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20 Novembre 2016

 

Aria fritta e carta straccia

di Luciano Fuschini

 

Da più parti si avverte l’elettorato che si voterà per o contro la riforma costituzionale, perché il voto sul tema non sia deviato da altre considerazioni. Invece della riforma costituzionale bisognerebbe infischiarsene: il voto è in realtà un Sì all’operato del governo di Renzi oppure una sua sconfessione. I fautori del No portano due argomenti: la difesa della Costituzione del 1948, insidiata da una brutta riforma pasticciata e confusa; la preoccupazione per una riforma che, combinata con la nuova legge elettorale, mette a rischio la democrazia.

 

Entrambi gli argomenti sono inconsistenti.

 

La Costituzione è già carta straccia. Lo è da tempo, nell’indifferenza o nell’inconsapevolezza dei suoi appassionati tutori attuali. I famosi princìpi fondamentali, utopistici fin dalla loro stesura, sono sistematicamente disattesi, a cominciare dal tanto lodato articolo primo, che andrebbe riformulato così: “l’Italia è una Repubblica formalmente democratica fondata sui voucher”. L’altrettanto lodato art.11, quello che “ripudia la guerra”, è aria fritta da quando le guerre di aggressione, a cui partecipiamo con l’assenso della destra, del centro-destra, del centro-sinistra e della sinistra, sono diventate “missioni di pace”.

 

La parte che delinea una politica economica, la migliore della carta costituzionale italiana, è del tutto vanificata dalle leggi europee alle quali siamo tenuti a sottostare. Infatti la Costituzione indica un sistema di mercato regolato strettamente dallo Stato, che può anche nazionalizzare imprese private qualora lo richieda l’interesse collettivo. Le leggi europee escludono qualunque intervento statale che alteri la libera competizione fra imprese private, in una logica di assoluto liberismo. L’introduzione in Costituzione dell’obbligo del pareggio di bilancio annulla tutta la parte economica delineata dai padri costituenti. Fu tranquillamente votato da centro-destra e centro-sinistra.

Nella parte che configura le forme istituzionali, le modifiche del Titolo V hanno già introdotto cambiamenti significativi. Altri articoli costituzionali andrebbero rivisti, come la limitazione della democrazia diretta al solo caso del referendum abrogativo, escludendo il referendum propositivo. Insomma, la riforma del Senato su cui si voterà è un pasticcio mal concepito, ma non ha senso la parola d’ordine della difesa di una Costituzione che è già da tempo aria fritta e carta straccia.

 

Quanto alle preoccupazioni per le sorti della democrazia, sono 70 anni che quelle minacce vengono periodicamente evocate, si trattasse del premio di maggioranza nella legge elettorale, o delle trame della P2, o del decisionismo craxiano, o delle campagne di Berlusconi contro la Magistratura. Un blaterare su falsi obiettivi mentre la democrazia veniva sistematicamente svuotata di significato, ma non dalle leggi elettorali o dai Craxi e Berlusconi, bensì da un sistema che ha ben compreso come la dittatura più efficace non sia tanto quella poliziesca quanto la sottile penetrazione nella psicologia di massa, con l’uso abilissimo dei mass media, in un vero e proprio lavaggio del cervello che instilla sistematicamente il pensiero unico. Il tutto nell’atonìa catalettica delle opposizioni parlamentari.

 

Dunque si vota non per la riforma della Costituzione o la sua intangibilità nella prospettiva di cambiamenti più meditati, bensì per approvare o disapprovare l’operato del governo di Renzi e dei suoi ministri. Occorre una grande dose di fiduciosa attesa per valutare positivamente l’operato di un venditore di fumo che ha affrontato la crisi economica col contentino dei bonus e delle mance, che si è sdraiato servilmente davanti ai padroni americani, che finge di fare la voce grossa con le istituzioni europee ma firma puntualmente tutti gli impegni, compresi le vergognose sanzioni alla Russia e il discutibilissimo accordo con la Turchia sui flussi migratori. Un governo che, a prezzo di costi gravosi, impegna la flotta nel soccorso ai barconi carichi di illusi, incoraggiandoli così a proseguire nelle loro transumanze insensate e distruttive.  Pertanto la scelta del No sembra di gran lunga preferibile.

 

Vi si possono opporre alcune considerazioni. È vero che la vittoria del No indebolirebbe un governo già in difficoltà per la persistenza della crisi economica e per la risalita dello spread, fino a prospettare probabili dimissioni, ma è anche vero che le possibili alternative sarebbero perfino peggiori. Un altro governo Renzi dopo un rimpasto ministeriale; un governo di unità nazionale, cioè un’ammucchiata fra PD, FI e centrismi vari, magari con la presidenza di Franceschini o il ritorno di Letta, in un immobilismo totale; oppure un governo tecnico come fu quello di Monti, puro e semplice trasmettitore delle direttive di Bruxelles. Il tutto col ritorno alla ribalta dei Prodi, dei Bersani, dei D’Alema, dei Berlusconi, autentiche sciagure nazionali, peggiori  del peggior Renzi.

 

Tuttavia la vittoria di Trump può fare sperare esiti diversi. Può fare sperare che la crisi di governo sfoci in elezioni anticipate che questa volta potrebbero offrire all’elettorato alternative autentiche, con la possibile vittoria dei populisti sull’onda del trumpismo. Non che la vittoria del populismo ci susciti entusiasmi, anzi, bisognerebbe prendere le distanze dalle attese eccessive dei confidenti in Trump, ma finalmente sarebbe un macigno gettato nella palude del pensiero unico, del dominio dei mercati finanziari, del liberalismo che ha inglobato una sinistra pannellizzata, del cosmopolitismo amante dei miscugli e indifferente alla prospettiva della scomparsa delle nazioni, dell’accoglienza indiscriminata, del politicamente corretto, delle quote rosa, dei matrimoni gay, delle guerre umanitarie, della Russia sempre nemica anche in assenza del comunismo.

Se questo argomento a favore del No non convince, è sempre lecito astenersi. Fra le tante cose da rivedere nella Costituzione “più bella del mondo”, c’è anche la mistica del voto, quella per cui il voto è un diritto e un dovere. No. Il voto è solo un diritto, non un dovere. Chi se ne frega e chi non ha le idee chiare e distinte pretese da Descartes, senta il dovere civico di starsene tranquillamente a casa propria.

 

 

 

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