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16 marzo 2016

 

Le presidenziali Usa le decide Google?

di Sergio Braga

 

Big G può condizionare gli elettori. Lo dice una ricerca Usa

 

Qual’è l’influenza del web sulle nostre scelte quotidiane, in particolare quelle politiche? Ormai siamo abituati alle esternazioni degli uomini politici sui social, le sappiamo filtrare, come filtriamo, le tante bufale che incontriamo navigando. Sono possibili, invece, condizionamenti più sottili, quasi subliminali? Secondo una ricerca effettuata realizzata online da ricercatori comportamentali Usa, negli Stati Uniti ed in India, la risposta è sì.

L’esperimento, descritto da un articolo intitolato The new mind control (Il nuovo controllo della mente – sottotitolo: Internet ha diffuso sottili forme d’influenza che possono condizionare le elezioni e manipolare qualsiasi cosa diciamo, pensiamo e facciamo) pubblicato sull’eZine Aeon da uno degli autori, Robert Epstein, psicologo e ricercatore dell’Istituto Americano di Ricerche comportamentali e Tecnologie di Vista, in California. Il paper relativo alla ricerca è stato invece pubblicato nell’agosto del 2015 sulla prestigiosa rivista scientifica statunitense Pnas, Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America (Atti dell’Accademia Nazionale delle Scienze degli Stati Uniti d’America).

 

Una ricerca che s’ispira alla letteratura ed ad un classico delle scienze della comunicazione

Epstein, nell’articolo, puntualizza che l’esperimento realizzato con i suoi colleghi s’ispira a spunti letterari come i romanzi di Jack London “Il Tallone di Ferro”, “Noi” di Yevgeny Ivanovich Zamyatin, “1984″ di George Orwell e “Il Mondo Nuovo” di Aldous Huxley. Tutte Opere in cui s’ipotizzano futuri più o meno prossimi o paralleli - divenuti in alcuni casi ormai passati – dove oligarchie onnipotenti, e più o meno oscure, sono in grado di controllare un’umanità più o meno consapevole, più o meno accondiscendente rispetto al dominio che subisce.

È però un stato un saggio, “I persuasori occulti“, un testo profetico sull’evoluzione della comunicazione, scritto ormai mezzo secolo fa dal giornalista americano Vance Packard,  in cui si parla per la prima volta dei messaggi subliminali, a dare ai ricercatori lo stimolo finale per concepire e realizzare una verifica della loro ipotesi: le teorie di Packard sui messaggi occulti si possono applicare al web?

 

Un fil rouge tra la propaganda di ieri e quella di oggi: dall’analogico al digitale

Packard, infatti, già nel 1957 ipotizzava che i dirigenti delle corporation e gli uomini politici stavano iniziando ad utilizzare metodi sottili, ed in alcuni casi del tutto non individuabili, per cambiare il pensiero, le emozioni ed i comportamenti delle persone, grazie alle scoperte della psichiatria e delle scienze sociali. Uno di questi metodi, forse il più noto sarebbe quello dei cosiddetti messaggi subliminali, o effetto sotto soglia: micro messaggi nascosti in spettacoli cinematografici o televisivi ed in grado di condizionare il pubblico. Tutt’oggi negli Usa la legge che proibisce questa pratica è inapplicata, mentre in altri Paesi occidentali questa pratica è invece duramente sanzionata.

Al di là della verifica dei risultati effettivi di questi metodi di persuasione occulta, quello che è certo è che Packard, già ai suoi tempi, era assolutamente consapevole dei rischi che correvano i diritti civili di fronte ad una simile minaccia, se introduce il capitolo su questo argomento con una citazione dell’economista britannico Kenneth Boulding: È concepibile un mondo fatto di dittature nascoste è concepibile, anche usando le forme del governo democratico

 

I persuasori occulti e l’evo online

Dall’allarme lanciato da Packard di tempo ne è passato. Si sono evoluti i media, si sono affinati i metodi della comunicazione commerciale e politica. L’unica garanzia di equilibrio informativo, in questo senso, è paradossalmente proprio la serrata concorrenza tra le diverse fonti che trasforma nella maggior parte dei casi i tentativi di manipolazione in un rumore di fondo.

Cosa succede però, se emerge uno strumento di controllo che ha poca o nessuna concorrenza? E cosa accade se questi nuovi mezzi di controllo sono sviluppati per uno spazio dove sono più potenti e ancora più invisibili rispetto al passato?  E cosa può accadere se questi nuovi tipi di controllo consentono a poche persone di esercitare un enorme influenza non solo in Usa, ma sulla maggior parte della popolazione terrestre.

Tutto questo è già accaduto, dice l’autore della ricerca, che, ironicamente ci ricorda che “Google decide quali contenuti includere nei risultati delle nostre ricerche e come ordinarli” e che questo “è uno dei segreti meglio mantenuti nel mondo, come la formula della Coca Cola”.

Risulta immediatamente evidente l’enormità di questa affermazione le sue implicazioni. Ormai, infatti è per noi un gesto abituale cercare qualcosa su internet, e Google è ormai il principale motore di ricerca, il più importante punto d’ingresso all’intera conoscenza virtuale. Del resto sappiamo tutti come i suoi risultati siano precisi, istantanei e come nella maggior parte dei casi i risultati che c’interessano siano all’inizio della lista.

 

Il rischio di abboccare

Già, la lista. Proprio qui può stare il trucco. Infatti il 50 per cento dei click va sui primi due risultati e, complessivamente 9 su 10 interessano i primi 10 della prima pagina dei risultati. Non sono molti coloro che sfogliano le altre pagine, perché magari sono troppe, eppure potrebbero contenere ottime informazioni. Ed è Google a decidere quali dei miliardi di pagine presenti sul web far apparire nella nostra lista dei risultati. Comparire per primi nei risultati è un obiettivo su cui migliaia di compagnie nel mondo investono miliardi di euro nel mondo, ma a regolare tutto è un algoritmo segreto di cui solo in piccola parte è possibile intuire il reale funzionamento e che è molto difficile da ingannare. Da questo parte l’esperimento di chi stiamo parlando.

 

Web e messaggi subliminali: un rischio reale per la nostra libertà?

L’esperimento, che in una prima fase ha coinvolto 102 persone nell’area di San Diego, reclutate con un’inserzione e divise a caso in 3 gruppi, è iniziato nel 2013. In un gruppo le persone ricevevano risultati favorevoli ad un candidato politico, collegati a pagine in cui il personaggio risulta meglio rispetto ai suoi avversari. Nel secondo gruppo, invece, i risultati facevano figurare meglio l’avversario del candidato su cui si effettuava la ricerca. Mentre nell’ultimo gruppo, di controllo, nessun candidato o avversario otteneva risultati che lo favorissero. Per l’esperimento sono stati utilizzati i medesimi risultati collegati alle medesime pagine: l’unica cosa che cambiava era l’ordine in cui venivano presentati.

 

Il meccanismo dell’esperimento

I contenuti utilizzati per il test erano originali e riguardavano le elezioni politiche in Australia nel 2010, proprio per evitare che le persone coinvolte avessero su di essi un’opinione precisa e consolidata. Il campione prescelto, inoltre, ricalcava nella sostanza le caratteristiche socio-demografiche ed etniche degli elettori americani. A tutti i partecipanti è stata data una breve descrizione dei candidati ed a ciascuno è stato chiesto di dare ad ognuno di essi una preferenza. Dopo aver effettuato le ricerche, su un motore di ricerca creato appositamente dal gruppo di ricerca, ai partecipanti è stato chiesto di indicare il proprio candidato preferito. I risultati si sono discostati solo del 2 o 3 per cento rispetto alle previsioni formulate dal gruppo di ricerca prima dell’esperimento. Ovvero, quasi il 50 per cento delle persone ha scelto il candidato che appare per primo nei risultati. Il fatto ancor più stupefacente, però, è che solo il 25 per cento di loro si erano resi conto che i risultati erano manipolati. Nel gruppo di controllo, le opinioni non variavano particolarmente. I ricercatori hanno chiamato questo fenomeno comportamentale SEME, Search Engine Manipolation Effect (Effetto della Manipolazioni del Motore di Ricerca).

 

Nuovi e successivi test confermano e consolidano i risultati

Il campione però era troppo ristretto per essere veramente significativo. Quindi nel 2014 l’esperimento è stato ripetuto tre volte. L’ultima coinvolgendo un campione di oltre 2mila persone spare nei 50 stati americani. Il risultato dell’ultimo test è stato lo spostamento in preferenze di voto è stato del 37,1 per cento, ed anche maggiore in alcuni gruppi etnici, fino all’80 per cento. Si è inoltre scoperto che ci vuole poco per mascherare la manipolazione dei risultati. Basta, infatti, includere tra i primi risultati sul candidato da favorire anche solo un risultato che riguarda l’avversario per fare in modo che pochi si accorgano del condizionamento.

 

La controprova: le elezioni indiane

Risultati certo interessanti, ma riferiti a contenuti relativi ad elezioni straniere avvenute ormai nel 2010. Così, sempre, nel 2014 il gruppo di ricercatori californiani ha deciso la controprova, utilizzando le più grandi elezioni democratiche del mondo, quelle indiane per il primo ministro. Nell’esperimento sono stati coinvolti 2150 elettori indiani registrati per il voto, provenienti da 27 dei 35 stati che formano il gigante asiatico, che non avevano ancora votato ed erano indecisi. I tre principali candidati alla tornata elettorale erano tutti molto popolari e conosciuti: Rahul Gandhi, candidato del Partito del Congresso in quel momento al potere, il populista Arvind Kejriwal, e Narendra Modi, del Partito popolare indiano. Applicando lo stesso meccanismo delle occasioni precedenti, lo spostamento di preferenze è stato in media del 20 per cento, picchi del 60 per cento in alcuni gruppi socio-demografici. Ciò che ha sorpreso veramente, però, è stato uno stupefacente 99,5 per cento di partecipanti che non si è assolutamente accordo della manipolazione operata sui risultati.

 

Qual’è il significato della ricerca e quali sono i rischi impliciti nell’effetto Seme?

Insomma, la tesi da cui sono partiti i ricercatori californiani ha trovato una conferma sperimentale davvero inquietante. La quasi invisibilità dell’effetto Seme certamente incuriosisce e significa che chiunque osserva i risultati di un motore di ricerca vede solo quelli e non se sono stati manipolati. Questo può significare che, se si fa una ricerca, ad esempio, sui candidati alle presidenziali Usa – come suggerisce l’autore della ricerca, Robert Epstein, nel suo articolo – i risultati anche se sembrano casuali in realtà potrebbero essere contraffatti. Questo comportamento online, quindi, rende ancora più facile la manipolazione dei risultati per cambiare l’opinione degli elettori, anche solo riuscendo a piazzare in testa alla lista quelli che strategicamente c’interessano per ottenere un determinato cambiamento di opinione o d’intenzione di voto. Questo dato è tanto più inquietante se si considera che, secondo i dati del Pew Research Center, Google è monopolista negli States trai motori di ricerca, con l’83 per cento degli americani che affermano di utilizzarlo. Una quasi totale assenza di concorrenza, che, come detto, è la condizione essenziale per rendere efficaci al massimo delle loro potenzialità i messaggi subliminali e apre, secondo l’autore, a scenari davvero preoccupanti.

 

Non solo Google: come ci frega il web, a tutto tondo

Infatti, proprio per copyright, come già stabilito da alcune sentenze negli Usa, Google non è tenuto a dirci come funziona il proprio algoritmo e, quindi, se i suoi risultati possono essere manipolati. Cosa che dovrebbe allarmarci, lasciando da parte ciò viene dichiarato sulle condizioni d’uso, in cui accettiamo implicitamente di utilizzarlo “as is” (come è), è che altrettanto implicito sia completamente sotto il controllo di Mountain View, ovvero che la Corporation possa modificarlo o manipolarlo a proprio piacimento. Anche se questo è in aperta contraddizione con il patto fondante del web 2.0, che ha alla sua base un patto di servizio alla pari, molti a molti, tra il proprietario della web application ed il suo utente.  Ma non basta. Alle presidenziali del 2012 Google ed i suoi top manager hanno contribuito con 800mila dollari alla campagna di Obama e solo 37mila a quella del suo oppositore, Mitt Romney. Con buona pace del Gop. Nel 2015 una ricerca dell’Università del Maryland avrebbe invece dimostrato che i risultati di Google favoriscono costantemente i candidati democratici Ed ancora: secondo una relazione interna  dalla Commissione Federale del Commercio Usa risulterebbe che il motore di ricerca privilegi i risultati finanziari della società, che già pure sotto inchiesta delle antitrust d’India e dell’Unione Europea. Del resto nella maggioranza degli stati il 90 percento delle ricerche è effettuato su Google, la cui presenza cresce rapidamente nel mondo, tanto che, facendo la media, il motore di ricerca potrebbe influire pesantemente sul 25 percento delle elezioni nel mondo. Senza contare, poi, che i contenuti catalogati dal search engine possono persistere ed apparire per anni ancora. Questo è nulla. Perché si deve mettere in conto anche Facebook, che, ancora più selettivamente, può inviarci messaggi in relazione alle nostre caratteristiche culturali e socio-demografiche, ulteriormente filtrate in base alle nostre relazioni. Un esperimento del social network firmato Zuckemberg, infatti, ha testato su un campione di 600mila utenti la sua capacità di influenzare le emozioni attraverso i post mostrati nei thread. Questa è un’altra storia. Che non mancheremo di raccontare.

 

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