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24 aprile 2016

 

Liberazione. Un racconto diverso

di Ascanio Celestini

 

Ho registrato mio padre per la prima volta nella sua bottega. Era artigiano, rimetteva a posto i mobili, li restaurava, li lucidava. La seconda volta l’ho registrato in salotto. Stavamo seduti sul divano e ha parlato un po’ meno di un’ora. Tutte e due le volte mi ha raccontato la stessa storia, la sua storia della Liberazione. Ma non quella del 25 aprile del ’45 perché mio padre viveva a Roma e si ricordava un’altra Liberazione. Lui raccontava del 4 giugno 1944, il giorno che nella sua città finì la guerra. Questa storia in famiglia l’abbiamo sentita tutti. Era quella che raccontava più spesso. Quella che lo rappresentava. Il suo documento d’identità. Una volta m’ha detto che sarebbe stato bello farci un film. Dunque… se fosse un film incomincerebbe la sera del 3 giugno 1944 nel Cinema Iris di Porta Pia. Mio padre sarebbe il personaggio principale e mio nonno il co-protagonista.

Mio nonno… il sor Giulio.

Nino: er sor Giulio, mi’ padre, lavorava ar cinema… ar cinema Iris, faceva ‘e pulizie ‘a mattina e ‘a maschera er pomeriggio, quella notte io stavo co’ lui, quà sera io stavo lì ar cinema co’ lui e semo rimasti lì a dormì. Co’ ‘a speranza che ‘a mattina ce stavano ‘e linee pe’ venì a casa. Era un periodaccio ogni tanto c’era quarche bombardamento, quarche truppa che se moveva. ‘a mattina semo partiti, se semo arzati, semo usciti dar cinema, se semo avviati pe’ trovà se c’era un tranve. Generalmente prendevamo er sedici che ce portava fino ar capolinea pe’ poté prende poi er tranve pe’ venì a casa, ‘a stefer…

E … i tranvi non l’avemo trovati. E così se semo avviati a piedi. E cammina un po’ de qua, un po’ de la se vedeva quarche movimento de truppe de… ma era normale pe’ noi perché i carrarmati e i camion ce n’erano continuamente a Roma in quer periodo.

Arivati a San Giovanni da via Emanuele Filiberto, ce stavano del… del movimento aereo e c’era ‘n’aereo tedesco che nu’ ‘o so’ forse scappava, forse aveva incominciato un certo… un certo combattimento co’ artri aerei, e se so’ visti due tre aerei americani che lo inseguivano e jé sparavano.

Mi’ padre m’ha preso pe’ ‘n braccio e m’ha messo dentr’a un portone, dice… (Nino:) Ma no, no vojo vedé! (Padre:) Ma che voi vedé, cammina! E m’ha messo la dentro. Finita ‘sta mezza barauffa se semo avviati pe’ San Giovanni e pe’ via Taranto. Perché da via Appia c’era un movimento de truppe e i tedeschi che …movimento de carriarmati. Allora mi’ padre pe’, pe’ cercà d’evità i militari, robba der genere, avemo fatto un vicoletto lì pe’ arrivà a via Taranto, adesso nun me ricordo che via era. Ogni tanto incontravamo quarche… quarcuno che cor carettino portava quarche morto sopra. Quarche ferito che ‘o portaveno ar pronto soccorso.

Per strada portano via morti e feriti e mio padre con mio nonno se ne vanno a piedi perché i tram non passano. “Di tram non ne passavano tanti manco nei giorni precedenti”, dice, ma il 4 giugno non ne passa proprio nessuno. Lo capiranno più tardi il perché di questa scomparsa dei mezzi pubblici. Per adesso manco se lo sognano che sta per finire la guerra, che proprio in queste ultime ore i tedeschi stanno scappando e gli alleati hanno incominciato ad entrare dentro Roma. Poi per il resto della sua vita racconterà di questo giorno come “l’entrata dell’americani”. E chissà quante altre volte se l’era fatta a piedi sotto agli aerei che si sparavano o in mezzo al movimento di truppe che infatti dice: “era normale per noi”. Chissà quante altre volte ha attraversato Roma in questa maniera. Ma tutte l’altre sono cancellate da questa. Perché oggi questa giornata è stata toccata dalla storia, dalla grande Storia, quella che poi finisce sui libri o sullo schermo del cinematografo… Ma quando uno ci cammina in mezzo alla storia non se ne accorge mica che sta in mezzo alla Storia. Come quella trasmissione televisiva dove ti riprendono con le telecamere nascoste. Una volta si chiamava Specchio Segreto, la faceva Nanni Loy. Mo’ si dice Candid Camera o Scherzi a Parte. A te ti sembra solo che ti sta succedendo qualcosa di strano, ma non capisci il perché. Poi qualcuno ti indica la telecamera e ti dice di sorridere. Tu sorridi e capisci il senso di tutte quelle stranezze che t’erano capitate.

 

Per molti di noi la Storia è uno scherzo televisivo. Una cosa che c’ha senso soltanto dopo. Soltanto quando te la indicano, quando te la vengono a spiegare. Per molti di noi la Storia è una trappola. Uno va a fare la spesa e in quel momento bombardano un supermercato. Un’altro se ne va in spiaggia e quel giorno dal mare arriva l’onda che sommerge le spiagge di un intero continente. Poi dopo si dirà che su quel supermercato o su quelle spiagge è passata la Storia. Che in quel giorno è iniziata la guerra, che in quell’altro c’è stato lo Tsunami, ma intanto tu ci sei trovato in mezzo e più che passare alla storia… è la Storia che ti è passata sopra. Anche per mio padre la storia è una trappola. Quel giorno sta tornando a casa e insieme a mio nonno, al sor Giulio, portano un pezzo di fegato di animale con un uovo che si mangeranno per cena. In quel momento arriva la trappola. Una cipolla.

Nino: ce stava ‘na cipolla per tera, vicino ar marciapiede. Strano, però c’era. Er sor Giulio c’aveva un po’ de fegato rimediato tramite quarche amico. Comprato lì verso dove… ddo lavorava. M’ha detto: “a Ni’ pija quel, pija quà cipolla che… ‘a manna ‘e dio, er fegato co’ ‘a cipolla è quello che po’ esse!” E io me so’ buttato per tera pe pijà ‘sta cipolla… ‘na corsa, forse sarò scivolato, no’ ‘o so’. Beh senti… io me so’ accorto e nun me so’ accorto. Ma c’è stata ‘na mitragliata. Io me so’ accorto perché ho sentito er sor Giulio, mi’ padre che strillava. S’era messo ‘e mani all’occhi e strillava. A me me sembravano dei sassi cascati. Ho detto: “ma che te strilli?” (Padre:) “ma no’ ‘o vedi che mitragliata che c’è stata?” Sicuramente nun era pe’ me. Nun è che hanno sparato a me perché che fastidio potevo da’ mentre raccojevo ‘na cipolla? Poi se ne fregava ‘a gente de me! Sortanto che sarà stato quarc’artro tedesco, quarc’aroplano, tra loro, no’ ‘o so’… è venuta così. E se semo avviati. Poi lui s’è rinfrancato. Io ridevo e mi’ padre che ‘na stizza c’avuto. Certo che pe’ ‘na cipolla… a perde’ ‘n fijo! No’ ‘o so’ se conviene.

Nel ‘44 mio nonno c’ha più di 40 anni. È invalido, cammina zoppo. Mio padre di anni ce n’ha 8. Che c’entrano loro due con la guerra? Con Roosevelt che un paio di giorni dopo farà sbarcare i suoi soldati in Normandia? Con Stalin che manda il suo esercito verso la Polonia. Con Hitler che ha iniziato una lunga e dolorosissima ritirata. Col re d’Italia che dopo aver lasciato la nazione a un dittatore senza capelli, mo’ ha cambiato idea ed è scappato prima di finire male. Con Mussolini stesso che c’ha la sua repubblichina a Salò e ancora aizza le squadracce? Ce c’entrano mio nonno e mio padre? Mo’ la Storia passa anche vicino a loro. Passa velocemente mentre raccolgono ‘na cipolla. Passa con la velocità delle pallottole sparate da un cecchino. Ma adesso che la Storia è passata e per fortuna che l’ha solo sfiorati si rimettono in marcia verso casa. Se ne vanno “verso via Tuscolana”.

Nino: Arivati all’altezza de’ ‘a scuola… c’è ‘na scuola lì, ‘a Giovanni Cagliero me pare che se chiama. Arivati a quer punto lì se vedeva giu in fondo i militari, da ‘a parte che noi avemo sempre chiamato er passaggio a livello, l’arco der travertino. Giu in fondo ce stavano dei militari. Co’ ‘na divisa che io no’ ‘i conoscevo, ma manco mi’ padre, ma manco l’altre persone. Ferme che nun passavano de qua, non venivano più avanti. E ce stava quarcuno, quarche militare della PAI, questi qua dei repubblichini. Perché in quell’epoca me pare che se chiamavano repubblichini ‘sto novo governo che aveva fatto er fascio. Che ce tenevano bloccati, ce consigliavano: “guardate, nun c’annate là, nun c’annate là perché…” Ma noi dovevamo annà ar Quadraro, dovevamo annà a casa. ‘a strada era questa, pe’ noi non poteva esse’… E c’era quarcuno che nun sapeva manco lui diceva: “ma quelli me sa’ che so’ tedeschi travestiti”. Sai l’ignoranza ce n’era tanta. A ‘n certo punto, ‘na camionetta americana che ha cercato… è venuta più avanti, è venuta verso Roma, verso de noi… ‘na cannonata l’ha presa in pieno! Dentro quà camionetta c’erano 4-5 persone. Proprio è diventata niente. E noi avemo visto così. Avemo incominciato a annà verso casa. Quà cannonata è stata de un carrarmato che stava da ‘a parte de sotto… così hanno detto, perché io no’ ‘o visto, così hanno detto. Io ho visto solo ‘a camionetta sfonnata. Co’ i cadaveri lì per tera. Un carrarmato Tigre tedesco che stava de sotto all’Appia Nova che era come… aregge ‘a ritirata dei tedeschi. I tedeschi andavano, andavano via pe’ l’Appia e ‘americani entravano pe’ ‘a Tuscolana. Forse era ‘n accordo preso tra loro, nu’ ‘o so’

Forse l’americani s’erano messi d’accordo coi tedeschi. Ecco la differenza tra mio padre che non conosce la Storia e quelli che la Storia la conoscono. E forse la conoscono perché la fanno loro. Mio padre cammina lungo la strada e cerca di tornare a casa. Si ferma alla scuola Giovanni Cagliero e vede i soldati in lontananza. Qualcuno pensa che siano americani. Qualcun’altro che siano tedeschi e c’è persino qualcuno che è convinto si tratti di tedeschi travestiti da americani. Mio padre sta davanti alla storia come davanti a un mistero. E davanti a questo mistero incomincia fare ipotesi. E nell’ipotesi forse i nemici si mettono d’accordo, forse i tedeschi si travestono da americani…. “Di sicuro c’è solo la morte” dice un proverbio popolare. E, infatti, qui l’unico fatto certo è la camionetta che proprio è diventata niente. L’unica cosa sicura sono i morti. E dopo aver visto i morti decidono di cambiare strada.

Nino: A noi però c’hanno consijato da nun, da nun passà là quà strada e pe’ andà fino ar Quadraro dovevamo entrà dentro alla Banca d’Italia che lì ce stà, ‘na cosa… ‘na casa de ‘a Banca d’Italia dovrebb’esse. C’hanno fatto entrà lì, scavarcando sempre co’ ‘sto sor Giulio. Che io riuscivo bene a scavarcà i muri ma er sor Giulio (era) grand’invalido der lavoro! Era un problema. Che tirava continuamente ‘sto pacchetto cor fegato e dentro ar fegato c’aveva pure un po’ d’ova. Co’ ‘a paura che jé se rompessero pure l’ova. E semo andati dentro al…, lì c’era ‘n ospedale allora, come un sanatorio era quello.

Come avemo scavarcato dentro a ‘sto sanatorio se semo incontrati co’… co’ ‘na sparatoria de partigiani co’ ‘sti repubblichini. Se sparavano tra l’arberi. Ma è durata parecchio, 10 minuti, un quarto d’ora. Forse pure quarche minuto de più. A ‘n certo punto uno, chi ‘o sa forse ha capito che stavano a fa’ ‘na stronzata. S’è messo a strillà: “fatela finita! Fatela finita!” Perché forse questo aveva visto che ce stavano pure dei civili, noi che cercavamo de scavarcà er muro, passà sotto… sotto ‘st’arberi e annassene a casa. E se so’ fermati. Hanno posato le armi e se so’ fermati. Forse hanno capito che… che è ora de falla finita. Noi continuando piano piano… Ahò venivamo da Porta Pia a piedi! Semo arrivati ar Quadraro. Arivati ar Quadraro, che te devo dì… camionette, carri armati, cannoni, ‘sti militari americani che distribuivano ‘a cioccalata, ‘e caramelle. Ecco è finito. Semo arivati a casa… e no’ ‘o so’, è stata ‘na gioia pe’ noi. Perché passando sotto ‘sto mitrajamento, passando sotto ‘sto… lì è finito!

L‘entrata d’americani… pe’ me è stata questa qui è stata.

E questa è la Liberazione secondo la memoria di mio padre. Ma proprio in questi giorni mi chiedo se non ci stiamo confondendo con tutti questi discorsi sulla memoria. “Il giorno della memoria… la giornata del ricordo… per non dimenticare…” Forse c’è una memoria che sta diventando istituzionale. E le istituzioni sono macchine stupide come o i distributori di sigarette. Non puoi ringraziare la macchina se quella sigaretta che ti sei fumato ti ha fatto passare lo stress e non puoi dargli la colpa se il catrame ti ha consumato i polmoni. Ma intanto l’istituzione t’ha preso in giro. La macchinetta t’ha fatto credere che comprare un pacchetto di sigarette è un gioco divertente. Metti la moneta, spingi il pulsante e salta fuori il pacchetto. T’ha fatto credere che sei fortunato a vivere in un paese dove puoi acquistare sigarette a qualsiasi ora perché c’è quella macchinetta che è sempre in funzione. Ti fa sentire libero… libero di fumare 20 sigarette alle tre di notte.

La macchinetta istituzionale funziona alla stessa maniera. Ti dice che la memoria è una cosa importante e te la mette a disposizione. Basta avvicinarsi, spingere il pulsante, aprire lo sportelletto e prendere la memoria da consumare. Come per le sigarette ti mette davanti tutto un catalogo di prodotti che è possibile acquistare. Bombardamenti, rastrellamenti deportazioni… come le sigarette al mentolo, col filtro senza filtro… Ti fa credere che sei fortunato a vivere in un paese che non ha perso la memoria. Ti fa sentire libero. Libero di ricordare. Ma ricordare che cosa?

Se le sigarette che piacciono a te non stanno nel distributore, finisci per fumartene altre, cambi gusto. Se la memoria che ti propongono è un altra dalla tua finisci per dimenticare quella che ti appartiene. Ti ricordi soltanto ciò che…. ti hanno ricordato ….. di ricordare.

L’istituzione è una macchinetta stupida che istupidisce.

Mi dicono che la banana per essere chiamata “banana” deve essere lunga almeno 14 centimetri. È una legge! Forse per le istituzioni anche la memoria per essere chiamata “memoria” deve rispettare dei parametri. Io, invece, quando penso alla memoria di mio padre penso a qualcosa che non si trova al distributore istituzionale. È un prodotto fatto in casa come il basilico coltivato sul balcone. Io lo mangio e mi piace anche se c’ha le foglie della grandezza sbagliata. I racconti che faceva mio padre anche se sono racconti di guerra… con la guerra non c’entrano niente. Io ascolto questa registrazione senza pensare ai bombardamenti e all’occupazione, al nazi-fascismo e ai campi di sterminio. Io ascolto la sua voce e penso a lui, a quando raccontava. Penso alla bottega dove ha lavorato per tanti anni, al salotto dove l’ho registrato. La memoria è letteratura. È la letteratura che racconta la storia degli esseri umani. La loro vita. E come diceva Nino: Questa è la vita che se faceva in quell’epoca sotto ai bombardamenti. La vita dei ragazzini in quell’epoca.

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