Fonte: La Repubblica

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17/09/2016

 

Bayer si compra Monsanto: perdiamo sovranità

di Carlo Petrini

 

Nasce il primo colosso mondiale nel settore della chimica applicata all’agricoltura

 

Immaginiamo di iniziare a coltivare un orto per crescere personalmente le nostre verdure e i nostri legumi, per fare un piccolo passo verso il ritorno alla terra. Il primo step sarà quello di preparare il terreno, bisognerà vangare e poi zappare. Se vogliamo che il nostro orto produca bene e con rapidità, poi, decideremo magari anche di fertilizzarlo per arricchirne l’humus, e allora andremo a comprare dal negozio di prodotti agricoli più vicino o di fiducia. Bene, se la fusione tra Bayer e Monsanto non troverà ostacoli, tra poco un fertilizzante su quattro sarà prodotto dal colosso di Leverkusen-Saint Louis. Ovvio però che non basterà fertilizzare il terreno, occorrerà anche comprare i semi che intenderemo crescere nell’orto. In questo caso, quasi un pacchetto di semi su 3 sarà prodotto da Bayer-Monsanto. Immaginiamo anche che la stagione sia buona, che le piante crescano bene e che arrivino a fioritura. Sul più bello sorge un problema, un parassita compare sulla scena e minaccia il nostro intero raccolto. Occorrerà dunque trovare il giusto fitofarmaco che sia in grado di debellarlo. A chi possiamo rivolgerci? Anche in questo caso la risposta può arrivare dal negozio di prodotti per l’agricoltura e, in un caso su 4, compreremo nuovamente da Bayer-Monsanto.

Ultimo piccolo dettaglio: questa storiella è valida in Italia come in ogni altra parte del mondo, perché parliamo di mercato globale.

Dove sta il punto? Una concentrazione del genere in un settore strategico come quello della produzione alimentare non si è mai vista. Senza contare che, parallelamente, anche altri colossi chimici si stanno avventurando in fusioni della medesima portata. Questo significa, senza mezzi termini, una pericolosa perdita di sovranità. Significa che per produrre il cibo saremo sempre più dipendenti da decisioni prese nel chiuso di consigli di amministrazione che hanno come mandato la massimizzazione di fatturati, profitti e dividendi. Nulla di nuovo, se non le proporzioni di questa concentrazione, è il mercato globale alla sua massima espressione.

Il problema è che non possiamo non guardare con preoccupazione a queste condizioni di dipendenza, non possiamo mettere il futuro del nostro cibo in così poche mani, perché il cibo interessa ogni singolo vivente sul pianeta. D’altra parte vale però la pena notare un’altra lettura:queste operazioni finanziarie sono al contempo anche un segnale di debolezza, perché la necessità di unirsi è figlia di un calo dei profitti che va combattuto facendo sinergie su costi e operatività. Perché per fortuna il mondo dell’agricoltura è ancora fatto da più di 500 milioni di aziende familiari che ogni giorno lottano per difendere la biodiversità, promuovere sementi autoctone, agire localmente per sviluppare economie sane e pulite. Questa moltitudine spaventa i giganti perché disegna e difende un mondo alternativo, delinea futuri possibili in cui la sovranità alimentare è realizzata e diffusa, in cui il cibo non è schiavo di un mercato senza volto e senza freni. Loro sono giganti e non c’è dubbio, ma i contadini di piccola scala sono una moltitudine diffusa e tenace.

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