Tratto da  Storie e notizie n.1406

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10 novembre 2016

 

Non è il mio presidente e altre grida

di Alessandro Ghebreigziabiher

 

A migliaia hanno manifestato negli Stati Uniti contro l’elezione del repubblicano Donald Trump in almeno 18 città nella notte di mercoledì. Le proteste più numerose hanno avuto luogo a New York e Los Angeles, al grido di Trump non è il mio Presidente…

 

Trump non è il nostro Presidente. E fin qui dovrebbe essere scontato, visto che non siamo americani, ma non è così semplice, in realtà.

Perché è difficile che lo siano stati quelli di diritto, ovvero autoctoni, ecco.

E se non riusciamo a dirlo dei nostri, figuriamoci di quelli degli altri.

Soprattutto di questo, degli altri.

Tuttavia, se ci fermassimo qui, se tutto si riducesse al semplice grido, sarebbe importante, sarebbe l’inizio, sarebbe qualcosa di fondamentale, ma non tutto.

Probabilmente non tanto.

Di sicuro non quanto basterebbe ad esclamare l’opposto messaggio.

Nel frattempo, gridiamo.

Gridiamo e recitiamo a voce alta urgenze del cuore e dell’anima solo in apparenza diverse.

Come il maschile non è il nostro genere, laddove sia rappresentato proprio da individui come Trump, che sono molto più vicini di quanto pensiamo.

Che sono molti di più, di quel che speriamo.

Che sono, cioè esistono, e già questo dovrebbe indurci a dissociarci al più presto.

Allora, già che ci siamo, diciamo pure che l’Europa non è il nostro continente per tutte le insane crudeltà con cui insiste nel trattare i migranti quando giungono qui, dopo tutte le insane crudeltà che gli riserva e gli ha riservato nel passato quando siamo noi ad andare lì.

Quindi, visto che c’è ancora spazio nella pagina, aggiungiamo pure che questo tempo non è il nostro, dato che non facciamo altro che spedire avanti nel futuro parti dopo parti di noi stessi, ogni volta che ci struggiamo innanzi a ottusità degne dell’età della pietra.

Ovviamente, come non farsi mancare questa generazione non è la nostra, contando sulle dita le ormai irreversibili sentenze sul pianeta che ci ospita, come quanti anni di acqua ci restano e quanti di ossigeno abbiamo sprecato, quanti animali ancora ci sopportano e quante piante ci odiano con ogni goccia di clorofilla dal paradiso vegetale.

Fino a sintetizzare il variopinto coro di strilli in un solo, sofferto grido questa specie, umana solo di nome, non è la nostra, se solo ci soffermiamo sulle atrocità con le quali condanniamo a, fortunatamente brevi, parentesi di inferno in terra molte tra le più innocenti creature che mettiamo al mondo.

 

Certo, sarebbe bello.

Sarebbe bello risolvere tutto così, con un poderoso sfogo di voce e indignazione, e poi tornare a casa, vittoriosi sul cattivo di turno, cancellato dalla storia dal nostro canto di protesta.

Tuttavia, come è stato e sempre sarà, la realtà è il più delle volte disegnata con mano mancina rispetto ai nostri sogni.

Allora sappiate che Trump, o chi per lui, a seconda di dove viviate, è il nostro presidente e, probabilmente lo sarà a lungo. Che ci piaccia o meno, il maschile è il nostro genere, con tutte le aberrazioni con le quali viene vissuto intorno a noi. L’Europa è il nostro continente, il problema è che, forse, non lo è abbastanza. Questo tempo è più che mai il nostro, se non altro, perché altro non ne avremo. Questa generazione è la nostra, poiché per quanto ce ne vergogniamo, qualunque infamia abbia compiuto, ciò è accaduto esattamente innanzi ai nostri occhi. E per quanto riguarda la specie umana, essa è nostra proprio perché, a differenza di ogni altra sulla terra, quando le cose del mondo ci sembrano orrende noi possiamo scendere in piazza, gridare e, soprattutto, non fermarci a questo…

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