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7 marzo 2016

 

Quel vuoto lasciato dal Comandante Chavez

di Andrea Muratore

 

Raramente la morte di un singolo uomo ha cambiato in maniera tanto radicale i destini di una nazione. Nel 2013 si poteva considerare praticamente esaurita la grande ondata di sviluppo che aveva interessato l’America Latina, ma è altamente probabile che una continuazione dell’operato di Chavez avrebbe prodotto di sicuro risultati infinitamente migliori di quelli a cui è andato incontro il Venezuela durante la presidenza Maduro.

 

La statura di numerosi personaggi della Storia recente e passata può essere misurata dalle dimensioni del vuoto da questi lasciato nel momento della loro morte o del loro eclissarsi dalla vita pubblica. Nel caso di Hugo Chavez, della cui morte ricorre oggi il terzo anniversario, le dimensioni di questa voragine aumentano sempre di più parallelamente al progressivo deteriorarsi della situazione interna al Venezuela. La Repubblica Bolivariana si ritrova infatti alle strette, fiaccata dalla depressione economica, lacerata da aspre contrapposizioni politiche, governata da una leadership che non riesce a districarsi agilmente tra i numerosi problemi e le diverse urgenze che il paese si trova ad affrontare e colpita da un assedio economico oramai duraturo a cui hanno negli anni contribuito non poco anche esponenti dell’élite economica venezuelana. Tre anni potrebbero apparire un orizzonte temporale decisamente ristretto per valutare il profilo storico di una figura di primissimo piano della Storia recente come Hugo Chavez, ma l’evoluzione vissuta dal Venezuela dopo la sua morte e soprattutto il confronto tra il Comandante e il suo successore, Nicolas Maduro, offrono sufficienti spunti per poter inquadrare nel proprio contesto giusto il quindicennio di Chavez da presidente del Venezuela e lo sviluppo degli eventi durante i suoi mandati.

Per quindici anni la storia del Venezuela è stata la storia della Rivoluzione Bolivariana. E la storia della Rivoluzione Bolivariana è indissolubilmente legata con la parabola politica del suo ideatore. Chavez è stato il fautore del più grande processo di rinnovamento istituzionale, economico, politico e sociale mai vissuto da un paese latinoamericano, e l’ispiratore di un progressivo diffondersi delle idee di progresso sociale, ridistribuzione delle risorse, incentivi all’educazione e indipendenza nazionale dai vincoli esterni che hanno poi trionfato in diverse nazioni del continente latinoamericano, dando vita all’epopea dei governi del “socialismo del XXI secolo”. Il suo programma di rinnovamento fu coronato dal successo perché riuscì a incanalare nella giusta direzione gli stimoli per un cambiamento di sistema che attraversavano buona parte della società venezuelana, arrivata alla fine del XX secolo stremata dopo il fallimento del sistema oligarchico-clientelare del puntofijismo. Il risultato conseguito andò ben oltre le più rosee aspettative dello stesso Chavez. La sua visione di un nuovo Stato si concretizzò in maniera rapida, sulla scia di politiche coraggiose che andavano in netta controtendenza con la linea storicamente seguita dai governanti venezuelani: il ritorno sotto il controllo statale dell’industria petrolifera fornì i mezzi per implementare programmi di lotta all’analfabetismo, edilizia popolare, tutela dei diritti umani, sviluppo di un sistema sanitario efficiente e capillare (grazie al decisivo aiuto di Cuba), dunque per avviare nel concreto la Rivoluzione Bolivariana, un progetto straordinariamente ambizioso figlio della volontà indomabile di Chavez di plasmare una nuova nazione, basata su ideali differenti da quelli che animavano il Venezuela dei decenni precedenti.

Richiamandosi a Bolivar, Chavez volle stabilire un contatto ideale con il Libertador, eroe di un continente intero, esprimendo chiaramente la volontà di fungere da esempio per l’avvio di processi di sviluppo analoghi a quello che stava interessando il Venezuela in altri paesi del continente latinoamericano. Le varie nazioni del Sudamerica avevano infatti vissuto nei decenni conclusivi del XX secolo congiunture storiche largamente sovrapponibili: dopo fasi di prolungata instabilità politica, erano state attratte sempre più nell’orbita dell’influenza statunitense e si erano votate con dedizione ai dogmi del neoliberismo, riformando i loro sistemi economici sulla base dei dettami del cosiddetto Washington consensus (privatizzazioni selvagge, adesioni a trattati di libero scambio, progressiva abolizione delle tutele al lavoro e via dicendo), salvo poi nella maggior parte dei casi ritrovarsi in acque agitate dopo che la sostenibilità di questo nuovo stato di cose era stata messa in dubbio dal peggioramento degli indicatori economici e dallo scoppio di forti turbolenze sociali. A problemi comuni, la nuova ideologia progressista offriva dunque un esempio di soluzione che consentisse di uscire dagli schemi tradizionali: Brasile, Argentina, Bolivia, Uruguay, Ecuador elessero negli anni presidenti dalle vedute simili a quelle di Chavez, che della loro ascesa fu caldo sostenitore e deciso ispiratore. Il Sudamerica visse, a partire dal 2003, un decennio ininterrotto di sviluppo, riduzione della disuguaglianza, stabilità politica e integrazione continentale su basi paritarie, la cosiddetta decade dorada, il cui termine può essere idealmente fatto coincidere col 5 marzo 2013, giorno della morte di Chavez. Progressivamente, infatti, la Rivoluzione Bolivariana si era sempre più identificata con la figura dello stesso Chavez. La personalità straripante, la grande abilità retorica e l’acume politico che lo contraddistinguevano avevano contribuito a renderlo indispensabile per lo sviluppo di un progetto del quale egli aveva tenuto le redini sin dall’inizio e che stentava a produrre una classe politica a sé stante, vista la costante sovrapposizione venutasi a creare tra il suo percorso e la parabola del suo avviatore. E questa grande lacuna del processo di rinnovamento del paese ha iniziato a mostrarsi in tutta la sua evidenza proprio dopo la transizione da Chavez al successore, Nicolas Maduro. La morte prematura del Comandante interruppe anzitempo il suo quarto mandato, che nelle intenzioni di Chavez sarebbe dovuto essere quello del decollo finale della nuova Repubblica Bolivariana, la cui esistenza era stata certificata per gli anni a venire dalla nuova, lunga e innovativa Costituzione approvata a schiacciante maggioranza dal popolo venezuelano con un apposito referendum.

Il quarto mandato di Chavez avrebbe dovuto portare la presidenza ad affrontare due delle ultime importanti questioni che rimanevano aperte, sfide tra le più importanti per la Rivoluzione Bolivariana: la corruzione, nel cui contenimento i risultati conseguiti erano stati molto più limitati che in altri ambiti, e il rinnovamento del sistema economico, di modo di rendere l’intera impalcatura economica venezuelana meno dipendente dagli andamenti dei mercati petroliferi. In tal senso, non vi fu una vera e propria continuità tra Chavez e il suo successore. Maduro, infatti, ha preferito coltivare il chavismo prima ancora della politica di Chavez: in altre parole, durante il suo mandato ha sofferto della classica sindrome dell’epigono, preferendo alimentare il mito del suo predecessore piuttosto che cercare di seguirne le orme. La Rivoluzione Bolivariana si è così trovata d’un tratto impantanata, essendo venuta meno la principale energia con la quale alimentare la sua forza propulsiva, e le due principali debolezze sistemiche del nuovo Venezuela individuate da Chavez prima della sua morte si sono rivelate col tempo i principali punti critici per lo sviluppo del paese. Mentre un’inusuale incertezza subentrava alla baldanza con la quale il governo aveva affrontato tutte le difficile sfide che gli si erano poste davanti nel quindicennio precedente il contesto internazionale iniziò a essere sfavorevole per il Venezuela: il crollo dei prezzi del petrolio e i contemporanei colpi al sistema interno al paese, causati dal palese boicottaggio delle forze di opposizione al nuovo regime politico decise a concludere l’esperienza bolivariana, inaugurarono nei primi mesi del 2014 una fase di forte crisi per il paese, che progressivamente non ha fatto altro che espandersi autoalimentandosi. Gli alti tassi di corruzione raggiunti a ogni livello nelle amministrazioni locali hanno impedito i tentativi di ridefinizione della cultura politica: anno dopo anno, essi hanno finito per coinvolgere la stessa formazione partitica chavista. Essa ha esaurito l’impulso iniziale e si è oggi adagiata alle dinamiche del gioco, costituendosi come organizzazione burocratica e d’apparato nella quale stentano ad emergere nuovi nomi, nuovi volti nuove idee.

Dopo la grave sconfitta alle elezioni parlamentari di dicembre, Maduro avrebbe dovuto correre ai ripari, provvedere ad assestare all’intorpidito processo rivoluzionario un vero e proprio elettroshock, recuperare l’esempio del grande predecessore e, in questo modo, cercare di riaccendere la scintilla, ridestando quelle energie propulsive oggigiorno latenti, sopite dopo che era scomparso l’uomo che aveva saputo continuamente tenerle vive e intense. Così non è stato: il presidente ha a lungo stentato a rendersi conto della reale gravità della situazione, salvo poi presentare nelle ultime settimane un piano di risanamento economico che ha destato grandi dibattiti in Parlamento, esacerbando la discordia tra il Partito Socialista Unito Venezuelano e le opposizioni compattate nella Mesa de la Unidad Democratica (MUD). Esso apre per la prima volta in assoluto alla necessità di riformare il sistema economico, portando a un parziale superamento del modello incentrato sulla dipendenza totale dalle rendite del settore petrolifero, ma si tratta di una scelta che difficilmente sarà coronata da successo, in quanto le opposizioni pretendono una progressiva restaurazione del controllo privato sull’economia e non sono disposte a seguire la linea statalista a cui il presidente è deciso ad attenersi.

Raramente la morte di un singolo uomo ha cambiato in maniera tanto radicale i destini di una nazione. Nel 2013 si poteva considerare praticamente esaurita la grande ondata di sviluppo che aveva interessato l’America Latina, ma è altamente probabile che una continuazione dell’operato di Chavez avrebbe prodotto di sicuro risultati infinitamente migliori di quelli a cui è andato incontro il Venezuela durante la presidenza Maduro. Assieme al fondatore del nuovo Venezuela è morta infatti la genuinità stessa della Rivoluzione Bolivariana. Vivente Chavez, era come se un manto di neve ricoprisse perennemente le distorsioni sistemiche, i limiti oggettivi del processo economico e la mancanza di una base politicamente attiva che desse oggettiva organizzazione alla grande volontà di progresso insita nella società venezuelana: tali fattori di debolezza si sono mostrati in rapida successione dopo il 5 marzo 2013, e il loro effetto combinato sta rappresentando un peso nel lungo termine insostenibile per il paese. Giorno dopo giorno, l’enorme voragine apertasi con la morte di Chavez si allarga sempre più. Contemporaneamente, in un contesto completamente mutato rispetto a quello del primo decennio del XXI secolo si sta consumando una progressiva erosione dell’architettura stabile costruita nel corso degli anni dal Comandante. Coloro che sono stati chiamati a prendersi cura del Venezuela dopo la sua scomparsa si ritrovano vittime del suo stesso mito, completamente in balia di eventi che rischiano sempre di più di diventare incontrollabili e incapaci di ripensare la Rivoluzione Bolivariana ora più che mai orfana di Chavez, che dopo essere stato il primo a idearla fu probabilmente l’unico uomo in tutto il Venezuela a capirla e conoscerla.

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