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28/11/2016

 

Fidel Castro ha sfidato l’imperialismo degli USA fino all’ultimo

di Finian Cunningham 

Traduzione di Alessandro Lattanzio

 

A 90 anni, Fidel Castro è morto dopo decenni di lotta eroica per la giustizia sociale, non solo per la nativa Cuba, ma per tutte i popoli del mondo. Anche nell’ultimo decennio di malattia, l’icona rivoluzionaria ancora combatteva attivamente scrivendo articoli sulla politica internazionale e sostenendo la causa del socialismo. Misura del suo peso storico è il fatto che sia sopravvissuto a 10 presidenti degli Stati Uniti quando si ritirò ufficialmente dalla politica, nel 2008, per motivi di salute. Contando Barack Obama, la vita politica di Fidel equivale a 11 presidenze degli Stati Uniti. Tutte dedite alla barbara politica di strangolamento economico di Cuba con il blocco commercio della piccola nazione caraibica. Molti capi degli Stati Uniti sanzionarono complotti criminali per assassinare Fidel e istigare il cambio di regime. Tutti falliti. Castro sconfisse tutti ed è morto serenamente nel suo letto dopo aver vissuto la vita pienamente. Quando la notizia della morte si è diffusa nel mondo, anche i Paesi occidentali che cospirarono in varia misura per contrastare la rivoluzione cubana, furono costretti a riconoscere l’enorme eredità di Fidel. Le TV hanno aperto con le “ultime notizie” sulla sua morte. CNN e BBC hanno subito tirato fuori la biografia di un uomo e del passato rivoluzionario. Tra le prevedibili offese verso una “figura autoritaria”, anche i propagandisti occidentali hanno dovuto ammettere che Fidel ha liberato il suo popolo dalla miseria e dalla povertà, lasciando in eredità una Cuba dall’immenso sviluppo sociale e probabilmente, ancor più importante, dando ai popoli del mondo l’ispirazione monumentale a sforzarsi continuamente per rendere questo mondo un posto giusto per tutti. Alla fine, ha sostenuto il socialismo denunciando lo sfruttamento capitalista e il suo distruttivo bellicismo imperialista. Due titoli spiccavano sul Washington Post, senza potersi astenere dal denigrarlo, “L’ex-dittatore cubano Fidel Castro è morto”. L’uso della parola “dittatore” è gratuito e senza dubbio per infangarne la grandezza anche nel momento della morte. Il New York Times sembrava essere un po’ più magnanimo col titolo: “Fidel Castro è morto a 90 anni. Il rivoluzionario cubano fu la nemesi di 11 presidenti statunitensi”. Ma le parole del tributo erano avvelenate dalla diffamazione. Il NY Times continuava a dire che l’“apostolo ardente della rivoluzione”, aveva “portato la guerra fredda nell’emisfero occidentale nel 1959… e il mondo sull’orlo della guerra nucleare (nel 1962)”. Non fu Castro che portò la guerra fredda nell’emisfero occidentale, né incitò la guerra nucleare. In entrambi i casi, furono i governi degli Stati Uniti. Eppure, insidiosamente, i media statunitensi imputano a Fidel il male dei loro governi. Nel 1960, mesi dopo che Fidel aveva rovesciato il corrotto dittatore sostenuto dagli Stati Uniti, Fulgencio Batista, il leader della rivoluzione visitò ufficialmente gli Stati Uniti come gesto di amicizia. Ma fu snobbato dall’allora presidente Eisenhower che si rifiutò d’incontrarlo. Eisenhower poi impose gli embarghi diplomatico e commerciale a Cuba per vendetta delle politiche economiche di Fidel volte ad eliminare la decennale povertà della maggioranza dei cubani, indotta dagli Stati Uniti.

Nell’aprile 1961, sotto la nuova presidenza di John F. Kennedy, la CIA e il Pentagono lanciarono sulla Baia dei Porci un esercito privato mercenario composto dai fedelissimi Batista. JFK fece marcia indietro sull’attacco su vasta scala e le forze di Fidel infine sconfissero gli aggressori. CIA ed esuli cubani non perdonarono mai a JFK questo “tradimento” e si vendicarono sparandogli in testa nel corteo di Dallas del 22 novembre 1963. Contrariamente al ritratto del New York Times, furono gli Stati Uniti di Eisenhower e Kennedy che portarono la guerra fredda nell’emisfero occidentale. Non Fidel Castro. Se Castro rispose alle aggressioni degli Stati Uniti, abbracciando l’Unione Sovietica ed i suoi missili nucleari, fu evidentemente per auto-difesa. La crisi dei missili di Cuba dell’ottobre 1962, quando JFK e il leader sovietico Nikita Krusciov si scontrarono con una drammatica prova di forza nucleare, gli Stati Uniti avevano già intrapreso la guerra contro Cuba. L’installazione di armi nucleari sovietiche sul territorio cubano, a 90 miglia dagli Stati Uniti, fu prima di tutto un atto di legittima sovranità del governo cubano e in secondo luogo un ragionevole atto di autodifesa data la criminale aggressione degli Stati Uniti dell’anno prima, nella baia dei Porci. Neanche in questo caso fu Fidel Castro che “portò il mondo sull’orlo della guerra nucleare”, ma la politica aggressiva contro una nazione povera da poco indipendente, il cui popolo esercitò il diritto all’autodeterminazione sostenendo un governo socialista. I vanitosi funzionari statunitensi amano raccontare come JFK costrinse i sovietici a ritirare i missili nucleari da Cuba. Ma un fatto trascurato è che l’accordo per evitare la guerra nucleare elaborato da Kennedy e Krusciov invocò l’impegno degli Stati Uniti ad abbandonare i piani di guerra segreti contro Cuba. Gli Stati Uniti non rispettarono a pieno la promessa di lasciare Cuba in pace. I piani per assassinare Castro e altri leader cubani continuarono durante le successive amministrazioni degli Stati Uniti, così come il sabotaggio e il terrorismo sponsorizzati dallo Stato, come l’abbattimento di un aereo civile cubano nel 1976. L’embargo commerciale imposto dagli Stati Uniti alla nazione di 11 milioni di abitanti iniziò nel 1961 e continua con Barack Obama, anche se con un leggero, alcuni direbbero “estetico”, allentamento. Tuttavia, il piccolo vantaggio avuto dall’“orlo della guerra nucleare” nel 1962 fu che gli Stati Uniti desistettero dal ripetere l’aggressione palese vista sulla Baia dei Porci.

Fidel Castro è un gigante che ha visto due secoli, un gigante dell’intelletto e dell’umanità, la cui compassione per gli oppressi e la loro liberazione dallo sfruttamento e dall’egemonia artificiale fu luminosa fin dai giorni della giovinezza. Fidel era la luce sul mondo, e anche nella morte, la luce della sua giustizia sociale brilla. Nemmeno i più formidabili nemici possono sminuire questa illuminazione rivoluzionaria. Il New York Times ha detto che “tormentò 11 presidenti degli Stati Uniti”. È solo un’altra spregevole calunnia. Fidel non li tormentò, li ha trascesi assieme ai loro malvagi piani, con un’umanità che fa ombra alla loro corruzione. Della sua splendida eredità, è forse un attributo che vita e lotta di Fidel dimostrino con chiarezza eloquente la distruttiva natura aggressiva e guerrafondaia del sistema politico degli Stati Uniti. Dalla sua vita, il mondo può chiaramente vedere che, nonostante le calunnie, furono i governi degli Stati Uniti che scatenarono la guerra fredda dimostrandosi abbastanza criminali da spingere il mondo verso una sconsiderata guerra nucleare. Questa è la lezione storica lasciata in eredità da Fidel, importante oggi come allora. L’aggressione degli Stati Uniti a Cuba è ancora attuale nella belligeranza verso Russia, Cina o qualunque altro Paese che ne sfidi l’egemonismo. Comprendere la storia della rivoluzione di Cuba e di Fidel Castro permette di comprendere le vere cause e i veri colpevoli delle aggressioni nel mondo di oggi. Anche nella morte, lo spirito rivoluzionario di Fidel vive, insegna, ispira.

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