il Manifesto

http://nena-news.it/

07 giu 2016

 

Fallujah si getta nell’Eufrate per salvarsi dalla battaglia finale

di Chiara Cruciati  

  

Chi può fugge in ogni modo possibile, anche a nuoto. Ma l’Isis apre il fuoco sui civili e li usa come scudi umani. Le tribù sunnite anti-califfato chiedono a Baghdad di allontanare le milizie sciite per timore di abusi sulla popolazione

 

Roma, 7 giugno 2016, Nena News –

 

La gente scappa, le case vengono occupate: ci sono i cecchini dello Stato Islamico, nascosti nelle abitazioni dei civili. Ma non sparano contro le truppe di Baghdad ancora fuori da Fallujah. Sparano su chi prova a lasciare il cuore della città, terrorizzato dalla prossima guerriglia urbana tra islamisti e esercito governativo.

Chi può scappa in ogni modo possibile. Anche sull’acqua: ieri alcuni video pubblicati online mostravano centinaia di donne, uomini, bambini attraversare il fiume Eufrate a nuoto, su imbarcazioni di fortuna o a bordo di frigoriferi e credenze. I medici dell’ospedale al-Amariya parlano già di morti: sarebbero 18 le persone annegate, tra loro 7 bambini e 3 donne. Alcuni non ce l’hanno fatta a nuotare verso l’altra sponda, altri sono stati abbattuti dai colpi di fucile dello Stato Islamico. Lo riporta il Norwegian Refugee Council: «Le nostre peggiori paure sono state confermate – dice il responsabile in Iraq, Nasr Muflahi – Civili sono stati colpiti mentre fuggivano. Uomini, donne, bambini innocenti che hanno dovuto lasciar dietro tutto pur di salvare la propria vita».

Se nel centro della città restano 50mila persone, il 16% dei 300mila residenti originari, sono 18mila quelli che in due settimane hanno raggiunto i campi allestiti da Baghdad fuori da Fallujah: «Daesh ci sparava mentre fuggivamo da sud – racconta una donna di 60 anni – Potevamo sentire il fischio delle pallottole sopra le nostre teste». «L’Isis aiuta le famiglie dei propri miliziani a fuggire, ma blocca i poveri come noi», aggiunge una 25enne appena arrivata nel campo di Amriyat al-Fallujah. E c’è chi, per dare la misura della preoccupazione che sta investendo il “califfato”, racconta di come molti miliziani si stiano radendo le barbe per confondersi tra i civili una volta che l’esercito iracheno sarà entrato.

La morte, a Fallujah, è dietro l’angolo. È nelle strade, con gli islamisti che hanno blindato la città con mine anti-uomo, tunnel, trincee e cecchini sui tetti. È sull’Eufrate. È alle porte della città dove la minaccia i civili non la vedono più nell’Isis ma nelle milizie sciite a supporto dell’esercito iracheno. Sono tanti quelli terrorizzati all’idea che si ripeta quanto successo a Tikrit e in altre aree sunnite liberate lo scorso anno: rappresaglie contro la comunità da parte di chi dovrebbe liberarla.

Per questo le tribù sunnite locali, che hanno messo a disposizione i propri uomini per liberare Fallujah dalla morsa islamista, chiedono al governo centrale di allontanare le milizie sciite, farle retrocedere per evitare un ampliamento di quei settarismi interni che hanno frammentato il paese. Il premier al-Abadi ci ha già pensato e domenica ha ordinato all’esercito di mettersi in prima linea, mentre l’Ayatollah al-Sistani, massima figura religiosa sciita del paese, ha emesso linee guida per regolare la condotta dei combattenti e impedire gli abusi.

L’avanzata, comunque, prosegue: Fallujah è quasi del tutto circondata, le vie di rifornimento dell’Isis del tutto bloccate e la brutale resistenza degli islamisti usa ogni mezzo – dalle violenze indiscriminate contro la popolazione all’uso di ordigni nascosti lungo strade e ponti – pur di frenare la controffensiva.

E mentre si combatte emergono le ennesimi fosse comuni, marchio di fabbrica del “califfato”: 400 i corpi ritrovati ieri dalle truppe di Baghdad, soldati e civili giustiziati con colpi alla testa tra il 2014 e il 2015 nella zona di Saqlawiya, a nord di Fallujah. Scene simili a quelle che hanno accompagnato la liberazione di Tikrit, Sinjar, Ramadi. Ma Fallujah è una situazione speciale.

A renderla tale non è solo la sua posizione geografica (a metà strada tra Ramadi, capoluogo dell’Anbar, e la capitale Baghdad), ma la sua storia: qui sono morti buona parte dei soldati statunitensi uccisi in Iraq nel luogo simbolo della resistenza sunnita all’occupazione Usa; qui Washington ha usato fosforo bianco e devastato migliaia di case, minareti e edifici, costringendo alla fuga decine di migliaia di civili. Qui il nuovo governo sciita post-Saddam ha coltivato la sua vendetta e la discriminazione politica ed economica contro la comunità sunnita; qui le proteste sunnite sono esplose, 10 anni fa, contro il nuovo esecutivo Maliki che ha smantellato le reti economiche e impedito la ricostruzione.

E qui, nella città delle 200 moschee, l’Isis con l’aiuto di ex baathisti e tribù locali ha iniziato la propria avanzata nel paese, prima città ad essere occupata, mesi prima della caduta di Mosul. Nena News

top