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22 marzo 2016

Il vento freddo del terrore
di Ascanio Celestini

"Abbiamo spostato le guerre lontano da noi con la furba speranza che Auschwitz o il bombardamento di San Lorenzo potessero trasformarsi in notizie che arrivano da paesi lontani. Poi il mondo c’è tornato addosso..."

Dal 2002 porto in tournée uno spettacolo, Fabbrica. Durante quella stagione teatrale vado a recitare in una città del nord. Una sera viene il sindaco. È uno a cui piace il teatro, ma anche uno che ha ricevuto minacce e ha una piccola scorta. Dopo il mio spettacolo andiamo a cena in pizzeria. Mi riaccompagna nella foresteria del teatro. Scendo dall’auto e un africano lo riconosce. Saranno state le due di notte, io scendo e la macchina del sindaco riparte velocemente. Effettivamente era una scena strana. Uno che si alza da terra e incomincia a rincorrere gridando contro l’auto del sindaco…

Per strada non c’è nessuno tranne me e lui. Mi dice “lo conosci?”, parla del sindaco, e io non riesco a rispondere. Penso che sia un matto, ma non lo è. È un poveraccio. Uno che dorme in terra. Penso che mi dirà cose tremende. Ho paura che sia ubriaco. Armato, magari di una bottiglia rotta. E invece mi vuole avvertire di qualche cosa che io non so ancora. Mi parla calmo. Dice “io sono nato in Africa, sono africano. Mio figlio è nato in Italia ed è nero come me, ma non si sente africano. Se non riuscite a farlo diventare almeno un po’ italiano… che fine farà?” e dopo queste poche parole se ne ritorna a dormire in terra, ma prima mi da la sua risposta “prima o poi quello prende il mitra e spara”.

Pensavamo che le guerre mondiali fossero solo quelle che si sono combattute a casa nostra nel secolo scorso e che adesso studiamo nei libri, ascoltiamo i vecchi e le celebriamo negli anniversari. E invece abbiamo spostato le guerre lontano da noi con la furba speranza che Auschwitz o il bombardamento di San Lorenzo potessero trasformarsi in notizie che arrivano da paesi lontani. Poi il mondo c’è tornato addosso e la violenza che abbiamo delocalizzato ci sta tornando in casa.

A teatro succede così quando entrano gli spettatori. Il teatro è riscaldato, ma gli spettatori sono freddi perché vengono da fuori e nel calduccio del tuo palcoscenico vengono a portare dentro il freddo della città. Tutto quel che hanno indosso è freddo. Hanno giacche e scarpe fredde, e persino i capelli che hanno in testa abbassano la temperatura del tuo bel teatro.
Il terrorista sfonda le porte e fa entrare la tempesta, ma tutti gli altri porteranno nel tepore della tua calda cultura un po’ del loro freddo insopportabile.

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