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01 Giugno 2016

 

Iraq, nella terza battaglia di Falluja lo scacco all'Isis

di Barbara Ciolli

 

Dal 2004 funestata dalla guerra, ora la storica città ribelle torna protagonista. Con l'offensiva irachena al Califfato. Tra raid americani e Pasdaran iraniani.

 

I media americani scandiscono i titoli di un'altra battaglia di Falluja.

La Stalingrado degli Usa, il Vietnam iracheno per centinaia di giovani reduci e loro famigliari, è diventata il teatro del possibile scacco al Califfato, un nuovo scontro finale mai finito. In azione non ci sono più i marines, ma l'esercito regolare e il controterrorismo iracheno affiancato dai peshmerga curdi e dai paramilitari sciiti formati dai Pasdaran iraniani, quest'ultimi a lungo il «grande satana» del Pentagono: una contraddizione, come tante del Medio Oriente.

 

LA DELICATA QUESTIONE SUNNITA.

Ma a Baghdad adesso tutti sono contro i diavoli del Califfato proliferati nel triangolo sunnita: con l'offensiva su Falluja, il governo a guida sciita di al Abadi tenta di includere anche i combattenti sunniti nelle milizie e nell'esercito, distogliendoli dalle sirene dei radicali jihadisti: l'impresa più delicata in Iraq, la vera battaglia da vincere dalla caduta di Saddam Hussein. 

 

UNA CITTÀ AVVELENATA.

I governativi avanzano coperti dai raid americani, in una città che è un terreno minato da decenni e che gli iracheni chiamano la «testa del serpente».

Zoccolo duro della resistenza sunnita sin dall'anticolonialismo di inizio '900, Falluja è stata la roccaforte di al Qaeda in Iraq (e poi Isi e Isis) dal 2003. E nel 2014, il luogo dove l'Isis avrebbe iniziato la conquista del Nord.

 

Nel 2004 il nuovo Vietnam dei marines americani

Per gli americani, la città alle porte di Baghgad è il luogo del più grande combattimento della Seconda guerra del Golfo, diventato epico e narrato nei film.

Su Falluja scattò, nel novembre 2004, l'Operazione furia fantasma o seconda battaglia di Falluja, in rappresaglia alla barbara uccisione di un team di contractor statunitensi della Blackwater avvenuta nel marzo precedente.

La prima battaglia di Falluja, nell'aprile 2004, non aveva stanato i capi dell'insorgenza sunnita sempre più violenta ed estremista: le immagini dei cadaveri appesi su un ponte dell'Eufrate dei quattro mercenari sfregiati e mutilati fecero il giro del mondo.

 

COME LA GUERRA DEL 1968.

Ma anzi le due offensive dei marines polarizzarono l'opinione pubblica nella regione sunnita dell'al Anbar che, nei 10 anni successivi, sarebbe diventata il terreno di coltura dell'Isis.

Per la Difesa degli Usa a Falluja si consumarono «i combattimenti urbani più cruenti dalla battaglia di Hue City in Vietnam del 1968»: quasi 100 mila tra cannoni e artiglierie schierati, più di 300 bombe - inclusi gli ordigni esplosi al fosforo bianco - e 400 tra razzi e missili lanciati in aria, per un tributo di sangue di 95 soldati americani morti e oltre 500 tra feriti, centinaia le vittime civili e oltre un migliaio gli insorti sunniti morti.

 

CITTÀ RIBELLE DAL 1920.

Le campagne americane crearono 200 mila sfollati sui circa 300 mila abitanti di una città semidistrutta e ribelle sin dalle rivolte anti-colonialiste del 1920, quando l'uccisione di un ufficiale britannico a Falluja alimentò le insurrezioni a catena contro la spartizione in corso degli occidentali.

Le popolazioni di allora contestavano l'accordo segreto di Sykes-Picot tra Regno Unito e Francia del 1916, che dopo la caduta dell'impero ottomano avrebbe tracciato i confini artificiali degli Stati mediorientali attuali, scardinati un secolo dopo dal Califfato di al Baghdadi.

 

Il centro islamista del triangolo sunnita

Crocevia tra l'antica Babilonia e il Mediterraneo, Falluja è anche un fervente centro religioso sunnita.

Sono oltre 200 le moschee in città e provincia, alcune delle quali convertite all'ideologia radicale wahabita diffusa dai sauditi nel mondo.

Diversi predicatori estremisti incarcerati da Saddam venivano proprio da Falluja, conosciuta anche come la «città delle moschee» di un governatorato, l'al Anbar, problematico anche per il regime baathista.

Eppure il partito laico, a maggioranza sunnita, ebbe sempre cura di integrare questa minoranza (in Iraq gli sciiti sono oltre il 60%) negli apparati di potere, prevenendo l'emarginazione dei sunniti che, in questa regione, avrebbe provocato la micidiale saldatura tra vecchi ufficiali saddamiti e terroristi di al Qaeda.

 

SPOPOLATA E DISTRUTTA.

Rovesciato il rais, nella Falluja dei minareti distrutti si sarebbe presto insediato il capo di al Qaeda in Iraq Abu Musab al Zarqawi: nella roccaforte jihadista sarebbero stati organizzati e compiuti le decine di sanguinosi attentati dell'insurrezione sunnita.

Per 10 anni i riflettori dell'Occidente sull'Iraq si sono spenti, mentre nel triangolo tra Falluja, Ramadi e Tikrit crescevano odio e barbarie.

Non a caso alla fine del 2013 le tribù jihadiste riunite sotto la sigla dell'Isi (Stato islamico dell'Iraq) avrebbero innalzato i vessilli neri a Falluja, e poi negli altri due centri dell'al Anbar.

Per puntare su Mosul e fondare, nel luglio 2014, il Califfato.

 

L'OFFENSIVA ANTI-ISIS.

Ora curdi ed esercito iracheno sono riusciti a respingere l'Isis da Ramadi e Tikrit e puntano a liberare, rispettivamente, Mosul e Falluja.

I peshmerga stanno stringendo una morsa attorno alla capitale del sedicente Stato islamico.

Le forze di Baghdad stanno invece penetrando nella periferia della cittadina dell'al Anbar, sotto assedio dell'Isis da due anni e mezzo, dove 50 mila civili vivono imprigionati in condizioni drammatiche.

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