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4 settembre 2016

 

ll parlamento spagnolo respinge Rajoy. La maggioranza a soli sei voti di scarto

di Lorenzo Nicolao

 

170 voti contro i 180 contrari: ne sarebbero necessari solo altri sei favorevoli per ottenere la fatidica maggioranza parlamentare che manca ormai dal 20 dicembre scorso. Mariano Rajoy nelle due ultime votazioni non è riuscito a raggiungere il suo obiettivo, nemmeno con l’appoggio di Ciudadanos che ora, attraverso il suo leader Albert Rivera, congela il patto in attesa di un nuovo nome fra i Populares per governare.

I vertici del PSOE non hanno infatti rinunciato a votare contro. “Non lasceremo nessuno spiraglio a un politico come Rajoy – ha ribadito il segretario socialista Pedro Sánchez – Invito caldamente gli altri partiti dell’opposizione a favorire un’alternativa a questo governo.”

In questo modo lo stallo prosegue, con i partiti che vorrebbero evitare terze elezioni il giorno di Natale, pur senza cedere alle offerte del capo di governo ad interim.

Il leader del PP è molto deluso, anche per i malumori interni al partito che contestano l’elezione di José Manuel Soria per la Banca Mondiale.

In ogni sfera quindi, la politica spagnola risulta divisa, sia nei rapporti fra i partiti che all’interno degli stessi.

L’unico punto di convergenza sarebbe invece lo scrivere una legge che eviti le elezioni nel periodo delle festività, con esattezza proprio il giorno del prossimo Natale.

Per evitare tutto questo, a meno di colpi di scena proposti dal Re Felipe oppure da una congiunzione improvvisa degli altri partiti, i discordanti PSOE e Podemos per esempio, il PP è ora obbligato a trovare un nome alternativo a Rajoy.

Un’impresa, dato l’attuale clima politico, che potrebbe dar spazio allo stallo ancora per qualche mese.

Sei voti mancano a Rajoy, tutti sigillati nel attuale quadro ideologico dell’opposizione, che deve forse i voti degli elettori proprio a questa fermezza.

Ad ogni modo però, la crescita economica sarà costretta a rallentare, principale ragione professata in ogni dove da Rajoy per continuare a governare.

Un braccio di ferro che non sembra avere fine, lasciando inerme non solo il parlamento e la Moncloa, ma il Paese stesso.

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