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19 nov 2016

 

Un palestinese ucciso e quattro feriti nelle proteste del venerdì

 

A perdere la vita è stato Mohammed Abu Sada (26 anni). È stato colpito al petto nel corso degli scontri avvenuti con l’esercito israeliano nel campo rifugiati di al-Bureiji, nella Striscia di Gaza. Cortei contro la proposta di legge “anti-muezzin” in Israele

 

Roma, 19 novembre 2016, Nena News –

 

Un palestinese morto e tre feriti: è questo il bilancio delle proteste avvenute ieri nella “buffer zone” nei pressi del campo rifugiati di al-Bureij e del valico di Nahal Oz, nella Striscia di Gaza. Il ministro della salute palestinese, Ashraq al-Qidrah, ha fatto sapere che a perdere la vita negli scontri di ieri contro le truppe israeliane è stato Mohammed Abu Sada (26 anni) di an-Nuseirat. Abu Sada, ha detto al-Qidrah, è morto dopo essere stato colpito al petto da una pallottola sparata dai militari dello stato ebraico nel campo di al-Bureiji.

Secondo l’esercito israeliano, “durante una protesta violenta vicino alla recinzione di sicurezza nella zona centrale di Gaza, decine di manifestanti hanno violato la buffer zone e, avvicinandosi alla barriera di protezione, hanno tentato di infiltrarsi in Israele”. A quel punto, ha spiegato una portavoce militare all’Afp , “le forze [israeliane] hanno sparato nel tentativo di disperderli”.

I palestinesi, invece, fanno notare come la cosiddetta zona cuscinetto dove Abu Sada è stato ucciso è dal 2005 una de facto “no-go zone” per volere unilaterale d’Israele. Un rapporto del Defense for Children International – Palestine (DCIP), accusa duramente lo stato ebraico perché “impedisce illegalmente ai palestinesi di accedere alle loro terre”. “L’esatta ampiezza di tale area non è chiara – si legge nel documento – i palestinesi capiscono spesso di trovarsi lì soltanto quando i soldati israeliani al di là del confine recintato li sparano”.

 

Dcip e l’ong israeliana B’Tselem da tempo documentano quella che definiscono “la cultura dell’impunità” delle forze armate israeliane quando uccidono palestinesi. B’Tselem ha in più circostanze evidenziato come le inchieste aperte da Israele abbiano possibilità “estremamente basse di produrre dei risultati significativi”.

Abu Sada è il 239esimo palestinese ad essere ucciso dai soldati da quando è iniziata nell’ottobre del 2015 l’Intifada di Gerusalemme (“Intifada dei coltelli” per Tel Aviv). Il 24esimo nella sola Striscia di Gaza. 36 le vittime sul fronte israeliano a cui vanno aggiunte anche due vittime americane. La maggior parte dei palestinesi ha perso la vita dopo aver attaccato per lo più i militari dello stato ebraico. In alcuni casi, denunciano però i palestinesi e ong locali per i diritti umani, sarebbero però avvenute vere e proprie “esecuzioni” dove le vittime non rappresentavano alcuna minaccia per i soldati o non avevano affatto intenzioni omicide. A perdere la vita in questi mesi per mano israeliana sono stati anche un giordano, un sudanese e un richiedente asilo eritreo. Quest’ultimo era stato preso “per sbaglio per un terrorista arabo” ed era stato linciato alla stazione degli autobus di Ber Sheva da una folla inferocita.

Ad essere colpite dalle pallottole israeliane sono state ieri anche alcune barche di pescatori palestinesi nel nord della Striscia. Una pratica non nuova: secondo il Centro palestinese per i diritti umani (Pchr), quest’anno le motovedette israeliane hanno aperto il fuoco contro i gazawi ben 139 volte ferendo 24 pescatori e danneggiando 16 pescherecci.

Le truppe israeliane hanno sparato ieri anche in Cisgiordania. Un palestinese è stato ferito al volto dopo che è stato colpito da un proiettile di ferro ricoperto da gomma nel corso degli scontri avvenuti all’ingresso del villaggio di Tuqu (sud est di Betlemme). L’uomo, ricoverato all’ospedale di Beit Jala, sembrerebbe essere fuori pericolo di vita. L’esercito israeliano ha fatto sapere che indagherà su quanto accaduto.

Cortei di protesta si sono registrati ieri pomeriggio anche all’interno d’Israele. Centinaia di palestinesi con cittadinanza israeliana hanno sfilato nelle strade di Kafr Kassem per protestare contro la proposta di legge del governo Netanyahu di silenziare i muezzin [coloro che chiamano alla preghiera nelle moschee, ndr]. “Non permetteremo che i muezzin vengano messi a tacere” ha dichiarato il sindaco della città Adel Badir. “Il nostro diritto ai muezin e a pregare non deriva da alcuna legge, ma è un diritto basilare come quello alla vita o a vivere sotto un tetto”. Un presidio di protesta di circa 100 persone ha avuto luogo anche nella cittadina meridionale di Rahat e più di 500 persone hanno preso parte a manifestazioni simili nel nord d’Israele.

In una di queste, a Jisr a-Zarqa’a, era presente anche il parlamentare della Lista (araba) unita Ahmed Tibi. Rivolgendosi ai manifestanti, Tibi ha definito la proposta di legge una “provocazione, un atto di coercizione che sostituisce il dialogo e la tolleranza”. Proteste contro la proposta anti-muezzin anche nel campo rifugiati di Jabalya (Striscia di Gaza) dove un leader di Hamas, Yusef ash-Sharafi, ha parlato di “mossa sionista senza precedenti volta a violare le libertà dei musulmani”.

Non è così scontato però che la proposta “anti-muezzin”, avanzata da Moti Yogev di Casa Ebraica, diventi legge. Giovedì, infatti, il ministro alla Salute israeliano Yaakov Litzman del partito ultraortodosso Giudaismo unito della Torah ha chiesto alla Commissione ministeriale per la legislazione di convocare un’altra discussione sulla bozza. Le perplessità di Litzman non sono affatto segno di vicinanza alla popolazione musulmana del Paese: il leader haredi teme soltanto che la promulgazione di una tale legge possa portare in futuro ad un attacco legislativo anche alle sirene che annunciano l’inizio dello Shabbat il venerdì. Nena News

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