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10 gennaio 2016

 

La Sinistra del futuro: una sociologia di emergenze

di Boaventura de Sousa Santos

Traduzione di Maria Chiara Starace

 

Il futuro della sinistra non è più difficile da prevedere rispetto a qualsiasi altro fatto sociale. Il modo migliore di occuparsene è per mezzo di ciò che chiama la sociologia delle emergenze che consiste nel prestare speciale attenzione ai segni del presente che possono essere letti come le tendenze o l’avvisaglia di qualunque cosa possa essere decisiva nel futuro. Al momento propongo di attirare l’attenzione su un fatto che, data la sua natura insolita, potrebbe  preannunziare  qualcosa di nuovo e di importante. Alludo ai recenti patti firmati da vari partiti della sinistra.

 

I patti

I patti non hanno una forte tradizione nella “famiglia della sinistra”. Storicamente, alcuni rami della famiglia hanno stabilito più patti con la destra che con altri membri della famiglia. Giudicando dal fatto che hanno continuato a esistere negli scorsi 200 anni, si potrebbe dire che le differenze all’interno della sinistra sono parte del suo DNA. Per ovvie ragioni, quelle differenze sono state o più spiccate o più evidenti in democrazia. Talvolta la polarizzazione è tale che un ramo della famiglia non riconosce l’altro ramo come parte della stessa famiglia. Al contrario, in tempo di dittatura, questi accordi sono molto più comuni, anche se tendono a terminare non appena la dittatura arriva  alla fine. Alla luce di questa storia, vale la pena riflettere sul fatto che  di recente siamo stati testimoni di un movimento pattista da parte di vari rami della sinistra in paesi democratici. L’Europa meridionale è la perfetta illustrazione di quello a cui mi riferisco: guardate l’unità attorno a Syriza in Grecia, malgrado tutte le vicissitudini e le difficoltà; il nuovo governo del Portogallo formatosi  delle elezioni del 4 ottobre 2015, con la guida del Partito Socialista e appoggiato dal Partito Comunista e dal Blocco di Sinistra; molti governi autonomi risultanti dalle elezioni del 2015 in Spagna, e, quando ho scritto questo articolo, la discussione della possibilità di un patto nazionale tra il Partito Socialista, Podemos, e gli altri partiti di sinistra  subito dopo  le elezioni parlamentari spagnole del 6 dicembre 2015. Ci sono dei segni che patti analoghi potrebbero apparire nel prossimo futuro in altre parti d’Europa e dell’America Latina. Due domande sono  appropriate: come  spiegare  questa spinta pattista in un contesto democratico? Quanto è sostenibile?

C’è una risposta plausibile alla prima domanda. Per quanto riguarda l’Europa meridionale, l’aggressività della destra che governa (sia la destra interna che quella con la “bardatura” delle “istituzioni europee”) negli scorsi cinque anni, è stata così devastante per i diritti di cittadinanza e per la credibilità del regime democratico, che le forze di sinistra si stanno ora convincendo che le nuove dittature del ventunesimo secolo, arriveranno come democrazie a bassissima intensità. Infatti queste dittature assumeranno la forma di ibridi politici di democrazia/dittatura – cioè governabilità nella presunta imminenza del caos in questi nostri tempi difficili, oppure la conseguenza tecnica degli imperativi di mercato e della crisi che spiega ogni cosa mentre allo stesso tempo sembra non avere necessità di nessuna spiegazione. Il patto è il risultato di una interpretazione politica che dice che ciò che è rischio è proprio la sopravvivenza di una democrazia degna di questo nome, e che le differenze circa il suo significato sono ora meno urgenti che salvare quello che la destra non è stata ancora in grado di recuperare.

E’ più difficile rispondere alla seconda domanda. Secondo Spinoza, le persone (e io aggiungerei, anche le società) sono governate da due emozioni elementari: la paura e la speranza. C’è un complesso equilibrio tra le due, ma abbiamo bisogno di entrambe se desideriamo sopravvivere. La paura è l’emozione dominante quando le proprie aspettative per il futuro sono negative (“questo è brutto, ma il futuro potrebbe essere peggiore”); a sua volta, la speranza è in vantaggio quando le aspettative per il futuro sono positive o, in ogni caso, quando il rifiuto della presunta inevitabilità delle esperienze negative è ampiamente condiviso. Trenta anni dopo l’assalto globale ai diritti dei lavoratori, dopo tutti gli annunci di disuguaglianza sociale e di egocentrismo come massime virtù sociali; dopo il saccheggio senza precedenti delle risorse naturali e dopo l’espulsione di intere popolazioni dalla loro terra e anche dopo la distruzione dell’ambiente causato dal saccheggio; dopo l’incoraggiamento alla guerra e al terrorismo per creare stati falliti e rendere indifese le società davanti alla spoliazione, dopo l’imposizione più o meno negoziata di accordi di libero scambio che sono interamente controllati dagli interessi delle società multinazionali; dopo l’assoluta supremazia  del capitale finanziario  sul capitale produttivo e sulle vite dei popoli e delle comunità – dopo tutto questo, insieme alla difesa ipocrita della democrazia liberale, è plausibile concludere che il neoliberalismo è un’enorme macchina per produrre aspettative negative intese a  impedire alle classi popolari di  scoprire le vere ragioni della loro sofferenza e a fare quindi in modo che non soltanto si adattino a quel poco che ancora hanno, ma che rimangano anche paralizzate dalla paura di perdere anche quello.

Il movimento pattista attualmente in corso all’interno delle sinistre, è il prodotto di un tempo – il nostro tempo – caratterizzato dall’assoluta prevalenza della paura sulla speranza. Questo significa che i governi che risultano dai patti saranno vittime del loro successo? Il successo dei governi derivato da accordi da parte della sinistra provocheranno meno paura e un poco più di speranza verrà  restituita alle classi popolari dato che si dimostrerà, grazie a un governo pragmatico e intelligente, che il diritto di avere dei diritti, è un successo irreversibile di civiltà.  E’ possibile che proprio quando ci sarà un nuovo barlume di speranza,  emergerà  il disaccordo e i patti  verranno buttati a mare?   Se così dovesse accadere, sarebbe fatale per le classi popolari che torneranno alla loro muta disperazione di fronte a un crudele fatalismo, un fatalismo, per di più, che è tanto violento per le vaste maggioranze quanto è generoso per le piccole minoranze. Questo però sarebbe anche fatale per le sinistre nel loro complesso perché, per decenni futuri, dimostrerebbe che le sinistre sono brave a riparare il passato, ma non a costruire il futuro. Per impedire che questo accada, si dovranno prendere due tipi di misure mentre i patti sono in vigore. Le misure di cui parlo non sono dettate dall’urgenza del governo quotidiano, ma devono  invece scaturire da una volontà politica acutamente focalizzata. Queste due misure le chiamo “Costituzione” ed “egemonia”.

 

Costituzione ed egemonia

La Costituzione è l’insieme di riforme costituzionali e sub-costituzionali per ristrutturare il sistema e le istituzioni politiche per prepararle a qualsiasi confronto con l’ibrido democrazia/dittatura e con il tipo di democrazia a bassissima intensità che questo comporta. Le riforme e i meccanismi per realizzarle varieranno da una nazione all’altra. Quindi in alcuni casi è possibile riformare la Costituzione sulla base di parlamenti esistenti, in altri sarà necessario convocare nuove Assemblee Costituenti, dato che i parlamenti alla fine potrebbero dimostrarsi la più seria barriera alla riforma costituzionale. Può anche accadere che, in un dato contesto, la “riforma” sia la difesa attiva più importante della Costituzione esistente, esercitata tramite una pedagogia costituzionale rinnovata in tutte le aree di governo. Tutte le riforme dovrebbero però condividere una preoccupazione comune: rendere il sistema elettorale sia più rappresentativo che più trasparente; rafforzare la democrazia rappresentativa per mezzo della democrazia partecipativa. I teorici liberali più influenti di democrazia partecipativa hanno riconosciuto ( e suggerito) l’ambigua coesistenza di due idee (contradditorie) per assicurare la stabilità democratica: da una parte la fiducia dei cittadini nella loro propria capacità e competenza di intervenire e di partecipare  attivamente alla politica; dall’altra un esercizio passivo di questa competenza e capacità attraverso la fiducia nelle élite governanti. In tempi recenti, come è stato dimostrato dalle proteste che hanno scosso così tanti paesi dopo il 2011 – la fiducia nelle élite è stata indebolita, anche se il sistema politico (o con intenzione o per mezzo della sua pratica) non ha permesso ai cittadini di riacquistare la capacità e la  competenza di intervenire e di partecipare attivamente alla vita politica. Sistemi elettorali di parte , la partitocrazia, la corruzione, crisi finanziarie manipolate – questi sono alcuni dei motivi della doppia crisi di rappresentatività (“non ci rappresentano”) e di partecipazione (“non vale la pena votare, sono tutti uguali e nessuno mai mantiene le sue promesse”). Le riforme costituzionali hanno due obiettivi separati: rendere più rappresentativa la democrazia rappresentativa e integrarla con la democrazia partecipativa. Come risultato di queste riforme, determinare l’agenda politica e il controllo sulle prestazioni della politica pubblica cessano di essere un monopolio dei partiti politici e cominciano  a essere condivise  dai partiti e dai cittadini indipendenti che si organizzano democraticamente per quello scopo.

Il secondo insieme di riforme è quello che definisco egemonia. L’egemonia è l’insieme di idee sulla società e anche le interpretazioni del mondo e della vita che, essendo ampiamente condivise – anche proprio da quei gruppi sociali che da queste  vengono danneggiati – fanno in modo che sia possibile che le élite politiche, tramite l’uso di queste idee e interpretazioni, governi con il consenso generale invece che per coercizione, anche quando il loro governo va contro gli interessi obiettivi dei gruppi sociali di maggioranza. L’idea che i poveri siano poveri per loro propria colpa, è un’idea egemonica in qualsiasi momento venga sostenuta non soltanto dai ricchi, ma anche dai poveri e dalle classi popolari in generale. Quando questo accade, i costi politici  delle misure usate per abolire o ridurre drasticamente l’indennità di sostegno ai redditi, per esempio, sono molto più bassi. La lotta per l’egemonia delle idee di  società che è alla base del patto stabilito dalle sinistre è fondamentale per la sopravvivenza e la coerenza del patto. La lotta in questione si sta combattendo sia nell’educazione formale che nella promozione dell’educazione popolare, sui media e nell’appoggio ai media alternativi, nella ricerca scientifica e nei cambiamenti dei curricula universitari, nelle reti sociali e nelle attività culturali, nei movimenti e nelle organizzazioni sociali e nelle opinioni sia pubbliche che pubblicate. Quella lotta porta a nuovi significati e criteri di valutazione della vita sociale e dell’azione politica (rivelare l’immoralità insita nel privilegio, nella concentrazione di ricchezza e nella discriminazione razziale e sessuale; promuovere la solidarietà, i beni comuni e anche la diversità culturale, sociale ed economica; sostenere la sovranità e la coerenza delle alleanze politiche; proteggere la natura) che riducono le occasioni di una controriforma da parte dei rami reazionari della destra, certamente i primi a “germogliare” nel primo momento di debolezza del patto. Affinché la lotta abbia successo, si deve fare pressione su politiche che, a occhio nudo,  possono sembrare meno urgenti e gratificanti. Se questo non accadrà, la speranza non sopravvivrà  alla paura.

 

Lezioni globali

Se c’è una cosa che può essere detta con un grado di certezza circa le difficoltà attualmente sperimentate dalle forze progressiste in America Latina, è che esse derivano dal fatto che i loro governi non hanno affrontato né l’argomento della Costituzione né quello dell’egemonia. Questo fatto è particolarmente impressionante nel caso del Brasile. In una certa misura, spiega perché gli enormi progressi sociali ottenuti dai governi dell’era di Lula, stanno ora venendo facilmente ridotti a niente altro che schemi populisti opportunistici anche da coloro che ne hanno beneficiato. Spiega anche perché molti degli errori fatti in quell’epoca (ce ne sono stati molti, a cominciare dall’accantonamento delle misure di una riforma politica e di regolamentazione dei media che ha lasciato aperte ferite tra gruppi sociali così importanti e diversi: i contadini privati della terra e della riforma terriera, giovani di colore vittime della brutalità razzista della polizia, popoli indigeni illegalmente espulsi dai loro territori ancestrali, popoli indigeni e quilombolos [i discendenti degli schiavi afro-brasiliani fuggiti dalle piantagioni all’inizio del periodo coloniale del Brasile, n.d.t.] le cui riserve sono ancora messe da parte  molto tempo dopo essere state approvate formalmente, intere sezioni sotto dominio militare nelle periferie delle grandi città, popolazioni rurali uccise dai pesticidi, ecc.), non sono soltanto considerati errori ma in realtà passano inosservati e vengono anche trasformati in virtù politiche o perlomeno accettati come la conseguenza inevitabile di una forma di governo realista e legata allo sviluppo. Questi due compiti non realizzati, la Costituzione e l’egemonia, aiutano anche a spiegare perché la condanna del capitalismo da parte dei governi di sinistra tende a focalizzarsi sulla corruzione e perciò sull’immoralità e l’illegalità del capitalismo, invece che sulla ingiustizia sistematica di un sistema di dominio che è perfettamente in grado di funzionare in stretta aderenza alla legalità e moralità del capitalismo.

Un’analisi delle conseguenze di non aver affrontato gli argomenti della Costituzione e dell’egemonia è appropriata se si deve prevedere e impedire ciò che avverrà nei prossimi decenni, non soltanto in America Latina, ma anche in Europa e in altre zone del mondo. Diversi canali di comunicazione che sono ancora in attesa di essere analizzati in tutte le loro molteplici dimensioni, sono stati istituiti negli scorsi 20 anni tra le sinistre dell’America Latina e dell’Europa meridionale. Fin dall’inizio del Bilancio partecipativo  di Porto Alegre nel  1989 *,  vari partiti e organizzazioni di sinistra in Europa, in Canada e in India (che io sappia) cominciarono a prestare grande attenzione alle innovazioni politiche che nascevano nella sinistra in vari paesi dell’America Latina. Fina dalla fine degli anni ’90 e con il brusco aumento delle lotte sociali, l’ascesa al potere dei governi progressisti e delle lotte per l’istituzione delle Assemblee Costituenti, particolarmente in Ecuador e in Bolivia, divenne chiaro che  era in corso un profondo rinnovamento della sinistra dal quale c’era molto da imparare. Il rinnovamento era caratterizzato dai seguenti tratti principali: una combinazione che serviva a rafforzarsi reciprocamente di democrazia partecipativa e di democrazia rappresentativa; il ruolo eminente svolto dai movimenti sociali, come è stato chiaramente illustrato dal Forum Sociale Mondiale nel 2001; una relazione completamente nuova tra i partiti ei movimenti sociali; l’irruzione sulla scena politica di gruppi sociali fino ad allora considerati residui, cioè i contadini senza terra, i popoli indigeni e le popolazioni di discendenza africana; la celebrazione delle diversità culturali, il riconoscimento della natura plurinazionale dei paesi e la determinazione di  opporsi alle eredità coloniali sempre presenti. La lista di cui sopra dovrebbe bastare a mostrare la misura in cui le due lotte alle quali ho fatto riferimento (la Costituzione e l’egemonia) sono state un fattore in questo vasto movimento che sembrava rifondare per sempre sia il pensiero che la pratica della sinistra, non soltanto in America Latina, ma in tutto il mondo.

La crisi finanziaria e politica – specialmente dopo il 2011 – e il movimento degli Indignados sono state la causa scatenante di nuove emergenze politiche di sinistra nell’Europa Meridionale nelle quali erano molto presenti le lezioni dell’America Latina. E’ successo così specialmente riguardo al rapporto con il nuovo movimento-partito, la nuova connessione tra la democrazia rappresentativa e la democrazia partecipativa, la riforma costituzionale e, nel caso della Spagna, il problema di più nazionalità. Più di qualsiasi altro partito, Podemos in Spagna e l’incarnazione di questa lezione, sebbene   ALL   i suoi leader siano stati ben consapevoli delle differenze sostanziali tra i contesti politici e geopolitici dell’Europa e dell’America Latina.

Non c’è modo di sapere che aspetto assumerà il nuovo ciclo politico che sta ora emergendo nell’Europa meridionale, ma a questo punto possiamo supporre questo:      mentre è vero che le sinistre europee hanno imparato dalle molte innovazioni delle sinistre latino-americane, non è meno vero (e tragico) che queste hanno “dimenticato” le loro innovazioni e quindi in qualche modo sono caduti nella trappola della vecchia “la politica come al solito” in cui, data l’esperienza da loro accumulata, le forze della destra non hanno difficoltà a mostrare la loro superiorità.

Se le linee di comunicazione rimangono operative in questi giorni, forse è ora  –sempre con il dovuto riguardo per le differenze esistenti – che le sinistre latino-americane imparino dalle innovazioni che ora emergono tra le sinistre dell’Europa meridionale, tra le quali sceglierei le seguenti: la necessità di mantenere viva la democrazia partecipativa all’interno dei partiti di sinistra come precondizione per la loro adozione da parte del sistema politico nazionale, in stretta connessione con la democrazia rappresentativa; patti tra le forze (non necessariamente i soli partiti) della sinistra, ma mai con quelle della destra; patti pragmatici che non siano né clientelari (in cui vengano discusse le politiche e le misure di governo, invece di nomi individuali e di cariche di governo), né patti di resa (in cui linee rosse insuperabili devono essere equilibrate con la nozione delle priorità – cioè, dove si devono distinguere le lotte primarie da quelle secondarie, come si usava dire), una maggiore enfasi sulla riforma costituzionale in modo da proteggere i diritti sociali e da portare maggiore trasparenza al sistema politico e anche portare il sistema più vicino ai cittadini e far sì che dipenda di più dalle loro decisioni senza dover aspettare nuove elezioni ogni quattro anni (un rafforzamento del referendum), e, nel caso della Spagna, occuparsi in maniera democratica del problema delle varie nazionalità.

La macchina letale del neoliberalismo continua a produrre paura su scala massiccia, e ogni volta che  rimane a corto di  materie prime, “trancia”  qualsiasi speranza possa trovare nei recessi più profondi  della vita politica e sociale delle classi popolari,   frantumandola,  lavorandola e trasformandola nella paura della paura. Le sinistre

sono il granello di sabbia che da solo può far fermare queste ruote gigantesche, facendo spazio affinché la sociologia delle emergenze faccia il suo lavoro di formulare e amplificare le tendenze, i “non ancora” che preannunciano un futuro decente per la vasta maggioranza delle persone. E’ perciò essenziale che le sinistre sappiano come sentire la paura, ma non la paura della paura. E’ fondamentale che sappiano come sottrarre i semi della speranza alla macchina neoliberale e piantarli nel suolo fertile dove un numero sempre maggiore di cittadini sente che può vivere bene, protetto sia dall’inferno del caos imminente che dal paradiso seducente del consumo ossessivo. La precondizione fondamentale affinché questo accada, è che le sinistre rimangano salde nelle loro due lotte cruciali, la Costituzione e l’egemonia.

 

Nota

*https://it.wikipedia.org/wiki/Bilancio_partecipativo

 


Boaventura de Sousa Santos è un professore portoghese di Sociologia alla Scuola di Economia dell’Università di Coimbra (Portogallo), illustre studioso di legge alla Facoltà di Legge dell’Università del Wisconsin-Madison, e studioso di legge globale all’Università di Warwick.  E’ cofondatore e  uno dei principali dirigenti del World Social Forum. L’articolo è stato consegnato  dall’autore e Other News l’8 gennaio.


Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

Fonte: http://zcomm.org/znet/article/the-left-of-the-future-a-sociology-of-emergences

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