Originale: Waging Nonviolence

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2 aprile 2016

 

Economisti neoliberisti contro Bernie Sanders e il buonsenso

di Jack Rasmus

traduzione di Giuseppe Volpe

 

Mentre da candidato alla presidenza statunitense Bernie Sanders ha guadagnato slancio alle primarie, gli attacchi ai programmi economici da lui proposti sono aumentati in proporzione.

A guidare l’assalto sono stati i sostenitori di Hillary Clinton, specialmente Paul Krugman e altre “stelle” della professione economica come Christine Romer, Laura Tyson, Alan Kreuger e Austan Goolsbe, tutti che in passato hanno lavorato in amministrazioni Democratiche e indubbiamente sono alla ricerca di un ritorno a qualche carica in un’altra amministrazione Clinton. A volte indicati come la “banda dei quattro”, nelle settimane recenti hanno attaccato aggressivamente i programmi e le riforme economiche di Sanders. Tuttavia il bersaglio dei loro attacchi, iniziati a febbraio e che proseguono ora, è la proposta di Sanders di finanziare un programma di assistenza sanitaria universale unica mediante un’imposta sulle transazioni finanziarie.

L’ironia dell’attacco di Krugman/Banda dei Quattro è che le proposte di Sanders rappresentano quelle che un tempo erano le posizioni e i programmi Democratici, posizioni che sono state abbandonate dal partito e dai suoi economisti portavoce dagli anni ’80 quando il partito si è trasformato in un’ala del programma liberista.

I critici di Sanders sono stati specialmente agitati per il fatto che per dimostrare che le proposte di Sanders avvantaggerebbero fortemente la maggioranza degli statunitensi sono stati usati i loro stessi modelli economici. Ma contestare Krugman e i suoi colleghi neoliberisti sulla base del loro difettoso modello economico – un modello che ha sotto Obama ha mancato miseramente di produrre una ripresa economica reale sostenuta negli USA – non è necessario. Il loro modello è infranto da un bel po’ di tempo. Alcuni semplici fatti storici e recenti studi comparativi sono tutto ciò che è necessario per dimostrare che una reale imposta sulle transazioni finanziarie può generare più entrate di quante ne servano per finanziare un programma di assicurazione unica. Ecco come.

 

Una reale imposta sulle transazioni finanziarie

Prendiamo quattro principali attività finanziarie: azioni, obbligazioni, derivati e acquisti di valute (Forex).

Uno studio europeo di qualche anno fa relativo a 11 paesi, le cui economie sommate corrispondono a circa due terzi di quella statunitense, ha concluso che una minuscola imposta finanziaria dello 0,1 per cento sulle azioni e le obbligazioni e un’imposta virtualmente trascurabile dello 0,01 per cento sui derivati produce un’entrata fiscale annua di 47 miliardi di dollari. In un’economia di dimensione equivalente a quella statunitense si tratterebbe di circa 70 miliardi di dollari di entrate l’anno.

Gli acquisti di azioni e obbligazioni da parte di ricchi investitori non sono un’attività essenzialmente diversa dagli acquisti di cibo, abbigliamento e altri “beni e servizi” reali da parte delle persone comuni. Perché gli investitori non dovrebbero pagare un’imposta sugli acquisti di titoli finanziari? Negli Stati Uniti una famiglia media paga un’imposta variabile tra il 5 e il 10 per cento sugli acquisti di beni e di molti servizi. Dunque perché i ricchi investitori non dovrebbero pagare un’imposta analoga sui loro acquisti al dettaglio di titoli finanziari?

Un’”imposta sulle vendite” del 10 per cento sugli acquisti di azioni e obbligazioni e dell’1 per cento sui derivati ammonta a un’entrata fiscale cento volte maggiore di quella stimata dallo studio europeo. I 70 miliardi di dollari stimati basati sullo studio europeo di un’imposta dello 0,1 per cento sulle azioni-obbligazioni e dello 0,01 per cento sui derivati produce 7 trilioni di dollari di entrate fiscali con un’imposta del 10 per cento e dell’1 per cento su azioni, obbligazioni e derivati.

 

Troppo, sosterrebbero indubbiamente Krugman e la Banda dei Quattro. I ricchi acquirenti di azioni e obbligazioni non dovrebbe pagare così tanto. Soffocherebbe l’acquisizione di capitale da parte delle imprese. D’accordo. Riduciamo dunque alla metà, il 5 per cento di imposta su azioni e obbligazioni e dello 0,5 per cento sui derivati. Ciò riduce i 7 trilioni di entrate fiscali all’importo ancora enorme di 3,5 trilioni annui.

Ancora troppo? D’accordo, dimezziamo di nuovo, a un 2,5 per cento su azioni e obbligazioni e a uno 0,25 per cento sulle transazioni in derivati. Ciò sicuramente non scoraggerebbe le operazioni in azioni e derivati da parte dei ricchi (non che sarebbe un’idea del tutto cattiva neppure questa). L’imposta del 2,5 per cento e dell’1 per cento [sic – n.d.t.] produce ancora 1,75 trilioni di dollari di entrate l’anno.

Ma che dire di un’imposta finanziaria aggiuntiva sulle operazioni in divise, come la Cina sta per proporre? Gli scambi in divise, o valute estere, ammontano alla cifra sbalorditiva di 400 miliardi di dollari al giorno! Non si tratta interamente di transazioni in dollari USA, naturalmente. Tuttavia il dollaro USA è interessato nell’87 per cento degli scambi. Un’imposta dell’1 per cento sugli scambi di dollari USA produce, prudenzialmente, circa 3 miliardi di dollari al giorno. Supponendo prudenzialmente 220 giorni di scambi l’anno, i 3 miliardi di dollari al giorno producono 660 miliardi di entrate finanziarie annue da transazioni finanziarie in dollari USA.

1,75 trilioni di dollari di entrate da operazioni in azioni, obbligazioni e derivati più altri 660 miliardi di dollari di entrate fiscali dagli scambi in divise corrispondono a 2,41 trilioni di entrate totali da un’imposta sulle transazioni finanziarie pari al 2,5 per cento sulle azioni e obbligazioni, dello 0,25 per cento sui derivati e dell’1 per cento sulle conversioni di dollari USA in altre divise.

Dunque quanta di quella copertura annua di 2,41 trilioni di dollari è necessaria per finanziare un programma [di assistenza sanitaria] Medicare per Tutti negli Stati Uniti?

 

Il costo dell’assicurazione sanitaria unica

Quasi ogni economia avanzata del mondo offre ai propri cittadini una versione dell’assicurazione sanitaria unica, salvo gli Stati Uniti. D’altro canto nessun paese spende in assistenza sanitaria quanto gli USA. Il Regno Unito spende il 9 per cento del PIL, il Giappone circa il 10 per cento, Francia e Germania l’11 per cento, ad esempio. Gli USA, per contro, spendono più del 17 per cento del PIL per l’assistenza sanitaria. Considerato che il PIL USA più recente è di circa 18 trilioni l’anno, il 17 per cento di 18 trilioni è pari a poco più di 3 trilioni di dollari l’anno.

Se gli USA spendessero, come altre economie avanzate con assicurazione unica, circa il 10 per cento del PIL l’anno per l’assistenza sanitaria, il costo sarebbe di 1,8 trilioni di dollari, invece di 3 trilioni di dollari l’anno. Gli USA risparmierebbero 1,2 trilioni di dollari.

Dove vanno quegli attuali 1,2 trilioni di dollari? Non ai servizi sanitari per i cittadini. Vanno alle compagnie di assicurazione sanitaria e ad altri “intermediari”, che non forniscono una virgola di servizi di assistenza sanitaria. Sono “passacarte” che fanno una cresta da 1,2 trilioni di dollari di profitti l’anno con utili medi del 20 per cento l’anno e più. Sono parassiti economici o quegli che gli economisti definiscono “capitalisti di rendita” che non producono nulla, ma risucchiano profitti e salari da quelli che effettivamente producono qualcosa. Essi poi utilizzano quegli 1,2 trilioni di dollari l’anno per comparsi l’un l’altro, espandersi globalmente e consegnare dividendi record e riacquisti di azioni ai propri azionisti.

In altri termini una reale imposta sulle transazioni finanziarie, che resta ragionevole ad aliquote fiscali dello 0,25 e del 2,5 per cento, può sostenere un programma di assicurazione sanitaria unica negli USA e tuttavia disporre di centinaia di miliardi in esubero, 641 miliardi di dollari per essere esatti (2,41 trilioni meno 1,8 trilioni di dollari).

I 641 miliardi di dollari residui potrebbero essere utilizzati per finanziare meglio gli attuali programmi [di assistenza sanitaria] Medicare. Potrebbero eliminare il 20 per cento di ticket sui servizi medici Medicare di tipo B e offrire farmaci su ricetto di fascia D interamente gratuiti per gli ultrasessantacinquenni. I risparmi per gli ultrasessantacinquenni da ciò e le decine di migliaia di dollari risparmiate ogni anno dalle famiglie lavoratrici che ora pagano quell’importo a compagnie private di assicurazione sanitaria sarebbero ora liberati con un’assicurazione unica per essere spesi in altri beni e servizi.

Un’imposta sulle transazioni finanziarie e un programma di assicurazione unica avrebbe conseguentemente l’effetto positivo aggiuntivo di creare il più rilancio dei salari reali e dei redditi delle famiglie, e perciò dei consumi, della storia economica degli Stati Uniti. Più domanda dei consumatori significherebbe maggiori investimenti reali.

Sì, ci sarebbe meno spesa di ricchezza speculatrice in azioni, obbligazioni, derivati, valute estere e altre attività finanziarie. E allora? Se ai ricchi investitori questo non piace, beh allora che mangino brioches … o qualcos’altro dal nome osceno.

 


Jack Rasmus è autore del libro appena pubblicato ‘Systemic Fragility in the Global Economy’, Clarity Press, 2016. Il suo blog è jackrasmus.com.


Da ZNetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/how-montanans-stopped-the-largest-new-coal-mine-in-north-america/

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