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21.10.2016

 

Si possono truccare le elezioni USA come dice Trump? I casi del 1876 e del 2000

di Giovanni De Mizio

 

Nel corso del terzo e ultimo dibattito fra i maggiori candidati alla presidenza degli Stati Uniti (vinto da Hillary Clinton per suicidio dell'avversario) Donald Trump ha affermato di non voler dichiarare se accetterà l'esito delle elezioni del prossimo 8 novembre nel caso in cui dovesse risultare sconfitto. In seguito la sua campagna ha ricordato che anche Al Gore, nel 2000, ha fatto lo stesso, rifiutandosi di concedere la vittoria all’avversario, George W. Bush, facendo aleggiare lo spettro di una lunga battaglia che non renderà facile la transizione fra Barack Obama e il suo successore.

Si tratta di una dichiarazione piuttosto grave se si considera che il candidato repubblicano ha più volte dichiarato che si tratta di un'elezione truccata per favorire la candidata democratica Hillary Clinton, galvanizzando i suoi già polarizzati sostenitori, che potrebbero essere pronti a protestare contro l’esito delle elezioni dell’8 novembre. Tuttavia tutte queste dichiarazioni non stanno in piedi, truccare le elezioni negli USA è molto difficile e, come vedremo, anche la brutta storia delle elezioni del 2000 è profondamente diversa rispetto a quella di quest’anno (che è ancora più brutta).

Secondo Trump da un lato i mass media e gli altri poteri forti sono in larga maggioranza schierati con Clinton, mentre dall'altro lato vi sarebbero effettivi brogli elettorali volti ad impedire la sua vittoria. Per quanto riguarda la prima affermazione, si può ritenere che Trump dica una cosa del genere perché i giornali hanno ripetutamente e senza sosta sottoposto a fact-checking ogni affermazione del candidato, come avviene da tempo per ogni elezione e per ogni candidato.

Il problema di Trump è che egli fa spesso affermazioni roboanti, imprecise o semplicemente false che costringono anche i mass media che potrebbero schierarsi dalla sua parte, come Fox News, ad evidenziare l'inesattezza  di tali informazioni. Ne è un esempio lo stesso moderatore del terzo dibattito presidenziale, Chris Wallace, che durante un dibattito tra i candidati repubblicani ha esplicitamente e con estrema facilità smentito i numeri forniti da Trump riguardo una sua politica economica.

Per quanto riguarda la questione dei brogli elettorali, il problema diventa più grave, perché Trump in questo modo mina alle fondamenta la democrazia degli Stati Uniti, uno dei prodotti di cui anche i conservatori più estremi sono più fieri. Fortunatamente per i cittadini statunitensi, però, truccare un’elezione presidenziale negli Stati Uniti è oltremodo complicato.

 

COME SI ELEGGE UN PRESIDENTE

Negli Stati Uniti il presidente non è eletto direttamente dai cittadini, bensì indirettamente attraverso i cosiddetti Grandi Elettori. Con eccezione di Maine e Nebraska, ogni Stato degli Stati Uniti, più il Distretto di Columbia, assegna un certo numero di Grandi Elettori in base alla popolazione dello Stato al candidato che riceve il maggior numero di voti in tale stato.

Le operazioni di voto sono controllate minuziosamente dai rappresentanti dei maggiori partiti degli Stati Uniti, e le autorità politiche locali (che potrebbero effettivamente essere di parte) hanno, in generale, scarso potere di indirizzare le elezioni presidenziali da una parte o dall'altra (escludendo, ovviamente, metodi assolutamente leciti, come fare campagna elettorale per quel candidato, come fa anche il Presidente stesso).

Per esempio non può avvenire il cosiddetto Gerrymandering, ovvero la creazione di distretti elettorali in modo tale da favorire un certo candidato, pratica giudicata legale ma assai controversa: i confini degli Stati sono disegnati da tempo, e il presidente viene eletto Stato per Stato, per cui il metodo elettorale è, a grandi linee, abbastanza semplice da descrivere.

Chi prende più voti nello Stato vince tutti i suoi Grandi Elettori: è sufficiente contare le schede, procedura ritualizzata e sorvegliata dai rappresentanti di partito, per arrivare ad annunciare il vincitore. Chi vince più Grandi Elettori vince la Casa Bianca. Per tale ragione un candidato alla presidenza può arrivare alla Casa Bianca anche senza avere i voti della maggioranza degli elettori che si sono presentati alle urne.

 

La possibilità che vi siano brogli su vasta scala è abbastanza remota, come nella maggior parte delle democrazia mature. Le accuse di brogli elettorali provengono solitamente dalle false democrazie in cui il partito al potere, pur concedendo “libere” elezioni, fa in modo che esse siano pilotate per mantenere sé stesso al potere. Di solito sono i rappresentanti delle opposizioni di Paesi dispotici a fare accuse simili a quelle fatte da Trump. Farle negli Stati Uniti rappresenta uno scandalo anche per molti conservatori, perché significa dire che gli Stati Uniti non sono la grande democrazia che ritengono essere (ma va considerato che lo slogan di Trump, in effetti, è “Make America Great Again”: rendere l’America di nuovo grande). Si tratta, è evidente, di una dichiarazione molto grave sia a livello interno che verso l’esterno, perché esaspera le debolezze della potenza americana.

 

I “PRECEDENTI” DEL 1876...

 

Un'illustrazione sul compromesso del 1877 che chiuse la crisi costituzionale seguita alle elezioni del 1876. I sostenitori (democratici) di Tilden, che ritenevano vittorioso il proprio candidato, minacciarono sconvolgimenti se l'elezione fosse andata ai repubblicani con lo slogan "Tilden o sangue"  

 

La situazione in cui un presidente è eletto senza ricevere la maggioranza del voto popolare è avvenuta quattro volte nel corso della storia degli Stati Uniti d'America: nel 1876, nel 1888, nel 2000, e, seppure per motivi diversi, nel 1824 (che è ad oggi l’unico caso in cui il presidente fu scelto dalla Camera dei Rappresentanti). Il caso più celebre è certamente quello del 2000, che vide contrapposti George Bush e Al Gore, ma quello in cui ci furono vere e proprie accuse (fondate) di frode e minacce di violenza fu quello del 1876. Ma erano altri tempi e, soprattutto, in entrambi i casi la transizione da un presidente all’altro fu pacifica.

Nel 1876 i candidati erano Rutherford B. Hayes e Samuel J. Tilden, un repubblicano e un democratico. Erano gli anni successivi alla Guerra Civile, terminata nel 1865, e si trattò della prima elezione ad essere effettivamente in bilico: nel 1868 Ulysses S. Grant, vittorioso generale della Guerra Civile, vinse con largo margine anche nel Sud (grazie al sostegno, per esempio, degli schiavi liberati dopo la Guerra Civile), e fu rieletto nel 1872, anche se con margine ridotto, favorito dall’iniziale spaccatura dei suoi avversari e dal fatto che gli Stati del Sud sconfitti durante la guerra erano sostanzialmente sotto il controllo degli alleati dei nordisti (sia politicamente, attraverso i cosiddetti carpetbaggers, ovvero gente del Nord trasferitasi al Sud dopo la guerra, sia militarmente, per via della presenza di truppe dell’esercito regolare).

 

Una vignetta sui carpetbagger: il Ku Klux Klan, gruppo suprematista bianco, minaccia di linciare i carpetbagger (quello a sinistra, che, come si legge dalla valigia, proviene dall'Ohio, uno stato del Nord) e gli scalawag, ovvero i bianchi del sud che sostennero i nordisti dopo la Guerra Civile, se il candidato repubblicano Grant, che aveva vinto le elezioni del 1868, avesse giurato come presidente.  

 

Nel 1876 ci furono molte accuse di brogli negli ultimi tre Stati ancora sotto il controllo dei carpetbaggers, Florida, Carolina del Sud e Louisiana, che assegnavano insieme un numero di Grandi Elettori sufficiente a ribaltare il risultato elettorale (19). In quegli Stati il voto popolare andò a Tilden (che aveva 184 Grandi Elettori contro i 166 di Hayes), ma in un clima di violenza che intimidì moltissimo i repubblicani. D’altro canto anche i repubblicani non giocarono pulito: per esempio, per aiutare gli elettori analfabeti misero sulla scheda elettorale un’immagine di Abraham Lincoln, il presidente repubblicano che vinse la Guerra Civile e liberò gli schiavi del Sud, rubando così elettori democratici che pensavano di votare per Tilden.

Con entrambi i candidati che reclamavano quei Grandi Elettori fu istituita una Commissione Elettorale ad hoc che decidesse a chi dovessero andare i voti di quei tre Stati. Fu una decisione facile: nove membri della commissione erano repubblicani contro gli otto democratici, per cui vinse Hayes per 185 a 184. Tuttavia i Democratici minacciarono di bloccare la nomina del Presidente durante il conteggio dei voti al Congresso (che doveva entrare in carica entro il 5 marzo, e nel frattempo si era arrivati nel mese di febbraio), lasciando così il Paese senza una guida alla scadenza del mandato di Grant.

Si raggiunse un compromesso informale: i Democratici avrebbero accettato l’esito dell’elezione, ma i Repubblicani avrebbero ritirato le truppe dagli ultimi stati del Sud che ancora controllavano dopo la Guerra, avrebbero accolto i Democratici nel governo e avrebbero spinto la ricostruzione delle infrastrutture nel Sud. Hayes fu eletto presidente senza problemi e mantenne quasi tutte le promesse (le ferrovie del Sud ci avrebbero messo ancora un po’ per riprendersi, nonostante le promesse di ricostruzione).

La cosa più importante di questa elezione (e di fondamentale importanza per i secoli successivi) fu la necessità di introdurre disposizioni che rendessero esplicito a chi spettasse dichiarare il vincitore in un singolo Stato, e questo avvenne con l’Electoral Count Act (ECA) del 1887. Mentre prima erano pochi gli Stati ad avere procedure statali che certificassero l’esito del voto e parte del processo di elezione presidenziale era demandato a procedimenti di common law (più “aleatori”) con forti possibilità di intervento del governo centrale (come avvenne nel 1876, ma anche prima), con l’ECA si decise che l’ultima parola sarebbe spettata ai singoli Stati, soprattutto del governatore dello Stato che avrebbe firmato i certificati che riportavano la scelta dei Grandi Elettori.

Il governo centrale (il Parlamento, nella fattispecie) può andare contro tale decisione solo attraverso un voto durante la conta dei certificati. In altre parole, prima dell’ECA le Camere del Governo Centrale potevano escludere dei voti dal conteggio se c’erano dispute sul risultato (e questo era più facile se le Camere avevano maggioranze diverse): è ciò che avvenne nel 1876, appunto. Dopo l’ECA venne istituita una procedura in base alla quale erano gli Stati a decidere se i voti erano validi, e il Congresso poteva andare contro questa decisione solo con voto favorevole in entrambe le Camere. In questo modo, insieme ad altri interventi, le procedure di voto furono rese più pulite e meno soggette a contestazioni, ed in caso di brogli su vasta scala esisteva adesso almeno una struttura di intervento che soddisfacesse entrambe le parti.

 

...E DEL 2000

Le elezioni filarono abbastanza lisce per lungo tempo e le contestazioni furono piuttosto blande per proteggere il metodo democratico. Nel 1960, per esempio, Richard Nixon decise di accettare l'esito delle elezioni nonostante vi fossero sospetti di illegalità in 11 stati (Texas e Louisiana in particolare) e vi fossero appena 113000 voti di scarto fra lui e John Fitzgerald Kennedy.

Nel 2000, invece, ci fu una vera e propria crisi. In quell’anno Al Gore si assicurò il voto popolare con uno scarto di appena lo 0,5 % dei voti, ma perse la Casa Bianca dopo grandi contestazioni sul voto della Florida.

Durante la notte elettorale la Florida passò di mano più volte: all’inizio fu assegnata a Gore, poi a Bush. Gore chiamò Bush per concedergli la vittoria, ma in seguito la Florida fu dichiarata “too close to call” e Gore ritirò la sua concessione. Lo scarto fra i due candidati era davvero minuscolo, per questo furono ordinati dei riconteggi automatici a macchina (come avviene di solito in molti stati se lo scarto fra i candidati era inferiore di mezzo punto percentuale, e in questo caso era molto più piccolo).

Tuttavia non ci furono accuse di brogli: il problema, secondo Gore, era nel metodo con il quale venivano contati i voti, che secondo lui erano stati contati male dalle macchine, mentre lui voleva che fossero contati a mano (com'era suo diritto chiedere in base alle leggi della Florida). I democratici, in particolare, contestavano che le schede elettorali fornite agli elettori in alcune contee fossero disegnate in modo tale da sfavorire il candidato democratico (come si può vedere nell'immagine sotto) o, comunque, che le macchine utilizzate per conteggiare i voti non riconoscessero correttamente il voto espresso (il voto, ad esempio, veniva espresso bucando la scheda elettorale, e la macchina poteva non leggere un voto valido se il buco non fosse largo a sufficienza). In altri casi le schede erano bucate in più punti, ma il nome del candidato era stato inserito a mano: secondo Gore questi erano voti validi, e gli avrebbero assegnato la vittoria.

 

Ne nacque una battaglia giudiziaria che portò i tribunali e la Corte suprema della Florida (a maggioranza democratica) ad ordinare diversi riconteggi delle schede elettorali: in alcuni casi, per esempio, i seggi dichiararono di non essere in grado di contare i voti entro la scadenza prevista (14 novembre); era discrezione dei commissari elettorali decidere se accettare o meno i riconteggi dei "ritardatari", e alcuni (repubblicani, in particolare) dissero di no, innescando ulteriori ricorsi democratici (sempre favoriti dal fatto che la Corte Suprema dello Stato era a maggioranza democratica). Quando la Corte disse che la scadenza poteva essere spostata, i funzionari elettorali dissero che il tempo non era comunque sufficiente, scatenando ulteriori ricorsi da parte di Gore.

Va ribadito che questo era un diritto di Al Gore e di tutti i candidati alla presidenza: i funzionari elettorali possono essere trascinati in giudizio se si ritiene che non abbiano rispettato le regole (che in molti casi avevano stabilito essi stessi) proprio per fermare ogni possibile broglio elettorale.

Bush rispose con una mossa che andava contro lo spirito dell'ECA: superare l'autorità statale per rivolgersi a quelle federali, nella fattispecie la Corte Suprema degli Stati Uniti (a maggioranza repubblicana). Si tratta di una mossa controversa perché si interveniva a livello federale su una materia che si riteneva appannaggio statale (e per molti repubblicani lo Stato centrale dovrebbe impicciarsi poco degli affari interni dei singoli Stati). «Volete essere ideologicamente puri o volete vincere?» erano parole che girarono all'epoca negli ambienti del GOP.

A oltre un mese dalle elezioni, con i conteggi fatti a macchina che favorivano Bush e con Al Gore che continuava a fare ricorsi perché venissero effettuati per i conteggi a mano, arrivò una sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti che fermò il processo di riconteggio e assegnò la vittoria a George Bush per appena 537 voti, ovvero con uno scarto di solo lo 0,01%. Gore avrebbe potuto continuare con i ricorsi statali per chiedere il rispetto della stessa sentenza della Corte Suprema (a suo favore), ma decise di arrendersi per evitare una crisi costituzionale con un discorso che Trump non avrà mai il coraggio di fare.

Ancora oggi non è possibile dire quale sia stata l’intenzione del popolo della Florida, visto che, considerato il piccolissimo scarto e l’intricata scheda elettorale, a seconda dell’interpretazione delle norme si ha un totale diverso. Ciononostante Gore si ritirò poco dopo dalla corsa, riconoscendo la decisione della Corte Suprema e quindi la vittoria di George Bush.

Durante le procedure di conteggio stabilite dall’ECA ci furono contestazioni al Congresso riunito in seduta comune, perché il voto della Florida non era stato presentato secondo quanto stabilito dalla legge. A presiedere la seduta era il Presidente del Senato, ovvero il vicepresidente degli Stati Uniti, ovvero proprio Al Gore: questi respinse le obiezioni perché erano state avanzate solo da membri della Camera dei Rappresentanti e non anche, come richiesto, da almeno un membro del Senato. In ogni caso, la Camera dei Rappresentanti era controllata dai repubblicani, e questi non avrebbero dato corda a tali obiezioni: ogni resistenza di Gore sarebbe stata comunque inutile, e questi continuò ad accettare il risultato elettorale come stabilito nelle settimane precedenti.

L'orgoglio statunitense della pacifica transizione del potere da un presidente all'altro era salvo.

 

I BROGLI SONO UN’EVENTUALITÀ REMOTA. MA...

 

 

Come abbiamo visto, le elezioni negli Stati Uniti sono fortemente ritualizzate e controllate e, per quanto ci siano ancora possibilità teoriche che si arrivi ad una crisi costituzionale, è improbabile che le elezioni vengano truccate.

I candidati, in particolare, possono chiedere riconteggi nel caso in cui lo scarto sia minimo (di solito sotto lo 0,5%). Inoltre è loro permesso portare in giudizio i funzionari statali incaricati delle operazioni elettorali nel caso in cui essi non abbiano seguito le procedure prescritta per legge. Rispetto al 2000, inoltre, sono stati introdotti cambiamenti che hanno reso più facile stabilire se un voto è stato assegnato a questo o quel candidato per limitare nuovi casi Florida.

Le uniche contestazioni al voto sono avvenute nelle circostanze in cui la distanza fra i due candidati era davvero minima: ci furono, per esempio, contestazioni sull'assegnazione dell'Ohio a Obama nel 2012, ma quando Obama vinse Colorado e Nevada, rendendo irrilevanti gli altri swing states come Ohio e Florida, il repubblicano Romney concesse la vittoria. A rendere incerta quella notte elettorale fu la sicurezza, da parte della campagna di Romney, della propria vittoria: i sondaggi in mano ai repubblicani li vedevano vittoriosi, tant'è che Romney non aveva neppure preparato il concession speech, il discorso di concessione.

Sono poche le combinazioni che potrebbero dare forza alle obiezioni di Trump: sondaggi in bilico o a lui favorevoli (e non è questo il caso); chiare evidenze di grossi brogli elettorali (impossibili in una democrazia matura come quella USA); un'elezione tirata fino all'ultimo voto. Questo è l’unico caso in cui Trump può decidere di non accettare la sconfitta la notte delle elezioni, come avvenuto sedici anni fa. Il caso della Florida nel 2000, in particolare, fu al limite, perché si trattava di uno stato decisivo (chi vinceva lì vinceva tutto) e si decideva il destino di una nazione per pochissimi voti.

In tutti i casi in cui non c'è stata concession la notte del voto, il candidato sconfitto ha comunque accettato la decisione dei tribunali una volta esaurite le vie legali a sua disposizione (nel 1876 dopo un compromesso extra-elettorale, ma erano altri tempi, come abbiamo visto). I sospetti di brogli, che comunque sono abbastanza comuni in una società litigiosa come quella statunitense, sono sempre stati irrilevanti, con esclusione di momenti estremamente drammatici, come nel 1876, quando, va ribadito, fu trovata una soluzione politica che permise una pacifica transizione del potere.

 

La posizione di Trump, invece, è particolarmente grave, perché ha lasciato il dubbio che lui possa non riconoscere il voto delle urne ancora prima che l’elezione sia terminata, mettendo quindi in dubbio il procedimento elettorale nelle sue basi come ritualizzato in secoli di storia. In questo modo si prepara ad una sconfitta (probabile, in base agli ultimi sondaggi) creando una grossa base in grado di supportare uno scenario (quello dei brogli) estremamente improbabile.

Se Trump dovesse mettersi a contestare una grossa vittoria di Clinton (ovvero Clinton vince con margini relativamente ampi un numero di Grandi Elettori di molto superiore ai 270 richiesti e senza troppi Stati “too close to call”), le proteste di Trump potrebbero spegnersi brevemente: il Partito Repubblicano e il suo stesso staff potrebbero scaricarlo, lasciandolo solo con degli irriducibili illusi (il cui numero potrebbe essere comunque rilevante).

Se invece il margine di vittoria di Clinton dovesse essere molto più piccolo, il rischio che si apra una stagione di crisi politica (non necessariamente costituzionale) si farebbe molto più grande, con grande gioia di chi, all’estero, desidera degli Stati Uniti internamente deboli per poter continuare a muovere le proprie pedine sullo scacchiere geopolitico internazionale.

 

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