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25 novembre 2016

 

L'Economist vota No? Giornale spaccato. La sua edizione speciale è per il Sì

di Enrico Franceschini

 

Ieri l'editoriale che sosteneva anche un eventuale governo tecnico. Il numero annuale oggi in edicola spiega con firme autorevoli perché è importante il successo dei referendum del 4 dicembre.

 

L'Economist per il no nel referendum italiano, ieri. L'Economist per il sì nel referendum italiano, oggi. Sempre dell'Economist si tratta, ma le opinioni su come l'Italia dovrebbe votare nella sfida del 4 dicembre divergono. Sul numero del settimanale in edicola da giovedì, un editoriale ha spiegato "perché votare no". Ma sul numero annuale dell'Economist in edicola da stamane, The World in 2017, che raccoglie analisi, commenti e previsioni sull'anno in arrivo, un articolo afferma che la scelta migliore per il nostro paese sarebbe invece quella di votare sì. Come spiegare la contraddizione? Non con il cosiddetto "cerchiobottismo", che non appartiene alle tradizioni giornalistiche locali. Più probabilmente con il fatto che la redazione dell'autorevole settimanale si è spaccata su questa decisione, come del resto confermato dalle indiscrezioni raccolte da "Repubblica" dopo che si è diffusa la notizia dell'editoriale di ieri per il no.

 

La novità è che su The World in 2017, un numero speciale che resta in vendita per mesi se non per tutto l'anno e che gli abbonati al settimanale ricevono generalmente in omaggio, l'Economist si schiera decisamente per il sì. Una differenza è che, mentre gli articoli del settimanale non sono firmati, quelli del numero annuale lo sono e dunque rappresentano in primo luogo l'opinione di chi li scrive. Un'altra è che l'editor ossia il direttore di The World in 2017 è Daniel Franklin, mentre la direttrice del settimanale è Zannie Minton Beddoes. Ma in copertina di entrambi c'è scritto The Economist, i giornalisti sono gli stessi e rappresentano la stessa filosofia editoriale. In un certo senso l'edizione annuale è una "costola" o supplemento del settimanale.

 

L'articolo di The World in 2017 sul referendum è firmato da John Hooper, da molti anni corrispondente da Roma dell'Economist (sia del settimanale che per il numero annuale), uno dei più noti giornalisti della testata (è stato anche a lungo corrispondente dall'Italia del Guardian). E'intitolato "La scommessa di Renzi" (sottotitolo: "il destino dell'Italia in sospeso"). Dopo avere spiegato come si è arrivati al referendum, l'autore nota che le riforme proposte dal quesito "mirano a rendere l'Italia un paese più governabile". Aggiunge che disgraziatamente il referendum è diventato un voto personalizzato sul presidente del Consiglio Renzi e sulle sue chances di mantenere l'incarico. Per poi concludere così: "Con un voto sì, l'Italia comincerà il 2017 con una possibilità di lasciarsi alle spalle il suo primato di governi instabili e leggi inefficaci. Con un no, si troverà a confrontarsi con uno scenario deprimente e familiare di instabilità politica e forse anche economica".

 

Viceversa, secondo il settimanale, l'Italia dovrebbe votare no nel referendum del 4 dicembre. Il nostro paese ha effettivamente bisogno di ampie riforme, afferma un editoriale, "ma non quelle proposte" da Renzi. L'Economist scrive che il premier ha rappresentato una grande speranza di cambiamento e che il referendum, nelle sue intenzioni, serve appunto a realizzare quei cambiamenti di cui l'Italia ha bisogno per far crescere l'economia nazionale e non essere più "la principale minaccia alla sopravvivenza dell'euro". Ciononostante, come sostiene fin dal titolo dell'articolo, l'Economist non ha dubbi: "L'Italia deve votare no". Anche se poi un po' ci ripensa: "Why Italy should vote no" è il titolo dell'edizione online del settimanale, mentre quello dell'edizione cartacea è più sfumato, "A regretful no" (Un no rammaricato), forse anche questo un indizio della spaccatura provocata dalla decisione della direzione del giornale di schierarsi per il no.

 

Le modifiche costituzionali proposte da Renzi, osserva il settimanale, non affrontano il vero problema, che è il rifiuto italiano di fare le necessarie riforme. "Ogni secondario beneficio" ricavato dalle modifiche in questione verrebbe contraddetto dalle conseguenze negative, "soprattutto il rischio che, cercando di mettere fine all'instabilità che ha dato all'Italia 65 governi dal 1945, si crei un uomo forte. Questo è il paese che ha prodotto Benito Mussolini e Silvio Berlusconi ed è vulnerabile in modo preoccupante al populismo". E' vero che il sistema bicamerale italiano produce uno stallo e riformarlo sembrerebbe logico, prosegue l'editoriale, "ma i dettagli della riforma insultano i principi democratici". Il senato "non sarebbe eletto", bensì composto di membri di assemblee regionali e sindaci: e il giornale nota che i poteri locali in Italia sono spesso i più corrotti. In secondo luogo la riforma concede al partito di maggioranza alla Camera "un immenso potere, dando al maggiore partito il 54 per cento dei seggi e la garanzia di governare cinque anni".

 

Il rischio che il settimanale britannico intravede è che a beneficiare di queste condizioni sarebbe in futuro Beppe Grillo: "Lo spettro di Grillo come primo ministro, eletto da una minoranza e tenuto al potere dalle riforme di Renzi, è una possibilità che molti italiani e grane parte dell'Europa giudicano preoccupante". E come valutare allora il "rischio di un disastro" se il referendum sarà bocciato, cioè dell'instabilità in Italia e di un'altra crisi per l'Unione Europea? L'Economist conclude così l'editoriale: "Le dimissioni di Renzi potrebbero non essere la catastrofe temuta da molti in Europa. L'Italia potrebbe mettere insieme un governo tecnico ad interim, come ha fatto molte volte in passato. Se invece un referendum perduto scatenasse il collasso dell'euro, allora sarebbe un segnale che la moneta europea era così fragile che la sua distruzione era solo questione di tempo".

 

Secondo indiscrezioni raccolte da "Repubblica", la decisione di schierarsi per il no ha spaccato la redazione. Da una parte la direttrice Zanny Minton Beddoes e alcuni giovani editorialisti, dall'altra - schierati per il sì e fortemente perplessi sulla scelta opposta - il corrispondente dall'Italia, i responsabili dei servizi sull'Europa e altri commentatori e redattori. Commenta una fonte dall'interno della redazione del giornale: "Abbiamo appoggiato Remain nel referendum sulla Ue e Hillary Clinton nelle presidenziali americana. La nostra decisione di appoggiare il no nel referendum in Italia potrebbe diventare il bacio della morte". Nel senso di un terzo endorsement sconfitto alle urne.

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