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10 dicembre 2016

 

Seguendo i funerali di Fidel, per le strade di Cuba

 

La delegazione della Rete dei Comunisti inviata a Cuba per seguire il funerale del Comandante Fidel Castro ha avuto il privilegio di vivere un momento storico per l’isola, i suoi abitanti, il suo processo rivoluzionario.

Siamo giunti a La Habana la sera del 2 dicembre, dove abbiamo avuto solo il tempo per una breve intervista con la TV di Stato e per renderci conto, attraverso le parole della giornalista e gli sguardi dei rappresentanti dell’Istituto Cubano di Amicizia con i Popoli (ICAP), della profonda impressione che aveva suscitato in loro il venir meno di Fidel. Tristezza, dolore, sgomento, a tratti un senso di smarrimento, trasmesso insieme alla determinazione di chi è abituato a combattere da sempre con l’embargo e l’odio di chi, in questi giorni, ha gioito per la morte fisica del leader rivoluzionario.

Poche ore di sonno prima di intraprendere il lungo viaggio verso Bayamo, distante 667 chilometri dalla capitale, tappa intermedia per arrivare a Santiago il 4 dicembre.

Seguivamo il corteo partito alcuni giorni prima con l’ulna che raccoglie le ceneri di Fidel.

Punto di partenza la sede dell’ICAP, con un autobus sul quale sono montate delegazioni provenienti dall’Europa (Italia, Francia, Spagna, Svezia) e dall’America Latina (Brasile, Portorico, Honduras, Cile). Una piccola parte delle centinaia giunte nell’isola in questi giorni.

Un viaggio quello che ci ha portato a Bayamo importante, perché ci ha permesso di osservare una Nazione mobilitata per il miglior saluto possibile al proprio comandante.

Centinaia di chilometri in strade provinciali che attraversano paesini popolati da contadini e lavoratori del settore agricolo, ma anche grandi città come Cienfuegos, Sancti Spiritus, Camaguey, Las Tunas.

Non una casa senza un segnale di quel passaggio, migliaia di scritte fatte con i mezzi più disparati, dai sassi bianchi ai rami degli alberi, cartelli confezionati a mano, disegni di bambini, fotografie che ritraevano il Comandante in ogni fase della sua vita, fiori e bandiere in ogni angolo, sulla testa delle donne, nelle tasche degli uomini, nei campi, sulle fabbriche, sulle case, sugli edifici pubblici, sulle baracche di lavoro in mezzo ai campi.

Per strada, abbiamo incontrato tantissimi camion scoperti e pieni di persone, autobus, macchine, motociclette che come noi si erano incamminati per raggiungere Santiago.

 

Bayamo è la città dove ha fatto tappa anche il corteo funebre, che sarebbe ripartito la mattina seguente per Santiago. Sapevamo che sarebbe passato di fronte all’albergo dove eravamo ospitati, ma non come la città si stesse preparando a quel passaggio.

Insonni per il cambio di fuso orario ma soprattutto per l’emozione, alle 4 del mattino ci aggiravamo per la città in attesa delle luci dell’alba, quando siamo stati attratti da una musica forte, proveniente da pochi isolati dall’Hotel. Avvicinatici, ci siamo trovati di fronte ad una fabbrica del latte, dove i lavoratori avevano approntato un impianto di amplificazione che diffondeva le canzoni più amate dai cubani. Pablo Milanes, Silvio Rodriguez, Pedro Ferrer, Vicente Feliù e altri, musica che intercalava discorsi del Comandante e canzoni di lotta.

Anticipi di una presenza di massa, che ha in brevissimo tempo riempito per chilometri e chilometri i due lati della Carretera central de Cuba, arteria che attraversa tutta l’isola. Ancor prima che albeggiasse, si sono formate file interminabili di persone, a rappresentare tutte le età e le professioni. Studenti di ogni ordine e grado, pensionati, artigiani, contadini, lavoratori della sanità, dell’industria, giovani della FAR (Forze Armate Rivoluzionarie), singoli cittadini. I cartelli fatti in casa, le tantissime bandiere, gli striscioni, i disegni, le effigi di Fidel, i fiori caratterizzavano e coloravano quelle file interminabili, insieme a un silenzio a tratti impressionante, che ti toglieva il respiro, evidenziando un dolore sordo, una mestizia che non aveva niente a che fare con un atteggiamento di circostanza. Si è capito quando finalmente, alle 7,30, è passato il corteo di mezzi che anticipava e seguiva la piccola ulna con le ceneri del Comandante, trasportata da una semplice jeep militare.  Dalle ali di folla il grido “Yo soy Fidel”, lo sventolare di bandiere, i fiori gettati per strada e i pianti riservati, senza alcuna enfasi, quasi dissimulati come per non farsi cogliere nel momento della debolezza, dalla ripresa a effetto.

Passato il corteo, lo abbiamo seguito con il pullman della delegazione, facendo i 127 chilometri che distanziano Bayamo da Santiago de Cuba, per giungere nella locale sede dell’ICAP dove, prima di spostarci nella Piazza della Rivoluzione per l’evento finale, abbiamo avuto l’onore di incontrare i  5 agenti dell’antiterrorismo cubano detenuti ingiustamente per oltre 15 anni nelle carceri statunitensi, liberati grazie alla mobilitazione mondiale, organizzata e fomentata con estrema determinazione da Fidel e da tutta la società cubana. Fernando Gonzalez, Renè Gonzalez, Gerardo Hernández, Ramon Labañino e Antonio Guerrero sono intervenuti sulla figura del Comandante, sulla sua determinazione nella battaglia per la loro liberazione, sulla solidarietà internazionalista come elemento costituente del processo rivoluzionario, sul futuro certo della Rivoluzione nell’isola, in continuità con le idee, lo spirito morale, le indicazioni e la prassi trasmessa da Fidel al popolo.

 

Infine, ci siamo incamminati verso la Piazza della Rivoluzione di Santiago di Cuba. Insieme a Guantanamo, Santiago dette all’inizio del processo rivoluzionario un contributo di sangue enorme, insieme ai migliori giovani di una generazione che riuscì a realizzare i propri sogni, trasformandoli in quello che è oggi Cuba.

Il ritorno in questa città delle spoglie mortali di Fidel va ben oltre l’atto simbolico, rappresentando la chiusura di un cerchio che ha innervato profondamente la storia e l’identità del popolo cubano, proiettando la sua forza in tutto il continente latinoamericano e nel mondo.

La risposta di quella piazza all’evento conclusivo del percorso a ritroso deciso per portare le spoglie mortali di Fidel nel cimitero di Santa Ifigenia, al fianco di Josè Martì e degli altri grandi leader del lunghissimo processo rivoluzionario cubano, è stata impressionante. Sotto un sole cocente, con temperature che superavano i 33 gradi, centinaia di migliaia di cubani di tutte le età l’hanno riempita sin dalle prime ore del pomeriggio, raggiungendo i numeri massimi a ridosso delle 19 della sera, quando puntualmente è iniziato l’atto che chiudeva i primi 8 giorni di lutto nazionale.

Colpiva la quantità di giovani, la sintonia nei movimenti di piazza, la contemporaneità degli slogan gridati, che a tratti si trasformavano in lunghe frasi a riprendere gli interventi dei relatori, come successo pochi giorni prima a La Havana, quando il Presidente dell’Ecuador Rafael Correa, dal palco dell’enorme manifestazione spontanea a poche ore dalla morte di Fidel, ha iniziato a leggere il famoso discorso del 1 maggio 2000, “La rivoluzione è il senso del momento storico”. Centinaia di migliaia di cubani l’hanno accompagnato, scandendo lentamente tutto ciò che quel giorno il Comandante disse sul senso profondo e lo spirito della Rivoluzione.

Gli interventi dall’immenso palco hanno rappresentato tutti i settori della società cubana. Hanno parlato i massimi esponenti del partito e del sindacato, i giovani comunisti e la gioventù universitaria, la rappresentante delle donne e delle Forze Armate Rivoluzionarie, fino all’intervento conclusivo di Raul Castro, che ha iniziato informandoci sulle ultime volontà de fratello, che saranno trasformate in legge varata prossimamente dal Parlamento. Fidel chiede che la sua figura non divenga un’icona da idolatrare, rompendo così quel “culto della personalità” che purtroppo ha caratterizzato nel secolo scorso altre rivoluzioni e altri leader. Nessuna statua né busto sarà eretto, nessuna piazza né strada sarà intitolata a lui sull’isola.

Raul ha poi evidenziato la forza del messaggio di Fidel e del processo rivoluzionario, attraverso la pratica concreta, dimostrando che “Sì, se puede” vincere una rivoluzione con trecento fucili contro il poderoso esercito di Fulgencio Batista, sconfiggere l’analfabetismo, dare a tutti sanità, lavoro, istruzione, sostenere il confronto con il più grande paese imperialista al mondo, trasformare in pratica concreta e disinteressata la parola d’ordine dell’internazionalismo proletario con la sconfitta dell’Apartheid nelle battaglie in Angola e in Namibia….”Si è potuto, si può, si potrà superare qualsiasi ostacolo per l’indipendenza, la sovranità della patria e il socialismo”. Con questa frase e con il sollecito finale a una piazza estremamente reattiva alla parola d’ordine “Patria o muerte, venceremos”, gridata all’unisono dalle centinaia di migliaia di persone assiepate nella Piazza, si è concluso un evento che rimarrà nella storia e nella memoria di tutti noi.

 

Il lascito più grande di Fidel Castro è in queste persone, in questo popolo semplice e colto, che ha introiettato profondamente il messaggio di umanità, dignità, indipendenza sociale e culturale, trasformatasi in vita concreta, fatta di tanti problemi e difficoltà, a causa dell’embargo ma anche per le immense difficoltà nel costruire un sistema alternativo al capitalismo, sul quale ogni giorno a Cuba si lavora, senza alcuna guida se non l’esperienza concreta, fatta talvolta di errori, arretramenti ma anche grandi passi in avanti.

Non c’è niente d’incredibile nella resistenza del popolo cubano alle difficoltà che sino a oggi l’hanno ostacolato, dal “periodo especial” iniziato nel 1991 e che può ripresentarsi oggi, a causa degli attacchi imperialisti ai paesi dell’Alba Latinoamericana e dell’avvento al potere di Trump negli USA.

La forza di questo popolo sta nella tempra, nella cultura, nella coscienza di sé, nell’orgoglio nazionale, negli ideali trasformati in realtà concreta da milioni di loro, che dagli anni ’60 a oggi sono andati e continuano ad andare in giro per il mondo a difendere popoli con le armi, con la medicina, con tecnici capaci di risolvere problemi di ogni tipo, sta nel sapere dell’amore che lo circonda in tutto il mondo.

I nove giorni di lutto per Fidel sono serviti a riaffermare tutto questo, a ritrovarsi come nazione unita, intorno ad un gigante della storia, che hanno avuto la fortuna di incontrare come leader, insieme a tutti gli altri che ci hanno lasciato e che ancora sono al loro fianco tutti i giorni.

L’unica cosa che forse i cubani non percepiscono è il loro valore universale, che soprattutto noi che possiamo fare una comparazione con la realtà di barbarie nella quale viviamo tutti i giorni nei paesi cosiddetti “sviluppati”, apprezziamo fino in fondo.

Questo è il messaggio più grande che ci portiamo dentro, al ritorno da questo breve ma indimenticabile viaggio dentro il popolo cubano.

Rete dei Comunisti

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