Originale: The Nation

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11 maggio  2016

 

La sinistra ha concluso il suo corso in America Latina?

di Mark Weisbrot

Traduzione di Maria Chiara Starace

 

C’è una narrazione popolare qui a Washington e nei circoli mediatici che la svolta populista di sinistra dell’America Latina, ha infine terminato il suo corso. Si dice più o meno così: un boom dei prodotti   guidato dalla richiesta cinese di esportazioni di materie prime latino-americane, ha alimentato la crescita economica regionale negli anni 2000. E’ capitato che coincidesse con l’elezione dei governi di sinistra che erano stati rieletti dopo aver speso abbondantemente per i sussidi  ai poveri. Hanno alienato gli investitori stranieri e le loro politiche economiche erano insostenibili. Ora la crescita cinese ha rallentato, i prezzi delle merci sono precipitati e con loro le fortune della sinistra nazionalista e populista dell’America Latina. L’elezione in novembre dello sfidante di destra Mauricio Macri a presidente dell’Argentina, la vittoria schiacciante dell’opposizione venezuelana al congresso in dicembre, e la crisi economica e politica in Brasile, compreso l’attuale tentativo di rimuovere la presidente Dilma Rousseff – annunciano l’inizio della fine di un’era. In base a questo,  la regione continuerà a eleggere altri governi di destra – o, nel linguaggio della stampa finanziaria, governi “moderati” (e favorevoli agi Stati Uniti) che torneranno al alcune delle politiche più sensate dei loro predecessori.

Questo è vero? La riposta è: no. E’ vero che l America Latina è stata influenzata dagli alti e bassi dell’economia globale. L’economia regionale era fondamentalmente piatta nel 2015 ed è previsto  che si riduca dello 0,5% quest’anno. Questa, però, non è la notizia principale. Per comprendere che cosa è successo nel 21° secolo, dobbiamo prima cercare di comprendere il motivo per cui la sinistra ha vinto così tante elezioni per cui è passata dal non governarne nessuno a governare la maggioranza della regione in meno di un decennio. La causa principale della “ondata rosa” è stata il fallimento a lungo termine della politica economica, che non si era visto per almeno un secolo nella regione, avvenuto negli ultimi due decenni del ventesimo secolo. Il reddito reale per persona nella regione crebbe soltanto del 5,7% dal 1980 al 2000, paragonato al più del 90% nei due decenni precedenti.

Il fallimento della crescita a lungo termine nella regione è stato anche un periodo in cui Washington esercitò una forte influenza sulla politica economica. Alla fine del 2002, quando Luiz Inácio  Lula da Silva, del Partito dei Lavoratori del Brasile era candidato alla presidenza, il Fondo Monetario Internazionale si sedette al tavolo con lui e con i suoi oppositori per decidere quale sarebbe stata la politica macroeconomica dopo le elezioni per i successivi due anni, indipendentemente da chi avrebbe vinto le elezioni. Ma, anche se  il Brasile è stato trattenuto  al cancello di partenza, è stato in grado di triplicare la crescita economica per persona rispetto al governo precedente e di ridurre la povertà del 55% e l’estrema povertà del 65% , per il 2014. Il salario minimo reale era raddoppiato, la disoccupazione era arrivata a un minimo storico del 4,8% nel 2014 e i salari reali erano cresciuti  in maniera notevole  per  la prima volta dopo anni.

La Bolivia ha operato in base agli accordi del Fondo Monetario internazionale per quasi 20 anni di seguito, fino a quando è stato eletto  il suo presidente indigeno (in una nazione a maggioranza indigena), Evo Morales, che si è insediato in carica nel 2006. In quell’epoca, il reddito per-capita del paese era minore di quello che era stato 27 anni prima. Una delle prime mosse del governo fu di nazionalizzare l’industria degli idrocarburi, che – anche più dell’aumento dei prezzi – ha aiutato a incrementare   l’incassodel governo di quasi sette volte e cioè da 731 milioni di dollari a 5 miliardi di dollari, nei successivi 8 anni. Questa mossa che era impossibile fare quando il governo non aveva sovranità economica, è stata il fondamento del  notevole progresso economico e sociale dello scorso decennio.

Politicamente, il governo ha dovuto superare un violento movimento secessionista di destra. Nel 2008 ha cacciato via dal paese l’ambasciatore degli Stati Uniti,  accusato dal Presidente Morales di aiutare l’opposizione violenta. In quel periodo, il Dipartimento di Stato americano stava riversando grandi quantità di denaro in Bolivia e si rifiutava di rivelare dove andava (gli Stati Uniti e la Bolivia non hanno ancora adesso relazioni diplomatiche). Una volta raggiunta la stabilità nel 2009, l’economia è andata molto bene anche durante la recessione mondiale, spinta da un grande aumento di investimenti pubblici.

I cambiamenti nella politica economica sono stati anche fondamentali per il successo dell’Argentina dopo il suo fallimento e la svalutazione alla fine del 2001. La notevole crescita economica e la riduzione della povertà che sono seguite nel decennio successivo – il PIL reale crebbe di circa il 78% e la povertà si ridusse del 70% (questi numeri sono basati su stime indipendenti, dato che le stime governative dell’inflazione sono contestate *) – hanno avuto relativamente poco a che fare con le merci. Non era neanche crescita guidata dalle esportazioni.

Una condizione necessaria per la robusta ripresa dell’Argentina (il PIL reale è cresciuto di oltre il 60% tra il 2002 e il 2008) era il default del governo per il debito straniero e assumere una linea dura nella rinegoziazione. Subito questo raggiunse un onere di debito sostenibile, invece di tenere l’Argentina bloccata in una serie di crisi ricorrenti dovute a troppi debiti, come nel caso della Grecia, per esempio. E, di nuovo, rispetto alla Grecia, l’Argentina si è liberata dalle richieste dei suoi creditori di prolungata austerità. Il governo è stato anche capace di tassare gli esportatori per prendersi il denaro inatteso della svalutazione, usare la banca centrale per gestire il tasso di cambio, applicare  una tassa per le transazioni finanziarie, e perseguire altre politiche che hanno messo in grado il paese di emergere dalla depressione.

Dove il reddito dalle merci aiutava, in Argentina e altrove, non era nel spingere la crescita stessa, ma nel permettere a questi paesi di evitare problemi di bilancia dei pagamenti dato che crescevano rapidamente. Quando un’economia inizia a migliorare rapidamente, le richieste di importazione tendono a crescere più velocemente delle esportazioni e c’è quindi il rischio di rimanere  a secco di riserve di denaro contante  internazionale.

E così nei paesi che erano vulnerabili rispetto a questi problemi – l’Argentina perché non poteva chiedere prestiti a livello internazionale, e il Venezuela, a causa di un sistema  disfunzionale del tasso di cambio e della sua dipendenza dalle entrate del petrolio – il crollo dei prodotti è stato dannoso.

Però in generale, nella regione durante il boom economico e sociale dell’America Latina nel 21° secolo, il progresso era stato spinto dai cambiamenti di politica economica: i cambiamenti anti-ciclici  nella politica fiscale e monetaria, l’incremento degli investimenti pubblici, l’aumento dei salari minimi, delle pensioni, della sanità e i programmi  condizionati di trasferimento di denaro per i poveri. Dal 2000 al 2013 il tasso di povertà nella regione è diminuito dal 44% al 28%  dopo essere realmente aumentato nei due decenni precedenti.

Proprio come positivi cambiamenti di politica, molti dei quali resi possibili dalla “seconda indipendenza” dell’America Latina, hanno contribuito alla  grossa ripresa

della regione nel 21° secolo, così gran parte dell’attuale crollo è spinto da errori della politica. Cominciando dalla fine del 2010, e con qualche interruzione, e poi più risolutamente   dopo che Dilma Rousseff fu rieletta alla fine del 2014, il governo del Partito dei Lavoratori del Brasile, iniziò a mettere in atto una serie di politiche che spinsero la più grossa economia verso una profonda recessione. Queste comprendevano grossi tagli agli investimenti pubblici,  stretta  del bilancio nei momenti sbagliati, due cicli di aumenti del tasso di interesse , e restrizione  del credito.

La parte più triste riguardo all’austerità del Brasile è che è stata così non necessaria: il paese ha ancora più di 350 miliardi di riserve, e perciò potrebbe stimolare la sua economia senza preoccuparsi affatto di incorrere in crisi della bilancia dei pagamenti.

Gli oppositori politici di Dilma hanno tratto vantaggio dalla recessione e della guerra totale dei media brasiliani contro il governo, per dare il via a quella che Dilma etichettò come un “golpe” contro di lei. Ha un valido motivo: al contrario di molti membri del Congresso che guidano l’impeachment, lei non ha nessuna accusa di corruzione a suo carico, ma invece di illeciti nella contabilità  in cui si erano impegnati  precedenti presidenti e che non è certo un reato che merita l’impeachment.

Ogni paese ha una sua storia diversa nella regressione: l’attuale recessione  dell’Ecuador è in gran parte dovuta al crollo del prezzo del petrolio che spiega  la maggioranza delle entrate del governo. Naturalmente anche il Venezuela è stato colpito duramente dal crollo dei prezzi del petrolio, ma la sua recessione era iniziata quando il petrolio costava ancora 98 dollari al barile. Nel suo caso, l’economia è stata presa in una spirale di “inflazione-deprezzamento”  che ha portato l’inflazione al 180% l’anno scorso, mentre il tasso al mercato nero per il dollaro è aumentato di più di 100 volte rispetto al tasso ufficiale. Come in Brasile questo era stato principalmente conseguenza di errori politici; soprattutto in Venezuela,  con lo sforzo insostenibile di mantenere un tasso fisso di scambio sopravvalutato.

Non aspettatevi, però, che l’attuale recessione nella regione ripeta i decenni perduti della fine del ventesimo secolo. Quel tipo di disastro a lungo termine generalmente accade quando i paesi non hanno un controllo sovrano sulle loro politiche economiche più importanti (come accade oggi nelle travagliate nazioni dell’Eurozona). Negli scorsi 15 anni Washington ha cercato di liberarsi dei governi di sinistra dell’America Latina, ma i suoi sforzi finora hanno avuto successo soltanto nei paesi più poveri e più deboli: Haiti (2004 e 2011), Honduras (2009), e Paraguay (2012).

La sinistra latino-americana ha guidato la “seconda indipendenza” della regione nel 21° secolo, modificando le relazioni economiche e politiche dell’emisfero, e – anche includendo le perdite economiche della recente regressione – presiedendo gli storici   cambiamenti economici e sociali che hanno giovato a centinaia di persone, specialmente ai poveri. Malgrado la battuta d’arresto  elettorale in Argentina, e l’attuale minaccia alla democrazia in Brasile, è probabile che quei governi rimangano la forza dominante nella regione per lungo tempo a venire.

 

Note

*http://sedlsc.econo.unlp.edu.ar/eng/statistics.php

 


Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: http://zcomm.org/znet/article/has-the-left-run-its-course-in-latina-america

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