opposizione facesse mancare il numero legale, impedendo così la deliberazione della progettata Ermàchtigungsgesetz

Costituì il grimaldello per la deriva autoritaria e dittatoriale di Hitler.

Con questo stratagemma sono stati già approvati/bocciati gli emendamenti alla riforma costituzionale.

 

Il Presidente della Repubblica

Per estremizzare e renderlo perfettamente “costituzionale” questo stratagemma verrebbe ora introdotto in Costituzione.

A partire dal settimo  scrutinio, il Presidente della Repubblica possa essere eletto dai 3/5 dei votanti.

Nell’ipotesi dell’immagine basterebbero 175 votanti per eleggere il Presidente della Repubblica che, a norma di Costituzione, rappresenta l’unità Nazionale!

Il tutto con una legge elettorale che assegna premi di maggioranza spropositati (nell’Italicum, con o senza modifiche, i premi di maggioranza spropositati permangono).

Il Presidente della Repubblica, quindi, rimane sotto il tacco del Presidente del Consiglio!

 

La Corte Costituzionale

Con la riforma, 1/3 dei Giudici della Corte Costituzionale verrebbero nominati dal Presidente della Repubblica di cui abbiamo appena accennato e 1/3 dalle Camere. Tre dalla Camera dei Deputati e due dal Senato. Spezzare le nomine fra le Camere ha l’effetto di diminuire il numero degli eletti per ciascuna Camera, in modo da favorire la maggioranza. Se, per paradosso, ciascuna Camera potesse nominarne uno solo si avrebbe l’assoluta certezza che gli eletti siano di “gradimento” del Presidente del Consiglio. Con cinque componenti eletti in seduta comune non è detto che la maggioranza possa “gestire” la votazione (come abbiamo già visto nell’ultima tornata).

Due terzi della Corte Costituzionale, quindi, sarebbero anch’essi sotto il tacco del Presidente del Consiglio.

 

Il Consiglio Superiore della Magistratura e il Consiglio di Stato

Presieduto dal Presidente della Repubblica, per 1/3 è anch’esso eletto dal Parlamento e quindi dalla maggioranza.

Per i restanti 2/3 dai magistrati ordinari.

Sempre che nel Governo non ci sia qualche potente magistrato in grado di “sponsorizzare” candidati amici (vedi il caso del sottosegretario Ferri, nell’ultima tornata).

Sempre che con forzature o appositi emendamenti non si riduca la rappresentanza togata per inserire amici (vedi Consiglio di Stato).

 

Verso la deriva autoritaria: Tout se tient

Nessuno dei poteri che dovrebbero bilanciare lo strapotere del Presidente del Consiglio è autonomo. Tutti i poteri che dovrebbero realizzare la “Legge della Continenza” sono in mano al Presidente del Consiglio.

È davvero necessario che sia esplicitata la deriva autoritaria nella riforma costituzionale?

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