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domenica 25 dicembre 2016

 

Terrorismo:

Ma cosa ci raccontano?

di Antonio Moscato

 

Anche senza aderire alle teorie “complottiste” che circolano in rete, è lecito dubitare delle versioni ufficiali fornite sui diversi episodi più recenti di terrorismo. Se nell’immaginario collettivo appaiono ben più collegati tra loro di quanto non siano, in realtà in tutti i casi l’unico elemento che li accomuna è la straordinaria inefficienza di tutti gli organi di polizia e della cosiddetta intelligence. 

 

Anche senza aderire alle teorie “complottiste” che circolano in rete, è lecito dubitare delle versioni ufficiali fornite sui diversi episodi più recenti di terrorismo. Se nell’immaginario collettivo appaiono ben più collegati tra loro di quanto non siano, in realtà in tutti i casi l’unico elemento che li accomuna è la straordinaria inefficienza di tutti gli organi di polizia e della cosiddetta intelligence. Perfino nella Turchia ultrarepressiva, rimane inspiegata la facilità con cui un poliziotto fuori servizio (non “ex poliziotto” come molte testate hanno detto per nascondere l’imbarazzo) possa avvicinarsi armato all’ambasciatore russo (cioè di una potenza con cui il rapporto è in evoluzione ma non è privo di incognite) e ucciderlo dopo aver fatto una clamorosa proclamazione dei suoi intenti. Mentre non sorprende la sua immediata esecuzione a sangue freddo, che permette di mettere il suo gesto in conto all’ex amico e oggi nemico giurato di Erdogan Fethullah G?len e contemporaneamente al PKK.

 

Nel caso del mercatino natalizio berlinese i pezzi del puzzle che non combaciano sono parecchi, e sono stati rilevati da molti commentatori, tra cui il generale Fabio Mini. Intanto il bilancio della strage, che poteva essere ben più terribile data la mole del Tir e il carico di acciaio, e che è stato spiegato con una colluttazione con l’autista polacco ancora in grado di deviare il veicolo: ma se dicono che il Tir era stato sequestrato da molte ore e procedeva in modo irregolare, non è facile spiegare perché il dirottatore si fosse portato appresso l’autista ferito. In ogni caso appare chiaro che non era per aggirare i controlli che, come a Nizza, erano inesistenti.

 

E il dirottatore era solo? Fosse o no concordata con qualcuno, la fuga dal luogo del massacro era stata evidentemente facile, mentre veniva additato come responsabile dell’attacco terrorista un pakistano, che ha avuto la fortuna di poter dimostrare la sua estraneità ai fatti in tempi relativamente rapidi, comunque sufficienti a permettere ad Anis Amri di lasciare la zona del mercatino e Berlino, e poi di traversare indisturbato in treno la Germania e la Francia, nonostante su tutti i giornali fosse apparsa la sua foto.

La tragica conclusione del suo viaggio sembra poi dovuta a una casualità, a un normale controllo (fatto da due poliziotti di commissariato) dell’identità di uno magrebino che girava a quell’ora insolita della notte nel piazzale deserto della stazione di Sesto S. Giovanni. E che era dotato solo di una calibro 22 e di una scarsa rapidità (e precisione) di tiro. Si è aperto un dibattito sull’irresponsabilità di pubblicare nomi e foto dei due poliziotti, esponendoli a possibili vendette, ma la spiegazione è semplice: l’uccisione di Amri è stata un incidente in una normalissima azione di controllo di eventuali “clandestini” da parte della polizia, senza nessuna partecipazione dei tanto decantati corpi antiterrorismo, che avrebbero ben saputo proteggere i loro uomini.

 

Le rivendicazioni, giunte con il consueto ritardo, non provano molto: è consuetudine dei gruppi terroristi di rivendicare azioni clamorose di battitori liberi, che magari hanno lasciato un video con qualche dichiarazione bellicosa, ma hanno agito da soli. In questo caso modalità e scarsa efficacia dell’attacco, e modesto armamento personale hanno fatto pensare a un gesto individuale apparentemente destinato a colpire il natale berlinese, ma utilizzabile dalla destra tedesca per attaccare la Merkel e chiedere ulteriori irrigidimenti della normativa sull’immigrazione e la richiesta d’asilo. E questo spiegherebbe meglio le smagliature di quello che un tempo era un’efficientissima polizia, e che si è invece dimostrata incapace di intercettare il fuggiasco.

 

Ma questa tesi è subito ridimensionata dal confronto con altri episodi di terrorismo in Francia e in Belgio, che avevano rivelato sempre l’inadeguatezza della prima risposta di polizia e anche di corpi antisommossa a un attacco, e avevano visto gli attentatori girare in lungo e largo indisturbati per il paese alla faccia della cosiddetta intelligence.

 

Molti “complottisti” hanno immaginato che queste inefficienze corrispondessero a una deliberata volontà di coprire gli attentatori, e così sono state lette le ammissioni che alcuni dei terroristi erano stati identificati da tempo e poi persi di vista. Ma in realtà è facilissimo sospettare qualcuno, magari per un innocuo sfogo verbale, ma è impossibile seguire ogni sospettato. Gli esperti dicono che per il controllo totale (pedinamento, ascolto telefonate, identificazione dei contatti) bisogna avere a disposizione almeno una dozzina di agenti, di cui alcuni con buona conoscenza di inglese e arabo. Altri parlano di venti o perfino quaranta, ma già è evidente che anche il traguardo dei dodici è raggiungibile solo in casi rarissimi, mentre i sospettati sono tanti, e molti in base a indizi labilissimi, o al fraintendimento di intercettazioni casuali.

 

Assurda e impraticabile la soluzione dell’espulsione, agitata propagandisticamente dalla destra, in primo luogo perché anche in Italia è già stata praticata in alcuni casi con scarso rispetto delle garanzie giuridiche, trasformando degli innocenti in nemici disposti alla vendetta. Espellere degli stranieri se colpevoli di qualche reato è già previsto, ma non è facile da realizzare perfino quando si tratta di poche unità. Dove mandarli? Come fare se il loro paese non esiste più, se la loro città è in mano a una banda di tagliagole, o da squadracce sanguinarie al servizio di un dittatore, magari appoggiato dal nostro governo? E che fare di tutti i rifugiati per motivi ambientali, sfuggiti a fatica alla morte per sete e per fame, e definiti “irregolari” solo perché non possono provare di essere perseguitati individualmente da un qualche governo, ma solo di essere vittime un dissesto di cui tanti, compresi i paesi imperialisti europei, sono corresponsabili. È penoso che, per contendere qualche voto ai fascisti della Lega o di Fratelli d’Italia, Beppe Grillo faccia sua questa proposta irresponsabile e di fatto irrealizzabile. E che dimentica la realtà: i terroristi in Francia e in Belgio erano nati nel paese, dove a volte erano stati portati i loro nonni per fornire lavoro sottocosto. Quali frontiere si dovevano o potevano bloccare?

E Anis Amri come è arrivato a Berlino? A quel che ci dicono nella cabina di un Tir. Chi pensa di poter controllare tutti gli automezzi che si spostano in Europa, che sono milioni che vanno e tornano ogni giorno e che è impossibile fermare e costosissimo rallentare con controlli minuziosi, è per lo meno un ingenuo. E lo stesso si può dire di chi crede che si possano effettuare minuziosi controlli ferroviari in un continente in cui merci e persone si spostano a milioni ogni giorno. Irrigidire i controlli può servire a fermare qualche disperato che cerca lavoro e di cui si vede subito da lontano che è appena arrivato, ma i criminali veri possono beneficiare di documenti ben contraffatti e viaggiare con mezzi comodi che non destano sospetti.

 

Un’esperienza personale: negli anni Settanta io stesso ho accompagnato militanti del Frente Sandinista o dell’ERP argentino venuti in Europa per chiedere solidarietà alla loro lotta; per passare attraverso le frontiere allora chiusissime, anche con documenti falsificati in modo artigianale, bastava prendere un wagon lit di prima classe, e si era sicuri che nessun poliziotto avrebbe svegliato il passeggero per controllarlo meglio, come accadeva normalmente e spesso con severità eccessiva ai viaggiatori seduti in seconda classe.

 

Grillo non pensa poi a come si potrebbe fare a riconoscere gli elementi davvero pericolosi, prima che sia stato commesso un reato?

Anis ad esempio era venuto in Italia da migrante, ma aveva un temperamento ribelle e si unì a chi protestava nel centro di accoglienza, bruciando lenzuola e un materasso per attirare l’attenzione. Mi domando se esiste un altro modo in un carcere o in una struttura equivalente per attirare l’attenzione e rivendicare qualcosa. È stato comunque subito catalogato come pericoloso, e punito per questo modestissimo reato con quattro anni di carcere, che lo hanno trasformato da ragazzo inquieto e ribelle in un aspirante combattente della Jihad. Punirlo così severamente per una protesta è stato vantaggioso per la nostra società o per i reclutatori del terrorismo?

Non mi pronuncio su altri elementi poco convincenti delle versioni ufficiali della polizia tedesca, come la scoperta di un telefonino cellulare quasi tre giorni dopo, “perché prima non avevano perquisito l’interno della cabina”, o la credibilità dell’identificazione di Anis Amri dal documento che si sarebbe portato appresso per dimenticarlo poi sul sedile del Tir (viene in mente il passaporto di uno dei diciannove attentatori delle due torri, miracolosamente scampato allo spaventoso incendio…). Stranamente, per un militante di quella che ci viene raccontata come una potentissima organizzazione, non ne aveva almeno un altro da esibire a un controllo… E per quanto riguarda la polizia italiana colpisce la banalità delle assicurazioni sulla sicura pericolosità dell’ucciso, che avrebbe potuto – se non “neutralizzato” - compiere altri delitti. Come, con un altro Tir?

Ci sarà tempo per saperne di più, a me preoccupa solo sottolineare un dato sicuro: l’utilizzazione di episodi come questo per creare allarmismo, xenofobia e islamofobia prescinde totalmente dall’impossibilità di praticare davvero un’espulsione di massa che riguarderebbe milioni di persone e coinvolgerebbe paesi di vario genere e dubbia rispettabilità, mentre i veri terroristi (per fortuna ancora pochi) si sposterebbero indisturbati in Europa reclutando con facilità chi è stato vittima di ingiustizie e sospetti ingiustificati.

 

In realtà una vera sicurezza oggi è impossibile, e non può essere garantita certo da misure “tecniche”, ma solo, in futuro, dalla giustizia nelle relazioni internazionali; una giustizia che potrà essere assicurata solo dalla sconfitta di tutti gli imperialismi, e quindi dal successo delle rivoluzioni, in primo luogo di quelle che sono riapparse proprio nel mondo arabo e che regimi feudali e roccaforti capitalistiche si sono impegnati a sopprimere…

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