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8 gennaio 2016

 

Leadership unificata, unica soluzione al “post Anp”

di Elisa Gennaro

 

“Non vorrei il tracollo dell’Autorità palestinese”, aveva detto Netanyahu due mesi fa per ripetere in altre occasioni che “Israele starebbe tentando di impedire che ciò accada, valutando di impugnare alcune misure”, senza tuttavia specificare a cosa si riferisse.

 

Lo scenario della fine dell’Autorità è stato discusso in seno a riunioni straordinarie del Gabinetto israeliano alla presenza dell’Intelligence nazionale, lo Shin Bet. Le iniziative a cui probabilmente Netanyahu faceva riferimento sarebbero state ancora di supporto logistico. Di fronte alle tante congetture, Netanyahu pare aver intrapreso la strada della discrezione dietro la quale – dovendo ammettere le sue responsabilità politiche – non può non celarsi una strategia di logoramento per l’Anp e rovinosa per il popolo palestinese.

 

Perché, infatti non accordare il sostegno ad ‘Abbas se l’Intelligence rassicura il governo israeliano sull’impegno del presidente palestinese a contrastare le forme di rivolta (Intifada) o, volendo usare la terminologia cara a Israele, gli attacchi “terroristici”? Netanyahu sta di fatto continuando a sostenere l’Anp con un basso profilo senza tuttavia assumersi la responsabilità diretta del fallimento dell’Autorità nel caso in cui questo accadrebbe per cause di altra natura, interne ad esempio.

Tra gli avvertimenti dello Shin Bet c’era anche la possibilità che ‘Abbas si ritirasse dietro pressioni popolari espressamente dirette contro la sua persona. Per l’Intelligence di Israele il presidente palestinese avrebbe i giorni contati. In effetti, la fine dell’Anp vorrebbe dire stop ai finanziamenti che permettono le retribuzioni salariali, soprattutto di quei pochi che ancora sostengono l’attuale establishment palestinese.

 

L’aver preso ‘Abbas le distanze dalla rivolta e la totale mancanza di iniziativa politica per la causa palestinese vanno di pari passo con l’obiettivo popolare di scrollarsi di dosso l’occupazione. Non faccia quindi il presidente palestinese un altro gioco. E’ facile per ‘Abbas dichiarare in televisione che la rivolta innescata sia diretta contro l’occupazione di Israele.

 

Perché allora non guidarla?

Pur non accreditandole tra le cause che giustificano il punto morto a cui si è giunti, ci sono anche questioni tecniche che spiegano la sterile longevità della presidenza di ‘Abbas e il blocco politico che hanno esasperato una situazione che sta per esplodere. 

‘Abbas continua a ricoprire la carica presidenziale nonostante il mandato sia scaduto nel gennaio 2009. La sua presidenza è caratterizzata da aspetti tipici di una leadership al potere da troppo tempo. Negli ultimi 20 anni Fatah ha ostacolato qualunque emersione politica alternativa. Nel 2006 il partito ha perso la maggioranza e senza mandato elettorale ha continuato a porsi come partito dominante. Qualcuno dall’esterno, Israele compreso, gliel’hanno permesso.

‘Abbas è parte integrante dell’élite di Fatah che segue la linea politica dell’imposizione e degli interessi personalistici e di pochi. L’aveva fatto qualcun altro in passato, ma la sua perpetua presidenza è stata possibile per il carattere dell’Anp; resa un’istituzione assoluta dall’impreciso status legale e statale. Essa ha destituito e sostituito ogni altra realtà di rappresentanza politica e legislativa. Prima sono fatti fuori Organizzazione per la Liberazione della Palestina, Consiglio Nazionale e poi quello Legislativo.

Chi scrive non crede che la causa nazionale palestinese si trovi in “stato comatoso” per via del disordine regionale e internazionale, quanto a causa della mancanza di leadership politica. E’ questa la grande assenza ed è talmente palese che ci porta anche a superare qui questioni come responsabilità, debolezze o vizi della persona di ‘Abbas.

Mettendo da parte la strategia di Netanyahu o il destino di ‘Abbas, che tra l’altro ha superato gli 80 anni, la potenziale ripartenza politica palestinese deve trovare spazio nella rinnovata leadership andando oltre posizione partitiche o di fazioni.  E’ l’unica via da imboccare, anche partendo dall’incrocio più pericoloso.

I leader della seconda generazione non mancano. Di recente alcuni esponenti di Fatah avrebbero incontrato in Qatar membri di Hamas per discutere tra le altre cose i motivi per i quali non si riesca a tenere elezioni parlamentari e presidenziali. Superando pretesti di fortuna a giustificazione dello stallo politico come il posticipo del Congresso di Fatah o opponendo argomentazioni come la frammentazione territoriale è l’unificazione della leadership a rappresentare l’unica via possibile per riappropriarsi del furto interno della causa di liberazione. Esattamente come avvenne con la leadership unificata della Prima Intifada.

 

A proposito di modalità elettorali, qualcuno aveva proposto di svolgere online le elezioni rischiando di relegare la Questione palestinese in un database virtuale come già in parte avviene oggi. Nominata e autorizzata una leadership politica unificata tra la seconda generazione, si il discorso negoziale o di resistenza riprenderebbe dal campo ovvero dalla terra della nazione palestinese.

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