Fonte: Marco Della Luna

http://www.ariannaeditrice.it/

11/09/2016

 

Riforme proibite: i veti di Washington e Berlino

di Marco Della Luna

 

Un ristretto numero di grandi famiglie bancarie, cioè l’establishment angloamericano e poc’altro, detiene nel mondo il potere economico, quindi politico e militare; il suo consenso è indispensabile per ogni significativa riforma in ogni paese dell’area del dollaro. Impone nel proprio interesse riforme contrarie all’interesse collettivo, come l’abolizione del Glass Steagal Act, e le mantiene anche dopo che si è manifestata la loro nocività.

Le elezioni e i plebisciti mettono in gioco frazioni marginali e geograficamente limitate di questo potere, frazioni inidonee a mutare gli equilibri, soprattutto su scala globale, mentre spesso suscitano aspettative elevate e sproporzionate nelle popolazioni. Così come i partiti politici antisistema o rivoluzionari o semplicemente innovatori.

A questa realtà non ci siamo ancora aggiornati: siamo inclini ancora oggi a pensare che i policy-makers, i decision-makers, siano tuttora gli Stati, i governi, i parlamenti – ma non lo sono più da molto tempo. Siamo portati a pensare e a promettere: “prendiamo la maggioranza assoluta e aggiustiamo le cose per il Paese” – ma non è così che le cose funzionano: i vincoli e i poteri esterni sono ampiamente preponderanti e dettano ciò che puoi e ciò che devi fare, e se non ottemperi ti fanno cadere, mobilitando mass media e giustizia. Naturalmente vi sono anche vincoli interni, come appare evidente nel caso del concentrico boicottaggio alla sindaca Raggi, in quanto minaccia i pingui redditi illeciti di un certo, consolidato sistema di gestione di Roma. Anche per cambiare le cose in una città non basta avere la maggioranza in consiglio comunale e le competenze tecniche: bisogna fare i conti con interessi consolidati appoggiati da ampi settori istituzionali, mediatici e “religiosi”.

Tecnicamente e obiettivamente parlando, i metodi per risanare il sistema bancario italiano e per rilanciare l’economia con idonei finanziamenti di ampio respiro, sono disponibili e descritti in articoli e saggi miei e di altri studiosi. Ma, per introdurre riforme, bisogna fare i conti con l’oste – una cosa di cui alla gente non si parla mai…

Chi avanza proposte di riforma di qualche rilevanza, soprattutto in ambiti economico-finanziari, geostrategici, scientifico-tecnologico (soprattutto energetici),  dovrebbe preliminarmente verificare se il predetto consenso vi è o non vi è – il c.d. Washington consensus (e Berlin consensus), esponente degli interessi di quell’establishment finanziario-militare-politico che già Dwight Eisenhower indicava come incompatibile con la democrazia e che ancora prima Charles Wright Mills denominò “power elite”.

Sono cose di cui non si parla mai, perché si fanno i conti senza l’oste e perché discuterne è sgradevole, scabroso; ma chi avanza tali progetti in Italia, in particolare e in aggiunta, dovrebbe verificare preliminarmente quali siano gli spazi di manovra consentiti all’Italia dai vincoli esterni, e in primo luogo dai trattati di pace e relativi protocolli anche riservati, seguiti alla fine della II GM, e configuranti per l’Italia una sovranità limitata in subordinazione agli USA. Tengasi anche presente che, come recentemente emerso, ogni cancelliere tedesco, prima di assumere il suo ufficio, deve sottoscrivere la Kanzlerakte, ossia un impegno di obbedienza alla Casa Bianca; e che un protocollo riservato del trattato di pace con gli USA attribuisce a questi la Medienhoheit, ossia la sovranità sui mass media tedeschi.

Vi possono essere, e abbiamo concrete evidenze che vi siano, obblighi verso gli USA che impongono all’Italia di restare inefficiente in determinati settori e di subire, nascondendolo all’opinione pubblica, prelievi di ricchezza e di altri assets da parte degli USA o di loro soggetti imprenditoriali.

Ad esempio, negli anni ’90 i governanti italiani – costretti o corrotti – hanno stipulato con primarie banche statunitensi contratti derivati IRS del tipo “banca vince se tassi calano” quando già era determinato che sarebbero calati; quindi l’Italia, il contribuente italiano, sta pagando centinaia di miliardi di perdite su questi contratti, e questi pagamenti chiaramente costituiscono la corresponsione di un tributo alla potenza vincitrice da parte del paese sconfitto e sottomesso. In appendice spiegherò in dettaglio queste porcate dei nostri politicanti sempre legittimati a farne di nuove, anche grazie all’”Europa”.

Altri esempi, altre manifestazioni di vincoli di subordinazione agli USA, sono l’acquisto dei costosissimi e difettosi F35 e la partecipazione anti-costituzionale a guerre di aggressione in Iraq, Afghanistan, Libia, contrarie agli interessi italiani, soprattutto l’ultima, ma enormemente utili, profittevoli, ai magnati del petrolio e degli armamenti d’oltre Atlantico. E non dimentichiamo che Enrico Mattei fu ucciso mentre, come presidente dell’ENI, disturbava il cartello petrolifero angloamericano.

L’indurre destabilizzazioni finanziarie, civili e politiche nei vari paesi della loro zona di influenza, a scopo di sottometterli e sfruttarne le risorse, è una prassi costante delle multinazionali americane, come ben illustrato e documentato da uno dei principali esecutori di questa, John Perkins, nel saggio Confessions of an Economic Hit Man, e in altri scritti e conferenze. In termini di morale comune, e anche nei termini morali applicati dagli USA agli altri paesi, gli USA, o meglio il loro establishment,  è uno stato-canaglia, anzi di gran lunga il massimo stato-canaglia del pianeta. Però la sua forza imperiale e il suo controllo dell’informazione gli consente di non apparire tale, in superficie.

Anche rispetto alla Germania risultano sussistere vincoli di subordinazione per l’Italia: il subire la sistematica violazione delle regole fiscali europee, il subire lo shopping delle sue aziende migliori, l’aver subito passivamente l’attacco ai btp per imporre il regime change nel 2011 con la leva dello spread, l’aver rinunciato a una vantaggiosa riforma su pressione di Kohl, come ho raccontato nel capitolo Storia di un tentativo del mio saggio Polli da spennare (Nexus 2008), riportato in appendice.

Ecco, questa è la doverosa premessa: i metodi di risoluzione del problema sono disponibili, ma bisogna prima verificare che all’Italia sia permesso di risolvere questi problemi e di uscire dalla crisi con questi metodi – verificare cioè che la crisi, anzi la recessione-stagnazione, assieme all’inefficienza nazionale, non sia voluta e imposta dall’estero, dai paesi amici e alleati, per fini abbastanza chiari di approfittamento e competizione. Dal 1981 in  poi, e particolarmente dal 2011 in poi, i governi italiani hanno inanellato una serie di operazioni a danno dell’Italia e a vantaggio di altri paesi e del settore bancario internazionale. Quindi l’ipotesi che vi siano vincoli e obblighi esteri di quel tipo è più che giustificata.

Se risulterà che ci sono e che non permettono le progettate riforme, allora è inutile insistere nel portarle avanti, mentre è utile concentrarsi sul montare una vasta campagna globale di informazione su quei vincoli, sulla loro dannosità, sulla loro iniquità, al fine di suscitare una reazione di scandalo e discreditamento mondiale degli USA come potenza globale e della Germania come potenza continentale, che faccia, se possibile – ripeto: se possibile-, saltare quei medesimi vincoli di subordinazione, cioè che costringa questi due paesi a rinunciare ad essi per poter mantenere una certa autorevolezza e legittimazione ai loro ruoli di potenza e policing.


 

APPENDICI

 

A-STORIA DI UN TENTATIVO

Un economista che ho frequentemente citato e che apprezzo particolarmente,

e tanto più quanto più lo conosco, anche sul piano umano, è

Antonino (Nino) Galloni, ex direttore generale del Ministero del Lavoro.

Con lui, fonte inesauribile di conoscenza anche dei meccanismi della

finanza pubblica, ho la fortuna di cooperare nell’impresa di elaborare

un piano di salvezza per questo paese in cui abbiamo avuto la ventura

di nascere.

Col suo aiuto, ho potuto ricostruire gli anni letali per l’indebitamento

dello stato italiano e per il sabotaggio dei tentativi di correggere la

traiettoria distruttiva della finanza pubblica. E come i poteri forti sono

intervenuti, attivamente, per impedire la soluzione che egli aveva avviata.

Questi poteri volevano la crisi finanziaria del paese. Erano i poteri

della grande finanza, quella che si arricchisce inducendo le recessioni

economiche per poter rastrellare ricchezze sotto costo.

Nel corso degli anni ‘80 – riferisce Galloni – sono state praticate le

scelte di politica economica e monetaria che hanno poi determinato gli

esiti propri del decennio successivo e dell’attuale:

nel 1982, si è proceduto all’eliminazione dei “vincoli di portafoglio”

delle banche che, imponendo a queste ultime l’acquisto dei titoli

del debito pubblico a bassissimo tasso di interesse, consentivano allo

Stato di approvvigionarsi di moneta senza stamparla ex novo e senza

far crescere in modo esponenziale il debito stesso, come accadrà in seguito

(per la cronaca, le banche – potendo utilizzare tali titoli, che devono

acquisire coattivamente, nelle loro riserve obbligatorie – ne trovano

un beneficio perché, diversamente, sarebbero state costrette a congelare

somme corrispondenti di denaro vero);

nel 1983, il cosiddetto divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia costrinse

lo Stato ad approvvigionarsi di moneta per finanziare i propri disavanzi

ricorrendo direttamente al “mercato” (ai singoli risparmiatori ed

alle banche come soggetti privati e, comunque, al tempo, già in corso di

completa privatizzazione);

a partire dal 1984 inizia l’espletamento di aste pubbliche – a cui

partecipavano solo le grandi banche – allo scopo di vendere (a tassi crescenti

di interesse) i titoli del debito pubblico per finanziare i disavanzi

con un sistema (le cosiddette aste marginali) che consentiva di applicare

a tutta l’emissione il prezzo più elevato dell’ultima, al limite piccola,

tranche di titoli che le banche stesse esitavano fino all’ultimo ad acquistare,

proprio allo scopo di far schizzare verso l’alto i rendimenti dati

dai tassi di interesse;

nel febbraio-marzo del 1985, il rendimento dei titoli del debito

pubblico italiano superava il costo del denaro per i migliori clienti (allora

si chiamava MLR, mininum lending rate) sicché, una bella mattina,

un illustre personaggio – ad esempio Gianni Agnelli presidente della

Fiat – poteva richiedere un prestito di 5.000 miliardi di lire alla propria

banca al 13,5% e comperare titoli di Stato che rendevano il 16,5% e,

quindi, guadagnare in una mezzoretta il 3% di 5000 miliardi, vale a dire

150 miliardi (per una fatalità del destino proprio quella mattina in cui

l’economista Nino Galloni denunciava su Repubblica la pericolosità di

una situazione del genere, il presidente della Fiat entrò nella sua banca

per compiere la citata operazione… quella strana coincidenza incuriosì

molto le autorità di polizia del tempo che cominciarono a controllare

più da vicino il citato economista, peraltro figlio di uno dei più noti

esponenti della Democrazia Cristiana al potere in quegli anni);

nello stesso 1985, incominciarono ad affluire nella pubblica amministrazionenetario Internazionale e della Banca Mondiale col compito di scalzare i

dirigenti dell’amministrazione stessa dalla redazione dei più importanti

documenti di politica economica del Paese (tra cui la “Relazione Previsionale

e Programmatica” che era l’antenato dell’attuale Documento di

Programmazione Economica e Finanziaria);

nel frattempo si era organizzato un certo dissenso verso le scelte

di politica economica e monetaria che stavano espropriando del tutto

la sovranità dello Stato, dando un’importanza decisiva alle grandi banche

di interesse nazionale (in via di privatizzazione spinta), mettendo

in crisi l’economia produttiva e l’occupazione con gli alti tassi di interesse,

bloccando gli investimenti pubblici in infrastrutture e ricerca,

riaprendo la forbice tra un Sud in ritardo e un Nord industrialmente più

avanti (oltre al professor Federico Caffè ed al suo allievo Paolo Leon si

potevano annoverare tra i critici alcuni politici come il leader di Forze

Nuove, Carlo Donat Cattin, ed il sottosegretario al Tesoro, Carlo Fracanzani,

che chiamerà a collaborare con sé l’economista Galloni il quale,

nel frattempo, aveva lasciato il Ministero del Bilancio per profondi

dissidi con i suoi Ministri ed aveva prodotto un documento in cui prevedeva,

nel giro di 4 o 5 anni, il raddoppio del debito pubblico e della

disoccupazione giovanile in Italia; anche nel PCI vi era una frangia di

ben preparati economisti che facevano capo al CESPE (il servizio studi

del partito) e che avrebbero dovuto dar seguito ad alcune iniziative

promosse – contro le scelte di politica economica e monetaria – dalla

sinistra DC, di cui era stato incaricato proprio Nino Galloni e che avevano

trovato una certa eco nei seminari da lui coordinati per la rivista

Itinerari – ad essi avevano preso parte i futuri nomi noti della politica e

dell’economia come Giulio Tremonti, Mario Draghi e Giuliano Amato

– e sulla rivista di Carlo Donat Cattin, Terza Fase; ma una perentoria

pressione dell’allora Governatore della Banca d’Italia, Carlo Azeglio

Ciampi, sul segretario del PCI Enrico Berlinguer sconsigliò quest’ultimo

partito dall’impegnarsi troppo nella battaglia, visto che tutti i figli

della nomenklatura di quel partito si stavano preparando alle future responsabilità nei servizi e centri studi delle banche; Galloni si era fatto

anche notare come consulente di Mario Schimberni che gli aveva chiesto

se fosse stata praticabile una politica monetaria diversa da quella

voluta dai vertici della Banca Centrale di allora: e Galloni non solo aveva

mostrato tale possibilità – suscitando le ire dei citati vertici – ma aveva,

nella stessa sede, messo in guardia dall’abbandonare acriticamente

i fondi pensione ai facili rendimenti delle obbligazioni come se non si

trattasse di fenomeni ciclici, ricorrenti, caratterizzati da continui boom

e cadute (The Economist, Sviluppo dei mercati dei capitali. La sfida dei

fondi pensione, special report 1986);

nella seconda parte degli anni ‘80, l’Italia fece parte dello SME

(sistema monetario europeo) che, grazie ai cambi fissi, poteva consentire

agli Stati più forti – come la Germania prima dell’unificazione – di

rafforzarsi non rivalutando il cambio e, quindi, riducendo i tassi di interesse,

con ciò rafforzando la propria produttività e l’occupazione; e,

agli Stati deboli – come ad esempio l’Italia – di indebolirsi ulteriormente

non potendo svalutare il cambio e, quindi, trovandosi costretti a far

crescere i tassi di interesse per attirare investimenti finanziari dall’estero,

così limitando la produzione e l’occupazione (era questa la critica di

Caffè, Leon e Galloni).

Non ci sarà quindi da stupirsi se, qualche anno dopo, lo SME imploderà

rovinosamente e l’economia internazionale rivedrà i propri meccanismi,

abbandonando gli alti tassi di interesse (rendimenti obbligazioni)

e tuffandosi nelle borse.

Ma torniamo al 1989, quando le previsioni dell’economista Galloni

trovano un tragico riscontro e una parte della stampa si muove a suo

favore: un articolo a firma Norma Rangeri (Il Manifesto) viene raccolto

da vari altri titoli e “questo oscuro funzionario che aveva previsto le

disastrose dinamiche del debito e della disoccupazione giovanile e che,

per questo, si era dovuto allontanare dall’amministrazione…” riceve

una qualche solidarietà da una classe dirigente dove ancora qualcuno

spera di poter difendere gli interessi nazionali.

Insomma, l’Italia, nella gerarchia internazionale, è sottoposta agli interessi americani innanzitutto, e poi a quelli tedeschi.

Nel 1989 Giulio Andreotti, incaricato di formare il nuovo governo,

scrive al giovane economista e gli propone di mettersi a disposizione

del suo braccio destro, incaricato di studiare una revisione di quelle

strategie di politica economica e monetaria che stavano portando il Paese

alla rovina, Paolo Cirino Pomicino.

Lo stesso Galloni consiglia a quest’ultimo di accettare l’incarico di

Ministro del Bilancio e ne diviene il principale consigliere.

Dopo l’estate del 1989, quindi, Galloni inizia a lavorare alla Relazione

Previsionale e Programmatica per il 1990: con essa intendeva

scardinare l’illogica e dannosa impostazione finanziaria della politica

economica italiana fino a quel momento. Vengono organizzati convegni

e conferenze; un Seminario alla Bocconi cui partecipa, oltre al Ministro

Pomicino, anche Mario Monti (molto critico e preoccupato non tanto

per le idee di Galloni, peraltro note perché vicine a quelle di Federico

Caffè e Paolo Leon, quanto per il credito che egli sembrava acquisire

presso alcuni ambienti politici e governativi democristiani, la cosiddetta

sinistra sociale di Donat Cattin, la parte contraria a De Mita nella sinistra

politica come Granelli e Bodrato e ora, addirittura, la componente

andreottiana…); Galloni compare come pericolo nazionale in articoli di

prima pagina su Repubblica: ad esempio, quello di Massimo Riva.

In poco tempo si scatena una pressione fortissima sul Ministro da parte

della Banca Centrale, della Fondazione Agnelli, della Confindustria

e, infine, da parte – nientemeno – del cancelliere Helmut Kohl finché

il Ministro del Tesoro, Guido Carli, chiede formalmente al collega la

estromissione dell’economista non-traditore Galloni. Il Ministro Pomicino

chiama il suo Consigliere (Capo della segreteria tecnica del Ministero

del Bilancio) e, con molta onestà, lo informa della situazione.

Galloni lascia l’amministrazione finanziaria per la seconda volta, col

grado di dirigente generale, e viene chiamato da Carlo Donat Cattin

(Ministro del Lavoro in quello stesso Governo Andreotti) a ricoprire

l’incarico di direttore dell’Osservatorio sul Mercato del lavoro. Ormai

è il 1990 e i giochi sono fatti. Caffè è scomparso, Galloni costretto a ripiegare, l’Italia colonizzata, il PCI un lontano ricordo, la DC pronta al prossimo suicidio, le grandi

banche privatizzate e la stessa Banca d’Italia non più pubblica, padrone

del campo.

Continua? Certo, continua. La saga della frode finanziaria endogena della politica

italiana sta continuando. L’ultimo grido è quello delle obbligazioni-truffa

comperate da diversi enti pubblici italiani, perlopiù comuni, i cui

sindaci, necessariamente, o sono incompetenti, o sono stati corrotti.

 


B – Sui contratti finanziari stipulati da autorità italiane per far guadagnare i banchieri USA e tedeschi a nostre spese, il nostro esperto finanziario dr Alessandro Govoni ha denunciato quanto segue alla magistratura inquirente italiana:

Il Tesoro dello Stato italiano , 900 enti locali italiani e numerose imprese pubbliche italiane hanno contratto derivati sul tasso con clausola killer banca vince se tasso cala e stanno perdendo centinaia di miliardi di euro dal 1992 , 

 

Si sono trovati a pagare oltre a interessi mediamente del 7%/8%  sul prestito sottostante, anche un differenziale sui derivati di altrettanti 7%/8% ogni anno dal 1992, , in  piu hanno già  pagato decine di miliardi di euro di  penali di estinzione anticipata (mark to market)  per uscire anzitempo dai contratti derivati. Tutti questi soldi sono stati incassati da 21 banche d’affari straniere,  che continueranno ad incassare sia i flussi periodici futuri del derivato ad ogni scadenza  di rata del sottostante prestito fino al 2030 ,   che le penali di estinzione anticipata nel caso Tesoro , enti locali ed imprese pubbliche decidessero di uscire anzitempo dai contratti derivati .

 

 

Se però l’Italia uscisse dall’euro, non sarebbe più sottoposta alla regole della Banca Centrale Europea (BCE) il cui scopo,  stabilito dallo Statuto BCE stesso,   è quello di mantenere il tasso d’inflazione sotto il 2% .

 

Se l’Italia uscisse dall’euro, Il tasso d’inflazione per l’italia non sarebbe più calcolato dall ‘EUROSTAT (l’ ufficio statistiche della BCE) che fino ad ora in modo artificioso lo ha calmierato al ribasso,  variando annualmente il peso dei beni energetici all ‘interno del paniere di spesa delle famiglie e azzerando già tre volte le basi Istat.

 

Uscendo l’Italia dall’euro , il tasso d’inflazione non sarà più vincolato ai calcoli artificiosi dell’Eurostat e sarà pertanto libero di attestarsi sui suoi valori reali , tra il 4% ed il 5% annuo .

E’ necessario allora conoscere come le entità monetarie costruiscono i  tassi in Europa dal 1992.

Il tasso d’inflazione più uno spread del  50% determina il TUR: se il tasso d’inflazione è il 4% , il TUR è il 6% . Prima , dal 1992 al 1998,  il tasso d’inflazione più lo spread del 50% determinava il tasso ufficiale di sconto (TUS) . TUS e TUR sono la stessa cosa , il TUS ha cambiato solo nome dal 1998 in TUR.  

 

IL TUS era il tasso a cui la banca centrale nazionale (Banca d’Italia ) ha  prestato dal 1992 al 1998 i soldi alle altre banche.

Il TUR è il tasso al quale la BCE dal 1998 presta i soldi alle banche area euro .

 

Il TUR più uno spread determina l’Euribor che è il tasso al quale le banche commerciali si prestano i soldi tra di loro .

 

L’Euribor più uno spread determina il tasso nominale che è il tasso a cui le banche commerciali prestano i soldi a famiglie , imprese, enti locali italiani..

 

Il tasso nominale è il tasso a cui le banche hanno piazzato derivati sul tasso  alla ignara clientela italiana (al Tesoro dello Stato italiano , ai 900 enti locali italiani,  a 100 mila tra  imprese pubbliche e private italiane)  . 

 

Non dimentichiamo che dal 1992 , precisamente dal 7 Febbraio 1992 (legge n. 82) , il tasso ufficiale di sconto (TUR) è variato in Italia dal Governatore di Bankitalia   che lo ha variato di sua mano e di sua autonoma iniziativa  sempre al ribasso portandolo dal 15% di settembre 1992 allo 0,05% di oggi . Sappiamo ora da maggio 2014 che gli azionisti occulti di Bankitalia spa sono una decina di hedge fund anglo americani e caucasici che controllano matematicamente al voto Bankitalia Spa (265 voti su 529) si presume sin dal 1992.

Le 21 banche d’affari straniere risultano partecipate con quote diverse sempre dalla stessa decina di hedge fund speculatori anglo- americani e caucasici di cui sopra..

 

Uscendo l’italia dall’euro,  il tasso sui derivati, non essendo il tasso d’inflazione più ancorato all’obbligo statutario della BCE di mantenerlo NOMINALMENTE (artificiosamente )  sotto il 2%,  inizierà pertanto a crescere,  portando lo Stato italiano a vincere in tutti i centinaia di miliardi di euro di  derivati sul tasso con clausola banca vince se tasso cala.

Il tasso nominale dei derivati si attesterà subito tra il 9%  ed il 10%  : le 21 banche d’affari straniere inizierebbero subito a perdere in quanto nei contratti derivati  è fissato un CAP  solitamente del  4% ossia un tasso oltre il quale  le 21 banche d’affari straniere inizierebbero a pagare lo Stato italiano risultando esse ora perdenti .

Lo Stato italiano,  una volta uscito all ‘euro,  inizierebbe pertanto ad incassare dalle 21 banche d’affari straniere un differenziale di tasso del (10% meno 4% = 6%) del 6% su circa 400 miliardi di euro di nozionale, ossia lo Stato italiano inizierebbe ad incassare dalle 21 banche d’affari straniere (400 miliardi per il 6% ) 24 miliardi di euro  all’anno fino al 2030 , piu le penali di estinzione anticipata se le 21 banche d’affari straniere volessero loro a questo punto uscire anzitempo dai contratti derivati , penali (mark to market) che le 21 banche d’affari dovrebbero pagare allo Stato italiano per uscire anzitempo dai contratti derivati e quantificabili  ad oggi in non meno di aggiuntivi 200 miliardi di euro .

 

L’altra ragione per cui è vitale per l’Italia uscire dall’euro è la stessa che ha spinto il Regno Unito ad uscire dalla parità con l’euro .

Ciò che i giornali mainstream  non dicono è che il Regno Unito ha avuto un enorme beneficio con la BREXIT : la sterlina si sta rapidamente svalutando e le 100 società multinazionali con sede a Londra  quotate all’indice di Londra “FTSE 100”  stanno esportando sempre più . Esse rappresentano la quasi totalità del PIL del Regno Unito.

 

L’effetto sarebbe identico per l’Italia, che adottando la lira potrebbe immediatamente svalutarla rispetto all’euro e così verrebbe dato un enorme slancio alle esportazioni italiane .

 


Il terzo motivo è che uscendo dall’euro le quote capitali incassate dalle banche dei mutui creati in Italia con un click elettronico dal 1992, potrebbero essere tassate dallo Stato italiano in capo agli hedge fund azionisti occulti delle maggiori banche italiane . Essendo circa 1700 miliardi di euro i mutui creati con click elettronico in Italia dal 1992, lo Stato italiano potrebbe tassare la decina di hedge fund anglo- americani e caucasici, azionisti occulti delle maggiori banche italiane,  del 32% tra IRES ed Irap ossia lo Stato Italiano potrebbe tassare questi hedge fund che ora con vendite allo scoperto si stanno mangiando le banche italiane stesse,  potrebbe tassarli  per 1700 miliardi di euro per il 32% , potrebbe, uscendo dall’euro ,  far pagare loro tasse per circa 400 miliardi di euro .

 

Non saranno questi i motivi per cui Stati Uniti  e Regno Unito stanno spingendo perche gli Stati dell’area euro sottoscrivano il TTIP, forse per sottrarre alla Magistratura italiana, con la conseguente creazione di Tribunali internazionali privati, la competenza in procedure civili e penali in tema di derivati sul tasso con clausola killer banca vince se tasso cala ed in tema di ipotizzata  elusione fiscale delle quote capitali insita quest’ultima nella illegittima creazione elettronica dei mutui,  perpetrata in Italia dal 1992?

 

Non saranno forse questi i motivi per cui per nessun motivo al mondo Stati Uniti , Regno Unito e Germania vorrebbero che l’Italia uscisse dall’euro?

Non dimentichiamo che gran parte dei derivati sul tasso con clausola killer banca vince se tasso cala li hanno piazzati  in Italia Deutsche Bank, Morgan Stanley , Merryl Linch,   Barclays  ….. che quindi se l’Italia uscisse dall’euro,  inizierebbero a perdere centinaia di miliardi di euro .

 

Ma se dovesse accadere , se dovesse accadere  che l’Italia uscisse dall’euro,  queste banche d’affari troverebbero il modo per estinguere i contratti derivati per non pagare alcunchè allo Stato italiano.  La Magistratura italiana allora potrebbe intervenire per obbligare le banche d’affari straniere a mantenere in vita i contratti visto che ora sarebbe lo Stato italiano, usciti dall’euro,  che inizierebbe a guadagnare .

 

Sarebbe forse questo il motivo per cui Stati Uniti , Regno Unito e Germania premono che il TTIP venga approvato : per togliere alla Magistratura italiana ogni competenza in tema di derivati.

 

Procure come quella di Trani , di Milano, …. che stanno indagando in tema di derivati sono sempre piu scomode e potrebbero risultarlo ancora di più se l’Italia  uscisse dall’euro .

 


Dal materiare reperito sul web in tema di indagini condotte dalla Procura ,  secondo l’Audizione  della commissario dott.ssa Scozzese nel 2015 e secondo la relazione alla Camera nel 2014 del Commissario Straordinario dr Varazzani, si rileva  che nel 2002  inspiegabilmente il  Comune di Roma ha chiuso dei contratti derivati “buoni” , derivati in cui ossia il Comune di Roma già stava guadagnando  ed avrebbe continuato a guadagnare  anche in futuro dal differenziale fisso- variabile,  essendo derivati del tipo “banca perde se tasso cala” . Il tasso ufficiale di sconto (denominato anche  tasso di rifinanziamento -tasso a cui la banca centrale presta i soldi alle banche commerciali-tasso a cui i derivati sono legati ) ha continuato a scendere dal 2001 ,  dal 4,75% ad oggi che è lo 0,05%.

Poiché l’Euribor è dato dal tasso di rifinanziamento più il 50% , oggi il Comune di Roma vincerebbe circa il 7,5% se avesse mantenuto in vita quei contratti derivati cd  buoni  che gli avrebbero permesso  anzi di guadagnare circa un 2% rispetto al tasso del 5,345% che paga sul BOND da 1,4 miliardi di euro emesso nel 2003.

Inspiegabilmente il Comune di Roma estingue nel 2002 questi derivati cd buoni per stipulare  nel 2003 n. 9 derivati di senso opposto  ossia con clausola- killer banca vince se tasso cala.

Inspiegabilmente ma non troppo inspiegabilmente,  se non si sapesse a seguito di rilievi eseguiti nel Maggio del 2014 (gia posti all’attenzione di alcune Procure ) che il tasso è manipolato a comando  dagli azionisti  occulti di Bankitalia Spa che sono gli stessi identici soggetti che hanno piazzato i derivati al Comune di Roma ed ad altri 900 enti locali italiani ed al Tesoro dello Stato. Azionisti occulti che sono interposte persone fisiche in realtà studi legali (Cardarelli Angelo in Unicredit e Trevisan Giulio in Intesa ) che rappresentano 1991 banche straniere in realtà concentrate in una decina di hedge fund anglo-americani e caucasici (vanguard , state street, northern trust, blackrock, black stone , fidelity , jp Morgan, Bnp paribas,..).

 

La perdita subita dal Comune di Roma nel periodo 2003-2007 sui 9  derivati del tipo banca vince se tasso cala è stata devastante sia in termine di flussi pagati dal Comune nel periodo 2003-2007 che di mark to market pagati dal Comune di Roma per uscire anzi tempo dai contratti derivati .

 

Nel 2003 i nove contratti derivati prevedono un up-front complessivo di 1,4 miliardi di euro ossia il Comune riceve subito complessivamente 1,4 mld di euro con cui estingue mutui preesistenti  per altrettanti 1,4 mld di euro . Per restituire questo prestito iniziale complessivo,  il Comune è costretto ad emettere nel 2003 un bond da 1,4 mld  a tasso fisso con scadenza nel 2033 poi allungato nella scadenza fino al 2048. I nove contratti derivati sono andati ad estinguere  con l’up front mutui a tasso fisso , per cui tutte e nove i contratti derivati sono nulli in quanto prevedono tutti una clausola di trasformazione del tasso da fisso e variabile , sono nulli in quanto il tasso del sottostante (i mutui )  era già fisso, non necessitava pertanto contrarre derivati . E ‘ noto che lo scopo del derivato deve essere soltanto quello di trasformare un tasso variabile in  tasso  fisso  per avere certezza di costo , ma se il tasso è gia fisso ovviamente non bisogna trasformarlo in variabile perche altrimenti si espone il Comune ad un alea che è impedita sia dallo statuto comunale che dalla normativa.

 

La giurisprudenza è univoca nell’aver statuito che il contratto derivato sia nullo se il sottostante mutuo è già a tasso fisso ed il contratto derivato prevede invece una clausola che trasforma il tasso fisso del sottostante mutuo in variabile , creando un alea che all’ente locale è impedita sia dallo Statuto comunale che dalla normativa  che prevede che il Comune possa stipulare contratti che controllano il debito e non che lo sottopongano ad un alea data da un tasso trasformato in tasso variabile  ed ad un alea data dal pagamento ad una certa data futura anche di un  mark to market che è un sorta di penale di estinzione anticipata derivante dall’attualizzazione dei flussi futuri .

 

La mossa del Comune di trasformare il tasso fisso in tasso variabile sarebbe stata comprensibile se il Comune pagando sui mutui un tasso fisso del 5,3% e sperando in una diminuzione futura dei tassi , avesse voluto usufruire di un eventuale ribasso dei tassi  e pertanto avesse deciso per usufruire di questo ipotetico ribasso futuro dei tassi , di trasformare il tasso fisso del mutuo  in tasso variabile . E la scelta del Comune di Roma in effetti si sarebbe dimostrata vincente se  i contratti derivati dal comune sottoscritti  non contenessero una clausola cd killer  che impedisce al Comune di vincere in caso di ribasso dei tassi , clausola killer banca vince che tasso cala che invece fa vincere la banca e pertanto contestualmente fa perdere il Comune che si trova oggi a  pagare  ad ogni scadenza rata dei mutuo oltre alla quota interessi del mutuo al tasso fisso del 5,3% anche un differenziale tasso fisso-variabile  del 5,2% (essendo il TUR oggi anno 2016 lo 0,05% )  per un totale che paga oggi il Comune del 10,5%

 

Il CIty Manager se avesse  voluto fare gli interessi del Comune di Roma avrebbe dovuto semplicemente nel 2003 estinguere i mutui a tasso fisso del  5,3% e contrarre NUOVI MUTUI a tasso variabile . Oggi il Comune di Roma si troverebbe  a pagare un tasso variabile inferiore al’1% e nessuna penale di estinzione anticipata che oggi il Comune deve invece pagare in aggiunta o ha gia pagato in aggiunta per uscire anzitempo dai contratti derivati .

Ma non è finita . Il Comune fa di più. Il bond avrebbe dovuto essere rimborsato a scadenza nel 2048 ed il Comune avrebbe dovuto al massimo pagare gli interessi dal 2003 al 2048. Invece il Comune fa di piu, anche sul bond contrae quattro derivati sul tasso con clausola killer  del tipo banca vince se tasso cala . Anche questi quattro derivati sono nulli in quanto essi prevedono la trasformazione del tasso fisso del BOND  sottostante in tasso variabile , ma il tasso del sottostante ( il bond ) è già fisso , non c’era bisogno di trasformarlo in variabile .

 

Anche i quattro derivati  sui  bond hanno pertanto generato una perdita aggiuntiva in termini di flussi negativi pagati dal Comune di Roma dal 2003   e mark to market pagato per uscire nel 2011  dai contratti derivati sul bond, perdita che si è aggiunta agli interessi al tasso fisso pagati sul bond .

 

Ma non è finita qui . Il Comune nel piano di rimborso  del BOND che avrebbe dovuto prevedere il pagamento di quote di interesse periodiche ed il rimborso del capitale in unica scadenza nel 2048 , decide di restituire anche delle quote capitali periodiche che pero confluiscono in un fondo di proprietà della banca,  soldi del Comune quindi che  la banca investe , così sottoponendo il Comune di Roma ad un’altra alea , ossia che i denari  del fondo siano mal investiti dalla banca , col rischio pertanto che nel 2048 il capitale accumulatosi nel fondo non sia sufficiente per restituire i 1,4 miliardi di quota capitale del bond  nel 2048.

Tutta l’operazione in derivati contratta dal Comune di Roma appare estremamente truffaldina ed ha provocato un grave dissesto alla casse di Roma ad esclusivo vantaggio delle banche straniere che hanno confezionato queste trappole infernali,  dove il Comune di Roma ha avuto dal 2003 zero possibilità di vincere nella scommessa insita nei 13 derivati sottoscritti

 

In allegato copia del derivato sul bond da 1,4 miliardi di euro , da cui,  è auto-evidente  e lo sarebbe anche per un alunno delle scuole elementari essendo  i segni di inferiore (< ) e superiore( >) già parte del suo bagaglio conoscitivo ,   come  il  Comune di Roma paghi e pertanto abbia pagato sempre sul derivato, sia quando ossia il tasso è inferiore ed è stato inferiore al tasso definito top side (C. di Roma paga  se Euribor   < top side) , sia quando è superiore  o uguale al tasso top side ((C. di Roma paga se Euribor  > = top side)  , ossia il Comune di Roma con questo contratto derivato era destinato già alla stipula a pagare sempre ,  nel 100 % dei casi, ZERO possibilità già alla stipula di vincere la scommessa insita nel contratto derivato , vedendosi pertanto Il Comune di Roma addebitare  sul proprio conto corrente oltre agli interessi sul bond,  anche i flussi sul derivato.,  oltre che Il Comune vedersi addebitare sul proprio  conto corrente i mark to market pagati quando il Comune è uscito anzitempo  dai  quattro contratti derivati stipulati sui bond .

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Nell’ audizione della d.ssa Scozzese si rileva che nel periodo 2010-2015 alla voce “Debito finanziario  per quote interessi” sono iscritti 32 miliardi  (31,94 mld ) di euro, con una media di circa 5,5 miliardi di euro di interessi addebitati al Comune di Roma per anno  dal 2010 al 2015 . Si presume che in questa voce sia compresa anche la perdita subita dal Comune di Roma in derivati. Non sono compresi i mark to market che il Comune deve pagare sui due contratti derivati rimasti ancora aperti e che se fosse uscito dai codesti contratti nel 2015 sarebbero ammontati a 32 milioni di euro che il Comune avrebbe ossia dovuto pagare alla banca , in aggiunta a quanto già pagato in termini di flussi periodici ed in termini di commissioni all’advisor ossia alla banca stessa che ha confezionato il derivato .

 

Nell’audizione  della d.ssa Scozzese non viene fatta menzione alcuna degli interessi addebitati al Comune di Roma nel periodo dal 2003 al 2009. periodo in cui i derivati hanno prodotto le maggiori perdite. Un mistero anche per il commissario in tutta evidenza.

 

Nella Relazione e nell’audizione non viene effettuata menzione alcuna sulla “bontà” dei derivati sottoscritti dal Comune di Roma, sul grado di loro convenienza economica per il Comune di Roma del tipo dal presente scritto espressa , nessun giudizio di adeguatezza di tali strumenti alle esigenze statutarie del Comune, nessun giudizio sul rispetto della normativa degli enti locali (TUEL), nessun  giudizio sul rispetto  della Legge Tremonti del 2001 .

 

La L. Tremonti n. 448/2001  imponeva la stipula al massimo di swap con rimborso unico alla scadenza che è uno schema tipico dei derivati in valuta ( finanziamenti piazzati all’ignara clientela in marchi tedeschi nel 1992, in yen giapponesi nel 2008, in franchi svizzeri nel 2015 , ossia finanziamenti nella nuova moneta rifugio destinata ad apprezzarsi e pertanto ad arrecare un danno grave al mutuatario nel successivo swap nella valuta  nel giorno del rimborso unico a scadenza) e non  dei derivati sul tasso (IRS)  che invece prevedono uno swap ad ogni variazione periodica di tasso .

 

Il Comune di Roma ha contratto dal  2001 solo IRS (Interest Rate Swap) ossia solo derivati sul tasso contravvenendo al disposto della L. Tremonti ( L. 448 del 2001 co. 1 e 2 : “Gli enti di cui al comma 1 possono emettere titoli obbligazionari e contrarre mutui con rimborso del capitale in unica soluzione alla scadenza, previa costituzione, al momento dell’emissione o dell’accensione, di un fondo di ammortamento del debito, o previa conclusione di  swap per l’ammortamento del debito …”.). Lo swap deve essere aderente al sottostante (titoli obbligazionari e mutui con rimborso del capitale in unica soluzione alla scadenza), anche lo swap avrebbe ossia dovuto pertanto prevedere,  secondo il disposto della  L. Tremonti,  un rimborso unico alla scadenza , lo schema contrattuale tipico quindi dei derivati in valuta o non degli IRS , diversamente il contratto derivato è nullo.

 

Per la relazione il Commissario Straordinario ha percepito una parcella di 11 milioni di euro, pagata dal Comune. Così denuncia Govoni. E poi ci dicono che la colpa del malandare italiano è degli evasori fiscali…

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