Condannati al Degrado: https://youtu.be/pTBH_zfcvz8


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Aprile 5, 2016

 

Destinati al degrado

di Luigi Spera

 

Martelli pneumatici, betoniere e traffico. Nelle narici, tanta polvere. Poche centinaia di metri e tutto cambia: l’odore si fa acre, penetrante, terribile. Il traffico non c’è, e neanche il rumore dei cantieri. La dicotomia favela-asfalto resta ancora un marchio a Rio de Janeiro. Città divisa in epoca coloniale, città divisa in epoca olimpica, 451 anni dopo la sua fondazione.

Dei numerosi interventi urbanistici in corso di realizzazione nella città chiamata a ospitare i giochi olimpici tra pochissimi mesi, non c’è traccia nelle favelas. Nonostante le promesse, dopo l’annuncio del piano di pacificazione per le comunità, poco è cambiato. I cumuli di rifiuti sono sempre ad ogni angolo e le discariche improvvisate emanano miasmi terribili. Ma l’aria peggiore non è quella. Dove la gola brucia e gli occhi lacrimano, è nei pressi delle fogne a cielo aperto. Rigagnoli selvaggi o canali di cemento che dall’alto verso il basso riversano man mano in condotti maggiori ogni sorta di scarico, fino al margine della favela e poi via, verso il mare.

Dietro i carri armati e la polizia, i residenti delle favelas pacificate speravano di poter scorgere un esercito di medici e infermieri, insegnanti e operai che sistemassero le fogne o rimuovessero i rifiuti. “Abbiamo atteso, sopportato, convinti che la polizia e l’occupazione militare fossero necessari per favorire l’arrivo dei servizi pubblici, ma non è successo”, afferma l’attivista in favela Cleber Araujo. L’Upp sulla carta avrebbe dovuto fare da apripista per l’entrata di quei servizi dei quali la favela ha disperatamente bisogno, integrando i territori ora ai margini della città ufficiale. Invece gli unici servizi migliorati sono stati quelli privati, a pagamento, che hanno spinto la favela nella spirale della speculazione economica. Aumentando sofferenze e critiche della popolazione.

Prima della pacificazione, la presenza dei trafficanti armati che controllavano le comunità, ne regolavano la vita e si occupavano spesso della fornitura di servizi illegali, rendeva impossibile alle società di penetrare le aree. Finivano così tutti nel mercato informale i circa 13 miliardi all’anno che si stima siano movimentati nelle comunità carioca. Un circolo da interrompere. “Perché un impresario si senta di poter investire, ha bisogno di sicurezza – afferma Andrè Luiz Costantin, presidente dell’associazione dei residenti della favela Babilonia – ed ecco che la Upp diviene protagonista, limitando la presenza di trafficanti e fornendo un senso di sicurezza nuovo”.

Nelle favelas pacificate sono entrate così banche, finanziarie e catene commerciali per attingere al nuovo bacino di consumatori. Soprattutto sono entrate le società di servizi: elettricità, acqua, fogne, imponendo tariffe e pagamenti molto salati. Il problema è che le compagnie hanno incrementato gli introiti in maniera impressionante, lasciando in ginocchio tante famiglie tanto che la Upp è stata classificata, afferma Andrè Luiz Costantin, come “lo strumento per favorire un progetto di città-impresa e di elite”.

Leva questa per il processo di gentrificazione selvaggia, declinato per la favela con il termine “rimozione bianca”. Urbanisti e sociologi hanno identificato così quella che politici e imprenditori definiscono “rinnovazione della popolazione”. I favelados, stretti tra l’aumento dei prezzi degli affitti e i costi insostenibili delle spese da un lato e dalla concorrenza delle classi benestanti che puntano alla favelas dall’altro, vengono gradualmente espulsi.

Il fenomeno è visibile in tutte le aree pacificate. Ma è soprattutto nella zona sud che i numeri sono impressionanti. A Chapeu Mangueira-Babilonia, all’inizio del lungomare di Copacabana, ormai non si affittano case per meno di 1000 real al mese. Stessa situazione nella parte bassa di Rocinha vicina all’esclusiva spiaggia dei surfisti di São Conrado, o Santa Marta nel quartiere Botafogo. Ma è Vidigal che si affaccia direttamente sulla spiagia di Leblon, dove si registrano i maggiore aumenti. In media un immobile che nel 2005 costava 30mila real, oggi non vale meno di 350mila. Gli affitti sono schizzati anche a +400%.

Il salario minimo di poco più di 800 Real al mese, guadagno della gran parte dei lavoratori più umili di favela, tra affitto e spese, diventa insufficiente anche per le comunità.

E per molti non resta che andare via: verso i sobborghi più distanti, le favelas più violente o fuori dalla città di Rio. Sempre più esclusiva ed escludente.

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