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16.05.2016

 

In Venezuela è sempre più caos: Maduro proroga lo stato di emergenza, sequestra fabbriche e si prepara alla guerra

di Marta Panicucci

 

Continua a salire la tensione in Venezuela e rischia presto di superare il limite. Il presidente Nicolas Maduro ha prorogato per altri 60 giorni lo stato di emergenza economica, annunciato il sequestro delle fabbriche e l’arresto degli imprenditori borghesi che ne hanno bloccato l’attività. Infine, l’erede di Chavez sta preparando le truppe per una guerra interna o un’invasione straniera. 

 

Il dramma venezuelano sembra essere arrivato al suo punto più alto. Di fronte ad una crisi economica che ha messo in ginocchio il Paese, il presidente Maduro non sa come invertire la rotta, non vuole lasciare a nessun costo il timone della nave che sta palesemente affondando.

 

Intanto trova responsabili del disastro ovunque: punta l’indice contro gli Stati Uniti che, a suo dire, manovrano contro il Venezuela per arrivare al colpo di Stato; accusa gli imprenditori borghesi di portare avanti una guerra economica bloccando la produzione nel Paese e contro l’opposizione accusata di aver truccato la raccolta firme per il referendum contro di lui.

 

Intanto la popolazione sprofonda nella povertà, lamenta la mancanza di energia elettrica, di prodotti alimentari, di carta igienica, di medicine e ora anche di birra per la chiusura della più grande azienda privata dal Paese, Empresas Polar. Ma come siamo arrivati a questo punto? Questo quadro è il risultato di una crisi economica senza precedenti mischiata all’impasse politico nel parlamento venezuelano.

 

Venezuela: il crollo del petrolio e dell’economia

Il Venezuela è il principale Paese esportatore di petrolio su cui si basa oltre il 90% del suo export. Quando il prezzo del petrolio ha iniziato la sua discesa per il Venezuela è iniziato il disastro. Il Paese, purtroppo, ha puntato troppo e troppo a lungo sull’export di petrolio, senza diversificare l’economia, senza fare investimenti in infrastrutture, senza rendere il Paese più autosufficiente.

Quando il prezzo del petrolio è crollato, nelle casse del Venezuela si è creata una voragine e la mancanza di liquidità ha impedito di comprare dall’estero tutto ciò di cui il Paese ha bisogno. Gli imprenditori e le aziende straniere hanno lasciato il Paese portandosi via investimenti e capitali.

 

L’inflazione ha raggiunto le tre cifre, 500% nel 2016 e secondo il Fondo monetario internazioale nel 2017, proseguendo di questo passo, l’inflazione potrebbe arrivare al 1.600% favorendo lo sviluppo del mercato nero. La povertà della popolazione cresce a vista d’occhio; nei supermercati gli scaffali dei prodotti alimentari sono vuoti, i medicinali scarseggiano, così come l’energia elettrica. Il governo nel disperato tentativo di tamponare l’emergenza ha ridotto l’orario di lavoro ai dipendenti pubblici chiamati in ufficio soltanto due giorni a settimana e modificato il fuso orario per risparmiare energia elettrica.

 

Così la tensione politica e sociale continua a salire e Caracas diventa una delle città più pericolose al mondo, mentre le piazze di riempono per manifestare con Maduro e le sue misure per affrontare lo stato di emergenza economica.

 

Maduro e lo stato di emergenza economica

Il presidente del Venezuela ha annunciato la proroga per altri 60 giorni dello stato di emergenza economica nel Paese, dopo il primo provvedimento che risale al 14 gennaio scorso. Lo stato di emergenza economica, in pratica, assicura a Maduro poteri speciali nei confronti del Parlamento (controllato dall'opposizione) e dell’intero Paese.

 

Nel suo discorso Maduro ha precisato che questo provvedimento è necessario per “sconfiggere il colpo di stato e la guerra economica, in modo di stabilizzare il paese e affrontare le minacce contro la nostra patria”. Maduro ritiene che gli USA stiano tramando con l’opposizione di Maduro per far saltare il suo governo e tornare alle elezioni e accusa gli imprenditori di portare avanti una guerra economica. Per questo motivo ha annunciato il sequestro delle fabbriche private del Venezuela. Ha detto che è “giunta l’ora di radicalizzare la rivoluzione” e quindi tutte le fabbriche che hanno sospeso l’attività saranno “occupate dal popolo”, mentre i loro proprietari saranno arrestati e andranno in carcere.

Maduro ha chiesto agli imprenditori di smettere di “piagnucolare per la mancanza di dollari” e di continuare con la produzione. Ma in molte aziende la produzione si è già fermata a causa della mancanza di dollari necessari all’acquisto delle materie prime per la produzione. Già a metà aprile la Empresas Polar, la più grande azienda privata del paese e il più grande produttore di birra, aveva annunciato la sospensione della produzione: “Non siamo stati in grado di rifornire l'inventario, e abbiamo solo malto d'orzo per produrre fino al 29 aprile” ha spiegato la società. “In queste circostanze, siamo obbligati a sospendere la produzione di birra e malto fino ad arrivare l'accesso alla moneta necessaria per procurarsi le materie prime”.

 

I dirigenti della società hanno chiesto a Maduro i dollari necessari per pagare le importazioni, ma il presidente ha risposto pubblicamente accusando l’azienda di istigare la guerra economica contro il Paese.

 

Raccolta firme per le dimissioni

Lo scontro tra il governo di Maduro e l’opposizione che controlla il parlamento si fa sempre più acuta. Il leader dell’opposizione Henrique Capriles, ha lanciato l’allarme definendo il Paese come una “bomba che rischia di esplodere in qualsiasi momento”, disinnescabile solo con il referendum per il quale sono state raccolte 1,8 milioni di firme. Il governo ha subito denunciato brogli e truffe nella raccolta delle firme per la dimissioni di Maduro e tenta di rallentare il percorso verso il referendum che, invece, l’opposizione vorrebbe entro l’anno.

 

Il Consiglio Nazionale Elettorale venezuelano ha indicato i prossimi passi: dopo aver contato le firme, l’autorità procederà a numerarle dal 16 al 20 maggio e poi chiederà ai firmatari di validare la propria firma di persona entro il 2 giugno.

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