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5 dicembre 2016

 

Il fallito non è renzi, ma Napolitano e una strategia internazionale

di Silvano Danesi

 

Non mi è mai stato simpatico, ma mi piacciono le persone che si assumono le loro responsabilità. A fronte di una prassi consolidata, che ha fatto registrare negli anni le dichiarazioni dei politici tartufi, volte a negare la sconfitta con sofismi vomitevoli, Matteo Renzi ha dato prova di essere un uomo, ammettendo la sconfitta e assumendosene la responsabilità. Chapeau.

Fatta questa premessa, credo si debba dire, con altrettanta chiarezza, che lo sconfitto non è Matteo Renzi, ma una linea politica che Matteo Renzi, con indubbio impegno, ha incarnato e rappresentato.

Tale linea politica è composta da più elementi.

Il primo è dovuto all’acquiescienza al globalismo clintonian-obamiano, voluto dal globalismo neo feudale finanziario e delle multinazionali, che in Italia ha avuto come massimo responsabile l’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (il vero sconfitto), il quale ha consegnato il Paese alla sudditanza all’Europa dei finanzieri e dei burocrati con governi proni alle direttive feudal-burocratiche di un’Unione che non è mai stata un vero stato federale dei popoli. Renzi ha tentato un colpo di reni in fase finale, contestando i diktat eurogermanici ed euroburocratici, ma fuori tempo massimo. Il globalismo clintonian-obamiano è in crisi dopo lo tsunami dovuto al voto americano che ha premiato Trump e l’Unione è a pezzi.

E’ cambiata la musica e sono cambiati non solo i suonatori, ma anche il direttore d’orchestra. E’ cambiato lo scenario internazionale.

Il secondo è il tentativo di rimettere in campo una pseudo Democrazia Cristiana (con gli ex comunisti in ginocchio e ossequianti) come perno di un centrismo politico eterodiretto da una Chiesa politica, quella stessa che Benedetto XVI ha indicato come ormai superata.

“Io sono certo – affermava profeticamente nel 1969 Joseph Ratzinger – di ciò che rimarrà alla fine, non la chiesa del culto politico, ma la chiesa della fede. Una chiesa che non sarà più la forza sociale dominante nella misura in cui lo era fino a pochi anni fa, ma una chiesa che conoscerà una nuova fioritura e apparirà come la casa dell’uomo, dove trovare vita e speranza oltre la morte”.

Il terzo è il tentativo di mantenere a tutti i costi, con alchimie istituzionali esproprianti del potere del voto popolare, il potere della Casta, che ha nei politici solo la facciata riconoscibile, ma che dietro le quinte aveva come protagonisti i fautori del primo elemento.

Renzi era l’attore sulla scena di un copione che il popolo ha capito essere contrario ai propri interessi e molto funzionale ai poteri della finanza internazionale, delle multinazionali e dei feudatari degli stessi.

Tragico e miserevole è il tentativo dei vari attori sulla scena politica italiana di appropriarsi della vittoria del No.

Il No a valanga segna il fallimento di una strategia internazionale e come tale va valutato, in sintonia con la vittoria di Trump, con la Brexit e con i vari sussulti identitari e popolari che si registrano nel mondo e, in particolare, in Europa.

Onore delle armi a Matteo Renzi, ottimo interprete di una strategia sbagliata e perdente, ma nessuna acquiescenza ai sofismi irritanti di chi tenta di cavalcare la vittoria del No.

Lo scenario è cambiato e se non si vuole cadere nell’abisso, è ora di voltare pagina. Anzi: è ora di cambiare il copione.

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