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13 Gennaio 2016

 

Reato di tortura, ritardo italiano: dov'è finita la legge

di Davide Gangale

 

Il governo propone risarcimenti alle vittime di Bolzaneto. Che però vanno avanti. Ma la politica è ferma. Tra condanne europee, tweet di Renzi e il no della polizia.

 

Sono trascorsi più di nove mesi da quando il 7 aprile 2015 la Corte europea dei diritti dell'uomo ha dato ragione ad Arnaldo Cestaro, il più anziano dei manifestanti torturati alla scuola Diaz di Genova nei giorni del G8 del 2001.

La Corte ha condannato l'Italia non solo per i danni permanenti subiti da Cestaro, ma anche perché l'ordinamento nazionale non prevede il reato di tortura, con la conseguenza che i responsabili non sono stati puniti per effetto della prescrizione.

 

«LO DIREMO IN PARLAMENTO».

Il reato di lesioni, l'unico applicabile per violenze di questo tipo, si prescrive infatti in sette anni e mezzo. All'epoca della sentenza, il presidente del Consiglio Matteo Renzi aveva risposto così su Twitter a chi gli chiedeva di commentare.

 

@matteorenzi: noto che su altri fatti oggettivi come la condanna dell'Italia per tortura alla Diaz non dici nulla. come mai?

@lukacasa: quello che dobbiamo dire lo dobbiamo dire in parlamento con il reato di tortura. Questa è la risposta di chi rappresenta un Paese.

 

CHE FINE HA FATTO LA LEGGE?

Al netto dell'errore di battitura, il premier annunciava evidentemente una svolta: un cambiamento della legislazione italiana nel rispetto dell’articolo 3 della Convenzione europea («Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti»). Che cosa è cambiato da allora?

 

ANTIGONE: «SITUAZIONE PEGGIORATA».

Lettera43.it lo ha chiesto a Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, l'associazione che si batte per i diritti dei detenuti e le garanzie nel sistema penale.

«L'unica novità è stata quel tweet», afferma Gonnella, «poi la situazione è peggiorata in maniera catastrofica».

La vicenda è estremamente attuale, perché il caso di Arnaldo Cestaro non è affatto isolato.

Tanto che Antigone ha lanciato un nuovo video appello al presidente del Consiglio.

 

TRE RICORSI PENDENTI A STRASBURGO.

A Strasburgo pendono altri tre ricorsi collettivi che riguardano complessivamente circa 100 persone pestate alla Diaz e alla caserma di Bolzaneto.

Ma il 9 gennaio 2016 si è diffusa la notizia che il ministero degli Esteri italiano ha proposto ai ricorrenti di conciliare.

Di chiudere la partita con 45 mila euro ciascuno per danni morali, la stessa cifra che la Corte ha ordinato di corrispondere a Cestaro nel 2015.

IL GOVERNO TEME NUOVE CONDANNE.

«Fa specie che il governo proponga di monetizzare la violenza delle forze dell'ordine, ma fa ancora più specie la sua determinazione a mettere la parola fine ai ricorsi prima che arrivino a sentenza», continua Gonnella.

«L'esecutivo teme che la Corte possa ribadire per altre 100 volte quello che ha già detto. Cioè che il nostro Paese si è reso colpevole di tortura, un reato che le sue leggi non permettono di sanzionare e di prevenire».

 

Lo zampino delle forze dell'ordine per bloccare la legge

 

Ma in che senso è possibile affermare che oggi la situazione sia addirittura peggiorata?

Spiega Gonnella: «Nei giorni immediatamente successivi alla sentenza, la Camera ha approvato una proposta di legge il cui testo non definiva il reato come vorrebbe la convenzione Onu contro la tortura del 1984, ma che secondo noi rappresentava comunque un buon compromesso».

Nel passaggio al Senato, tuttavia, «il provvedimento è caduto nell'oblio».

 

AUDIZIONE SENZA RESOCONTO.

Anche perché è intervenuto un fatto nuovo: «A maggio del 2015 c'è stata un'audizione informale dei vertici delle forze dell'ordine in commissione Giustizia. Non possiamo conoscere cosa abbiano detto esattamente, perché non c'è traccia del resoconto. Ma sappiamo che hanno espresso la loro contrarietà».

 

La legge richiede il concetto di «pluralità»: violenza per almeno due volte

 

La commissione Giustizia, presieduta dall'onorevole Nitto Palma (Forza Italia), a quel punto ha riscritto la legge.

«E lo ha fatto in maniera inaccettabile. Il reato di tortura non solo diventa generico, ma richiede la pluralità della violenza», dice il presidente di Antigone.

 

UN ATTO SOLO NON BASTA.

Il che significa che «affinché la violenza sia definibile come tortura, deve essere perpetrata due volte. In base alla nuova formulazione, quindi, un unico atto di violenza, nei confronti di una sola persona, non costituisce tortura».

 

PROVVEDIMENTO SPARITO.

Per Gonnella si tratta di un escamotage: «È un modo per bloccare la discussione parlamentare e per consentire l'impunità della tortura qualora la legge venisse definitivamente approvata».

Tant'è che il provvedimento «è scomparso dall'ordine del giorno della commissione Giustizia» a Palazzo Madama.

 

«Renzi sui diritti civili è il vice di Alfano»

 

Chi non intende mollare, però, sono le vittime delle torture alla scuola Diaz e alla caserma di Bolzaneto.

«È molto probabile che l'Italia venga nuovamente condannata. Sappiamo già con certezza che alcuni dei ricorrenti rifiuteranno la proposta di conciliazione per le violenze commesse a loro danno».

 

PETIZIONE ONLINE.

Un gesto coraggioso, che impedirà alle forze politiche di nascondere il tema sotto il tappeto: «Antigone, anche attraverso una petizione sul sito Change.org che ha raccolto finora più di 53 mila firme, chiede al presidente del Consiglio Matteo Renzi di uscire alla scoperto una seconda volta».

Perché «non è possibile che il governo, sui temi che riguardano i diritti dei cittadini, diventi ostaggio del Nuovo centrodestra. Cosa vuole fare Renzi, vuole diventare il vice di Alfano?».

 

«TORTURA INUTILE CON I TERRORISTI».

L'introduzione del reato di tortura, così come la cancellazione del reato di immigrazione clandestina, non può essere sacrificata in nome della «ricerca del consenso».

E l'emergenza terrorismo non può essere considerata un valido argomento: «La giurisprudenza e la storia hanno dimostrato l'inutilità della tortura in questi casi. La prigione di Abu Ghraib non ha sconfitto il terrore e sotto tortura non si dice la verità, ma qualsiasi cosa serva a far cessare il tormento».

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