Fonte: Il giornale del Ribelle

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21/07/2016

 

Implosione degli States?

di Simone Torresani

 

A distanza di quasi cinquant' anni sono tornate, negli Stati Uniti, le "estati calde": nella decade dei Sessanta e inizio Settanta, infatti, le tensioni etnico-razziali (sin dalla fondazione una costante della storia a stelle e strisce), nel periodo della canicola la pentola a pressione regolarmente esplodeva, provocando le rivolte degli afroamericani. Particolarmente sinistre per numero di danni materiali e vittime umane furono le insurrezioni di Watts, di Newark e di Detroit, in cui le autorità dovettero ricorrere alla Guardia Nazionale, armi in pugno, per sedare con largo tributo di sangue i tumulti. Oggi, con un afroamericano che da sette anni e mezzo siede sulla poltrona della Casa Bianca, non solo gli USA hanno compiuto dieci passi indietro rispetto ai risultati non del tutto da buttare nella lunga lotta ai "diritti" delle minoranze, ma le stesse tecniche di ribellione appaiono assai più pericolose. Qui non siamo di fronte ad una esplosione di collera popolare tanto improvvisa quanto facile da reprimere, alla bisogna, con plotoni di agenti o militari in assetto da guerra, ma a forme programmate di rappresaglia da parte di singoli, che sono molto più imprevedibili da capire e prevenire sia nel tempo che nello spazio. Potremmo dire, nei casi di Baton Rouge e di Dallas, che la collera si è trasferita dal piano della rivolta di piazza a quello della rappresaglia, della vendetta, della faida, della guerriglia tout court contro le forze di polizia, ormai viste a ben ragione come il braccio secolare di una società sempre più iniqua, esclusiva (nel senso che emargina, esclude), paranoica, razzista e ricca solo di disuguaglianze e darwinismo sociale come quella degli Stati Uniti d' America. I laudatori degli "States" potranno dire che queste storture esistono da sempre in America, che il Paese ha visto di peggio, che comunque la società in sé ha gli anticorpi, a lungo termine, per eliminare le tossine, eccetera eccetera. Tutte storie, tutte chiacchiere da bar sport.

 

Gli USA stanno prendendo una china discendente non solo nella politica internazionale, ma anche e soprattutto -cosa da monitorare con attenzione- in quella interna: dobbiamo sperare non tanto in un appannamento internazionale, quanto in una implosione di questo Paese, che ad oggi è l'opzione maggiormente gettonata. I segnali di una lenta ma inesorabile ruggine che corrode ci sono già tutti: a prescindere dalla questione afroamericana, stanno aumentando in maniera esponenziale i casi di "mass shooting", di impazzimento collettivo, di sparatorie senza senso in cinema, ristoranti, teatri, supermercati: noi in Italia veniamo a sapere solo dei più eclatanti, ma provate a fare una ricerca in Internet e se ne avete voglia costruite un grafico e analizzate il numero dei casi negli ultimi trent' anni: vedrete, appunto, una curva di aumento esponenziale. La competizione, la polarizzazione tra vincenti e perdenti, lo sfrenato individualismo stanno facendo, paradossalmente, di uno Stato con impronta culturale anglosassone -quindi con il contrattualismo dei vari Hobbes e Locke - un luogo in preda alla trappola hobbesiana. Infatti le ultime direttive di molti dipartimenti di polizia, in testa quello newyorkese, emanate dopo Dallas, ordinano agli agenti non solo di circolare in coppia (e ci sta) ma di "aumentare la diffidenza se si viene avvicinati da sconosciuti". La stessa diffidenza, unita al numero abnorme di armi in circolazione e alle regole d' ingaggio particolarmente eccessive dei tutori dell'ordine, trasposizione moderna dello "sceriffo" e del "pioniere del West", porta la polizia ad avere il grilletto facile. E non tocca solo all' "afro" di turno, ma pure al "bianco" malcapitato che non è pronto, magari, a scendere velocemente dall' auto con le mani sulla testa, come capitato tre settimane fa in California. La società sempre più paranoide, repressiva e dalle manette facili (gli USA hanno, ogni 1000 abitanti, più carcerati che la Cina!) per chi ha pochi dollari in avvocati, non ha più come compensazione il "sogno americano", ormai inceppato da tempo. Analizzando i profili personali e psicologici degli stragisti e sparatori, in 9 casi su 10 si scopre che sono tutti "ex " qualcosa, tutti dei "perdenti", degli "esclusi", degli emarginati dal Sistema americano che, come scritto sopra, ha ormai l'ascensore sociale bloccato e non garantisce più sogni da spendere. Perdenti, minoranze arrabbiate e falliti diventeranno ogni giorno che passa più incazzati e il cemento americano verrà gradatamente sfibrato, mai come in questo caso vale la massima latina: "gutta cavat lapidem". Più che Russia, Cina, Medio Oriente, Libia, Afghanistan o Califfi vari, saranno questi germi mortali ormai ben inseriti e in incubazione nel corpo degli Stati Uniti a decretarne, in futuro, un sicuro collasso: di fronte a tali problemi ormai strutturali che minano l'edificio, conviene supportare la vittoria di Donald Trump, il peggio del darwinismo sociale americano, affinché la sua presidenza possa, per lo meno nel successivo quadriennio, affrettare i tempi del declino irreversibile.

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