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27 giugno 2016

Niente sorpasso. L’Ue vuole la grande coalizione
di Marco Santopadre

Sondaggi smentiti, di nuovo ed anche nello Stato Spagnolo. Alla fine il sorpasso sui socialisti non c’è stato ed Unidos Podemos si deve accontentare del terzo posto e ridimensionare i suoi sogni di gloria. Appena i seggi hanno chiuso, alle 20, gli exit poll davano vincitore il Partito Popolare e seconda, davanti ai socialisti, la coalizione formata da Podemos, Izquierda Unida e altri 9 movimenti statali e locali di centro-sinistra. Ma quando sono cominciati ad affluire i dati dello spoglio reale è stata una doccia fredda per i viola, passati non solo in terza posizione ma assai al di sotto delle aspettative della vigilia.
La ‘Spagna profonda’ ha di nuovo premiato il Partito Popolare. Nonostante la corruzione, gli scandali – l’ultimo emerso alla vigilia del voto, rivelando che il Ministro degli Interni di Rajoy tramava con un funzionario catalano per fabbricare prove false allo scopo di incastrare i dirigenti indipendentisti di Barcellona – nonostante anni di politiche antipopolari e autoritarie la destra spagnola non solo torna a vincere le elezioni, ma addirittura si rimette una costola. Il Partido Popular riprende fiato dopo la storica debacle del 20 dicembre e passa da 123 a 137 seggi e dal 28.72 di sei mesi fa al 33.03%.
Di fatto il PP arriva in testa nella stragrande maggioranza dei collegi elettorali del paese, succhiando consensi a Ciudadanos, forza emergente della “nuova destra” liberale, liberista, nazionalista e ‘moderna’ che sperava invece di continuare la sua ascesa dopo il buon risultato del 20 dicembre. Invece la creatura politica di Albert Rivera arresta la sua corsa e “si sgonfia”, passando da 40 a 32 seggi e dal 13.93 al 13.03%. Rajoy recupera voti all’interno dell’elettorato conservatore ma anche reazionario – l’estrema destra di Vox prende solo 46 mila voti in tutto lo Stato! – in virtù di un “effetto diga” contro la prospettiva di uno sfondamento da parte dei ‘rossi’ di Unidos Podemos.

Il cui risultato, come detto, alla fine non è stato affatto entusiasmante, come gli stessi dirigenti della coalizione, nei primi commenti della serata, hanno ammesso. La coalizione passa infatti da 69 a 71 seggi e dal 20.66 al 21.1% dei voti. Un piccolo progresso, si dirà. In realtà le forze coalizzate sotto la guida di Pablo Iglesias perdono un numero consistente di consensi rispetto a sei mesi fa, quando Podemos e Izquierda Unida (Unidad Popular) erano andati al voto separatamente ottenendo rispettivamente il 20.66 e il 3.67%.

Presentandosi in coalizione e confermando le ‘confluencias’ con altre piccole forze politiche statali – come Equo – e vari movimenti e coalizioni regionaliste e di sinistra locali in Catalogna, Valencia e Galizia, Iglesias e Garzòn puntavano su un effetto moltiplicatore dei voti, allettando gli elettori di sinistra e centrosinistra con la prospettiva del sorpasso sui socialisti e approfittando di una legge elettorale che premia, nella distribuzione degli eletti, le liste più consistenti. Ma Unidos Podemos ha fallito entrambi gli obiettivi. Ha ottenuto solo 2 seggi in più rispetto alla tornata precedente (esattamente quanti ne avevano insieme Podemos e IU), piazzandosi in terza posizione in quasi tutti i collegi dello Stato Spagnolo, superata non solo dal PP ma anche dai socialisti (tranne nei Paesi Baschi e in parte della Catalogna dove UP ha vinto la competizione). UP non è riuscita ad allargarsi a destra ed ha anche perso voti a sinistra. Durante la campagna elettorale i leader di Podemos hanno insistito nel presentarsi come gli esponenti di una ‘nuova socialdemocrazia’ tiepidamente riformista ma responsabile, nel tentativo di accreditarsi come forza di governo tra gli imprenditori e la classe media e di attrarre i voti socialisti che non sono invece arrivati indispettendo al contempo i settori più radicali dell’elettorato. Fin dalla scorsa tornata Iglesias e i suoi hanno rinunciato alle proposte più radicali (espulso dal messaggio del movimento ogni riferimento alla lotta contro l’Unione Europea) ed hanno insistito sulla opportunità di formare una maggioranza di governo “per il cambiamento” con il Partito Socialista di Pedro Sanchez, che giustamente a sinistra viene considerato un pilastro di un sistema spagnolo a due gambe – diventate tre con Ciudadanos – liberista, ingiusto, corrotto e inamovibile. Offerta che Iglesias ha reiterato ieri sera, dopo la diffusione dei deludenti risultati, parlando di un accordo tra Unidos Podemos e Psoe come di una ‘coalizione tra forze di progresso’ che ‘hanno una idea diversa della Spagna’ rispetto a PP e C’S. Ma quale idea abbiano della Spagna i socialisti – da Gonzales a Zapatero fino al rampante Sanchez – gli elettori di sinistra lo sanno bene, e non hanno seguito la direzione di Izquierda Unida preferendo l’astensione.

Sono proprio i socialisti a tirare un sospiro di sollievo, perdendo sì 5 seggi – da 90 a 85 – ma guadagnando qualche decimo di punto percentuale – dal 22.01 al 22.66% – che permette al Psoe di rimanere al secondo posto.

Da notare che il non voto è passato in sei mesi dal 26.8% al 30.16%. Alle urne si sono recati solo il 69.84% degli aventi diritto; non il crollo verticale vaticinato dai sondaggi della vigilia ma comunque un calo significativo, che mette in evidenza la crescente disillusione e disaffezione di un elettorato stanco. In un quadro del genere la ‘spinta propulsiva’ di Podemos sembra non funzionare più, incagliatasi in una sorta di recinto politico al di là del quale sembra difficile che Iglesias riuscirà ad andare.

A guardare i dati assoluti, il Partito Popolare è l’unica forza politica statale a guadagnare voti, passando da 7.215.000 a 7.906.000 elettori e recuperando posizioni in importanti comunità autonome come quella Valenciana o l’Andalusia. Il Psoe perde 106 mila consensi, Unidos Podemos ben 1.063.000 (considerando anche i voti di Izquierda Unida del 20D), Ciudadanos 377.000.

Un ottimo risultato, in Catalogna, per gli indipendentisti di sinistra moderati di Esquerra Republicana che passano da 599.000 a 629.000 voti (la sinistra indipendentista radicale della Cup, come il 20D, ha deciso di non presentare liste alle elezioni statali) a scapito del partito regionalista/indipendentista catalano di centro-destra, la Convergenza Democratica di Artur Mas e dell’attuale premier di Barcellona Carles Puigdemont, che continua la sua discesa passando da 565.000 a 482.000 voti.

Nuovo pessimo risultato per la sinistra indipendentista basca, ormai in crisi nera anche a livello elettorale: Eh Bildu subisce di nuovo “l’effetto Podemos” e passa dai 218 mila voti conquistati nella Comunità Autonoma Basca ed in Navarra sei mesi fa ad appena 184.000, conservando comunque i 2 seggi che aveva. Anche il Partito Nazionalista Basco (PNV) non brilla, calando da 6 a 5 seggi e da 301.000 a 286.000 voti.

All’apparenza la mappa del nuovo parlamento di Madrid non sembra, è vero, molto diversa da quella uscita dalle elezioni del 20 dicembre, che avevano spazzato via il vecchio bipartitismo trasformandolo in un sistema a quattro gambe. Troppe, si è detto, per garantire la governabilità. Nessuna forza politica, neanche il riconfermato Partito Popolare, è così consistente per poter formare un governo monocolore che da tradizione. Ma sei mesi di stallo dopo le elezioni del dicembre 2015 e la crescita consistente della destra di Rajoy rappresentano un elemento di novità da non sottovalutare. Come visto, nonostante la brusca frenata Unidos Podemos continua ad insistere sulla formazione di una coalizione con i socialisti che però potrebbe contare solo su 156 seggi, quota assai lontana dalla maggioranza minima di 176 necessaria per governare. Ammesso che i socialisti siano orientati ad allearsi con i propri competitori a sinistra – Pedro Sanchez ha più volte ribadito il suo ‘no’ – e che i partiti nazionalisti baschi e catalani siano pronti a fare da stampella ad un ambiguo governo guidato da una forza centralista come il Psoe.
Rispetto alle Cortes elette il 20D, in quelle costituite ieri una coalizione tra le due destre – PP e Ciudadanos – potrebbe contare su 169 seggi, e i due partiti potrebbero puntare ad un governo di minoranza, anche se abbastanza instabile e sottoposto al continuo ricatto di eventuali piccoli alleati regionalisti di centro-destra. I poteri forti interni e l’establishment dell’Unione Europea premono invece per una grande coalizione tra Partito Popolare e Partito Socialista – meglio ancora se rafforzato dalla nuova destra di Albert Rivera – che potrebbe assicurare a Madrid e soprattutto a Bruxelles quella stabilità necessaria per implementare i piani della Troika troppo a lungo rimandati: privatizzazioni, licenziamenti nel settore pubblico, altra austerity.

Che non si sia andati subito alla ‘grande coalizione’ già dopo la scorsa tornata elettorale Bruxelles e Francoforte lo hanno potuto accettare una volta, se lo stallo dovesse ripetersi anche dopo le elezioni di ieri le conseguenze per Madrid potrebbero farsi serie.

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