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26 marzo 2016

 

Il Brasile destabilizzato e polarizzato

di Andrea Muratore

 

La portata di Lava Jeto è epocale, ma altrettanto significativa è la strumentalizzazione delle inchieste per biechi fini politici. E nuovamente da questo punto di vista grandi responsabilità gravano su un sistema informativo nettamente schierato, pronto a condizionare l’opinione pubblica attraverso servizi orientati a senso unico, destinati a fomentare ancor di più la conflittualità sociale che nel corso dei mesi si è saldata con la netta polarizzazione politica del panorama pubblico brasiliano.

 

L’operazione restauratrice in America Latina sta conoscendo in questi ultimi mesi una ventata di rinnovata baldanza. Prima la vittoria del candidato anti-kirchnerista Mauricio Macrì in Argentina e subito dopo la débâcle del Partito Socialista Unito Venezuelano alle elezioni di dicembre avevano avviato il processo controrivoluzionario volto a scalzare i sistemi di governo venutisi a creare nel corso di un decennio abbondante di governi ispirati all’ideologia del “socialismo del XXI secolo” in diversi paesi della regione; ora, a tentare il colpo grosso sono gli esponenti del mondo politico, mediatico e giudiziario brasiliano a tentare il colpo grosso, cercando di sfruttare il dilagare continuo dell’inchiesta Lava Jeto per arrivare non solo alla destituzione della presidentessa Dilma Rousseff ma addirittura alla condanna definitiva dell’intera esperienza governativa del Partido dos Trabalhadores (PT), iniziata nel 2003 con l’ascesa alla presidenza del suo leader storico Lùla Iniacio da Silva. Proprio Lùla è in questi giorni nell’occhio del ciclone: la convocazione quale testimone informato sui fatti nell’ambito dell’indagine sugli episodi di corruzione interni al sistema di rapporti clientelari costruitisi attorno ai vertici della compagnia petrolifera statale Petrobras e le voci di una possibile incriminazione di Lùla nell’inchiesta hanno anticipato di poche ore la sua nomina a Ministro della Casa Civil, delicatissima posizione che gli offrirà un ruolo esecutivo altamente importante nelle future politiche del governo, rendendolo responsabile della programmazione dell’azione di lungo respiro dell’esecutivo.

Proprio la decisione della Rousseff di nominare il suo predecessore a “superministro” del suo governo ha scoperchiato il vaso di Pandora, polarizzando il mondo politico brasiliano attorno a questa scelta e facendo uscire alla scoperta l’eterogeneo schieramento favorevole a un radicale cambio di sistema, alla cui guida si sono messi quegli esponenti che già da tempo dichiaravano apertamente di essere favorevoli al ritorno al sistema politico vigente prima dell’ascesa del PT. Gli attacchi sono piovuti su Lùla da tutte le direzioni: una pioggia di ricorsi contro la sua nomina a ministro ha portato il Tribunale Supremo Federale a congelarla, mentre più oppositori del PT hanno dichiarato che quella della Rousseff non è stata altro che una manovra volta a salvare il suo predecessore dall’arresto e l’immancabile macchina del fango mediatica si è messa in moto con il fine di macchiare simbolicamente con una vistosa chiazza di petrolio la camicia rossa di Lùla. Sebbene siano indubbie le difficoltà affrontate sinora da Dilma nel corso del suo secondo mandato, e palesi le deficienze con cui l’apparato statale brasiliano ha affrontato le più recenti difficoltà, la manovra appare decisamente subdola, in quanto confondendo due piani distinti punta a conseguire un doppio risultato: da un lato, lo screditamento definitivo dell’attuale presidentessa, che è stata riconfermata il 26 ottobre 2014 al ballottaggio contro Aecio Neves, e dall’altro la completa demolizione della figura di un uomo e della sua figura politica, la cui conseguenza non potrà essere che il disconoscimento più assoluto degli straordinari successi in campo di sviluppo economico e progresso sociale conseguiti dal Brasile negli otto anni di presidenza Lùla. L’attacco è dunque sferrato in maniera mirata, tanto sul piano tattico quanto su quello strategico: mira a colpire nel breve ma soprattutto nel lungo termine, tanto nel passato quanto nel futuro, e a scalpellare grezzamente l’infamante eponimo di “corrotto” accanto al nome di uno degli uomini politici più influenti a livello planetario nel XXI secolo.

La corsa alla colpevolizzazione rischia di focalizzare il dibattito esclusivamente sulle figure di Dilma e Lùla e di oscurare nei fatti le motivazioni più sensate che sottendono alle critiche portate dagli oppositori più ragionevoli della Rousseff alla recente evoluzione del governo del PT. La questione si è spostata dal piano delle iniziative pratiche a quello ideologico: la polarizzazione venutasi a creare attorno alla nomina di Lùla investe anche la presidentessa, in un momento oltremodo critico per la sua situazione politica. A dicembre, infatti, la Corte Suprema ha rigettato una prima richiesta di impeachment nei suoi confronti, ma ora i membri più oltranzisti del fronte degli oppositori sono pronti a tornare alla carica, cavalcando l’onda della furia mediatica scatenatasi sul duo Lùla-Dilma per poter procedere ad un’analoga richiesta anche in assenza delle credenziali costituzionali necessarie a consentire l’avvio della delicatissima procedura. La stessa Dilma non ha tardato a sottolinearlo in un discorso pronunciato a Brasilia il 22 marzo, ricordando che “chiedere l’impeachment di un presidente della Repubblica in assenza di un reato espressamente previsto dalla Costituzione equivale a un colpo di Stato”. E, in effetti, la manovra avvolgente che si sta sviluppando attorno al governo brasiliano mostra dei punti equivoci e delle zone d’ombra inquietanti.

In primo luogo, è assolutamente riprovevole lo squilibrio tra la copertura mediatica garantita ai cortei dell’opposizione che a gran voce chiedono le dimissioni del governo e quella di cui sono oggetto le manifestazioni di supporto al PT e a un sistema sui cui meriti non si può discutere ma che assolutamente oggigiorno necessita, al pari dei suoi equivalenti regionali, di un colossale elettroshock per riprendere il discorso interrotto sul progresso e lo sviluppo sociale. La portata di Lava Jeto è epocale, ma altrettanto significativa è la strumentalizzazione delle inchieste per biechi fini politici. E nuovamente da questo punto di vista grandi responsabilità gravano su un sistema informativo nettamente schierato, pronto a condizionare l’opinione pubblica attraverso servizi orientati a senso unico, destinati a fomentare ancor di più la conflittualità sociale che nel corso dei mesi si è saldata con la netta polarizzazione politica del panorama pubblico brasiliano.

Ulteriore appunto da sottolineare è l’andamento degli indici borsistici brasiliani nei giorni in cui la tempesta politica si sta rivelando in tutta la sua asprezza. La turbolenza sembra aver sortito effetti opposti rispetto alle aspettative sui mercati finanziari, che stanno in queste ore guadagnando sensibilmente terreno: tutto ciò chiaramente non accade per caso, ma è un’ulteriore manifestazione della complessità e della strutturazione della manovra portata contro il governo brasiliano. Tanto Lùla e la Rousseff, infatti, hanno più volte tuonato contro il settore finanziario speculativo e, alla pari degli altri esponenti del socialismo del XXI secolo, hanno cercato sempre di limitarne l’influenza nell’economia e nella società. Il mondo della borsa, insomma, è divenuto uno dei centri nevralgici dell’opposizione all’attuale regime politico, e il rally positivo degli ultimi giorni testimonia chiaramente come la destabilizzazione di Dilma passa anche attraverso l’andamento contrastante e inversamente proporzionale riscontrabile tra i suoi indici di gradimento tra la popolazione e i listini borsistici.

La situazione brasiliana è decisamente ai limiti della sostenibilità. Il sommarsi degli squilibri politici alle incertezze economiche e alla sostanziale stagnazione dell’azione del governo impedisce di prevedere gli sviluppi a lungo termine del panorama politico brasiliano. Il fatto incontestabile è che a essere sotto attacco è non solo l’operato di una presidentessa ma un intero modo di pensare la gestione pubblica, che con tutti i suoi pro e i suoi contro si vede ora demonizzato in un clima da caccia alle streghe paragonabile a quello vissuto in Italia nel periodo appena successivo al deflagrare da Tangentopoli. Il rischio, per il Brasile, è assistere allo smantellamento dell’attuale sistema nato sulla scia delle politiche riformiste adottate da Lùla dopo la sua ascesa alla presidenza a causa non di un suo fallimento intrinseco ma di una costante esasperazione delle sue debolezze, aggravata dal comportamento disdicevole di numerosi esponenti del partito di governo e di imprese di rilevanza capitale come Petrobras. Il sistema necessita di cambiamenti, e soprattutto dal punto di vista della lotta alla corruzione vanno implementate politiche di più ampio respiro. Ma il tentativo di coinvolgere Lùla negli scandali è una mossa destabilizzante condotta a fini strumentali, che rischia solo di pregiudicare la risoluzione dei problemi concreti che il Brasile si trova adesso costretto ad affrontare, come il ritorno di una fase di recessione economica e l’imminente apertura delle Olimpiadi di Rio de Janeiro, che ad agosto attrarranno gli occhi del mondo sul gigante sudamericano. In tutto questo, fomentare un clima da guerra civile nell’opinione pubblica rischia solo di compromettere la capacità con cui il paese saprà reagire e affrontare le sfide future.

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