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2 novembre 2016

 

Il merito degli iracheni a Mosul

di Mauro Indelicato

 

Mosul sta per essere liberata: avanzano gli uomini dell’esercito di Baghdad, coadiuvati da milizie sciite, cristiane ed anche sunnite. L’Iraq e tutto il mondo arabo stanno dimostrando di avere al proprio interno gli anticorpi contro il fondamentalismo, mentre adesso il rischio è che il merito per la battaglia passi solo nelle mani dell’occidente.

 

Nelle prossime ore l’immagine più diffusa tra i media mainstream sarà quella dell’ingresso a Mosul delle truppe intente a liberare Mosul; festeggiamenti, fiamme alle bandiere nere dell’ISIS, scene di giubilo in tutta la metropoli irachena, sarà questo quello che a breve verrà raccontato direttamente dall’Iraq. Pur tuttavia la possibilità che non tutta la realtà sarà riportata fedelmente è molto alta ed è bene quindi iniziare a chiarire aspetti salienti e fondamentali della questione per intercettare meriti e responsabilità della fine del terrore del califfato in questo spicchio di medio oriente. E’ bene in primo luogo iniziare dall’affermare che la liberazione di Mosul è una vittoria per l’intero mondo arabo ed islamico: sono state queste popolazioni, martoriate e vittime di rappresaglie ad opera del califfato, a volersi liberare dalla presenza dell’ISIS e dalle ingombranti bandiere nere che hanno rappresentato morte e distruzione. L’avanzata dell’esercito iracheno non sta incontrando una ‘feroce’ resistenza degli jihadisti, ma nemmeno da parte della popolazione locale, segno che questa parte di mondo arabo possiede dentro di sé gli anticorpi per lottare contro il terrorismo e contro il fondamentalismo, senza dover aspettare ‘lezioni’ od esportazioni di democrazia dall’occidente. Ma non solo: oltre all’esercito iracheno, sul campo vi sono tante sigle rappresentanti numerosi gruppi popolari sia locali che provenienti dalla Siria, dal Libano, dall’Afghanistan e da altre zone del medio oriente. A dar manforte alle forze di Baghdad, è possibile individuare anche le forze operative di movimenti sciiti, impegnati soprattutto nel circondare Mosul da ovest e dalla zona di Tal Afar, in modo da bloccare la fuga dei miliziani verso il confine siriano. Sciiti, sunniti, cristiani, curdi, yazidi, dietro l’avanzata verso Mosul c’è tutto quel mondo eterogeneo che da sempre nutre la cultura di questi posti dalla storia millenaria. Un mondo fatto di religioni ed etnie diverse, quel mondo che l’ISIS ha provato a spezzare con le sue deportazioni, con gli incendi appiccati alle Chiese, con le atrocità verso gli stessi sunniti, con le distruzioni di antiche opere d’arte di una provincia che ha ospitato nel passato un luogo glorioso e ricco di cultura quale Ninive.

 

C’è chi in occidente ha lasciato fare, c’è chi ha chiuso più di un occhio dinnanzi alle atrocità, c’è chi ha armato i miliziani per rovesciare Assad in Siria e frammentare un Iraq sempre più vicino a Teheran. E’ per questo che l’esistenza di uno stato unitario iracheno, seppur tra mille difficoltà ed incertezze in un futuro in cui si sentirà la mancanza del collante che è stata la lotta al califfato, che riesce a riprendersi Mosul è una vittoria per Baghdad e per l’intero medio oriente. C’è chi dirà, fra poche ore, che l’ingresso nella terza città irachena è frutto soprattutto dei raid americani e dei mezzi venduti dagli USA alle forze di Baghdad. E’ vero solo in parte: i bombardamenti hanno sì aiutato la riconquista, ma erano stati assenti nel momento della conquista di Mosul da parte dell’ISIS. Quando nel maggio 2014 Al Baghdadi parlava dalla moschea principale della città, l’occidente era impegnato ad armare i salafiti in Siria per rovesciare Assad e da più parti giravano già piani di balcanizzazione del medio oriente con in programma la creazione di stati confessionali e la spartizione del territorio che da Damasco va verso Bassora e Baghdad. L’intervento a stelle e strisce è figlio della necessità di vincere la guerra di propaganda con i russi ed in tal modo, mostrando al pubblico una Mosul liberata senza ‘danni collaterali’, Washington inizierà a contrapporre il suo ‘modello’ con quello di Mosca, le cui azioni in Siria pur essendo simili per modalità di intervento e per obiettivi della missione, vengono invece considerate ‘criminali’ e da fermare anche al costo di nuove sanzioni. Ad Aleppo la Russia, in supporto dell’esercito siriano, deve fronteggiare gruppi salafiti ben armati ed addestrati da molti alleati dell’occidente eppure l’avanzata delle forze di Assad viene presentata ogni giorno come deleteria e figlia di crimini contro l’umanità. A Mosul forze militari e paramilitari irachene avanzano ed il merito viene attribuito all’aviazione statunitense che pure, anche se la circostanza è passata quasi inosservata, la settimana scorsa con i suoi raid ha ucciso diversi civili che scappavano dalla città dove infuria la battaglia.

 

Quando nelle prossime ore verrà annunciata la ripresa di Mosul, è bene quindi sapere qual sia la situazione sul campo: gli scarponi nel deserto li stanno mettendo le forze irachene, sono arabi (sunniti, sciiti e cristiani) a morire per liberare la città e salvare i propri abitanti, è araba e musulmana la vasta opinione pubblica che da due anni ha spinto ogni giorno affinché l’ISIS potesse essere cacciato dal deserto che si snoda tra l’Iraq e la Siria. L’occidente e gli USA in particolare, in tutto questo hanno un ruolo meramente marginale, se non addirittura di complicità con la scalata e l’affermazione in più parti del medio oriente della furia devastatrice dei miliziani jihadisti. Le forze armate irachene lunedì hanno ripreso il controllo dell’edificio della tv di Stato, il quale sovrasta gran parte delle zone orientali di Mosul e segna quindi il definitivo avanzamento verso il cuore della città; soltanto due giorni di maltempo hanno impedito ai soldati di Baghdad di arrivare già oggi sulle sponde del Tigri. Oramai l’eliminazione dell’ISIS da questo territorio è solo questione tempo. Mentre l’Iraq si libera dalla presenza delle bandiere nere del califfato, l’occidente sempre più in ansia in vista delle elezioni americane si lancia in mere azioni di propaganda. L’unica verità è data dal fatto che il merito per la fine dell’ISIS in una città come Mosul è puramente iracheno e delle milizie locali e regionali che stanno aiutando Baghdad: finita la presenza degli uomini del califfo, per l’Iraq inizierà la battaglia per la sopravvivenza come stato unitario capace di tenere assieme etnie e religioni differenti e capace di rispondere alle influenze esterne, ma questa è un’altra storia che comincerà soltanto dopo che negli USA avranno scelto (forse) il nuovo presidente.

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